
Stento a credere possa rintracciarsi alcuno che, oltre ogni ragionevole dubbio possa affermare, senza tema di essere smentito, che nel tempo della propria vita non ha mai ricevuto insistenti e ripetute sottolineature o, in casi leggermente più gravi, rimproveri circostanziati da parte di uno o ambedue i propri genitori.
Dato per vero l'assunto, se ne ricava che tutti abbiamo sopportato più volte, l'entità può variare senza modifiche alla sostanza, strazianti e ripetute prediche genitoriali senza fine; prediche colme di domande la cui risposta ammessa era già nota ai formulanti e qua o là condite da vaghe bonarie minacce.
Nelle intenzioni dei genitori questi richiami (termine più elegante), si generavano e diventavano urgenti quando i consigli, gli intendimenti, le strade indicate amorevolmente erano sottovalutate, avvilite, inconsiderate o, più gravemente, del tutto ignorate dalla prole.
Io sono fra i più e come tutti, più volte mi sono pentito anche amaramente di essere stato sordo ai consigli e cieco agli ammonimenti dei miei genitori tanto da meritarmi dalla mia mamma l'appellativo di ingrato.
Io sono fra i più e come tutti, più volte, mi sono comportato con i miei figli come i miei genitori si sono comportati con me. Faccio eccezione, perché la carne è debole, con le mie nipoti per il solo motivo che non desidero si ricordino del nonno come di un continuo brontolo, qualifica che lascio volentieri a mia figlia e loro mamma.
Sabato 14 settembre a Roma in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il personale dell'Amministrazione Penitenziaria, gli agenti della Polizia Penitenziaria, i loro comandanti, i loro dirigenti.
Qui, si è loro rivolto per ringraziare: “…grazie per tutte le volte che vivete il vostro servizio non solo come necessaria vigilanza, ma come sostegno a chi è debole”; spronare: “ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere…garantite la sicurezza senza mai mancare di rispetto per l'essere umano…riconoscendo a nome dello Stato e della Società, l'insopprimibile dignità”; indirizzare: “Il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari è un problema grave. È essenziale garantire le condizioni di vita decorose, altrimenti le carceri diventano polveriere di rabbia, anziché luoghi di recupero…sta a ogni Società far in modo che la pena non comprometta il diritto alla speranza, che siano garantite prospettive di riconciliazione e di reinserimento. L'ergastolo non è la soluzione dei problemi…mai privare del diritto di ricominciare!”
In quella piazza ove solo a quella voce è concesso di varcare i confini del Colonnato del Bernini e invadere il mondo ben oltre il suolo italiano, in quel momento mi è sembrato di sentire, per me umbro a un passo toscano, un babbo.
Un babbo che indomito, di nuovo si rivolge ai propri figli ancora sordi e ciechi perché vedano e odano. Un babbo che avverte l'urgente necessità di tornare a predicare con forza, convinzione, determinazione, la bontà dei consigli dati, il pregio degli intendimenti proposti, la certa e sicura strada indicata.
Un babbo dallo sguardo sorridente che a mani vuote ma aperte come il suo cuore – quest'ultimo sì cinto dal Rosario – non fa mancare, infine, alla prole il proprio incitamento: “avanti, coraggio!”
Guido Peparaio
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