
Affermare che la “democrazia” è, a quasi vent’anni dall’inizio del nuovo millennio, non solo il sistema politico vittorioso, ma l’unico che abbiamo a disposizione, alla luce di quanto accade nel mondo e nel microcosmo nazionale ed europeo, è un azzardo.
Le genti, ad ogni longitudine, hanno scelto la democrazia e combattuto per essa, dando vita ad un potente movimento transnazionale che ha raggiunto sorprendenti risultati di cambiamento, spesso con mezzi relativamente poco cruenti. È vero. Altrettanto fondata è, tuttavia, la constatazione della fragilità del sistema democratico, della sua vulnerabilità e reversibilità. Questa è forse la più difficile indicazione che può essere tratta dall’analisi non edulcorata dello stato presente di cose.
Che la democrazia sia realmente un solido sistema di valori universali non è empiricamente dimostrato. Nella migliore delle ipotesi è un auspicio; nella peggiore, una leva variabile del potere economico che la usa, transitoriamente, non necessitando per una stagione dell’autoritarismo. La “democrazia reale”, nelle forme davvero realizzate nella storia contemporanea non può essere alimentata dall’ottimismo della ragione, né essere sostenuta da una volontà prescrittiva molto simile ad un’ingenua celebrazione delle effettive “virtù” delle democrazie esistenti (libertà di consumo ed affini …), anche se non si possono disconosce alcuni vantaggi materiali – effimeri poiché negoziabili – che il vivere in una “democrazia reale” comporta.
In verità, è proprio la dualità di comportamento politico delle democrazie a diventare il bersaglio di uno scetticismo autentico: in primo luogo, le democrazie applicano due standard diversi nel loro comportamento, dichiarando di rispettare principi regolamentari all’interno dei loro confini, ma rifiutandosi di fare altrettanto, e quindi di condividere il potere decisionale, nell’arena internazionale; in secondo luogo, il classismo transnazionale non è stato scalfito da almeno tre secoli di rivendicazionismo economico-normativo e di pratiche di libertà per l’affermazione dei diritti individuali e collettivi. La politica mondiale è dominata ancora da un’oligarchia, non più identificabile negli stati sovrani, bensì dall’imperialismo delle società di capitale multinazionali. Queste schizofrenie della democrazia sedicente cosmopolita non sono colte come “sintomi” di patologia (essa non può, quindi, “curare” il male che non è diagnosticato), bensì, seguendone le tragiche convulsioni, si propongono di estendere principi e pratiche “democratiche” che inevitabilmente rigenerano ed aggravano sul lungo periodo precarietà istituzionale, disuguaglianze sostanziali, omologazione socio-culturale, annientamento del conflitto.
L’istituzione di un sistema democratico diverso dall’attuale è necessario all’effettivo controllo da parte delle comunità politiche nella definizione ed interpretazione degli interessi popolari. L’attuale globalizzazione di economie, culture, e processi politici e sociali ha eroso le capacità decisionali democratiche delle comunità politiche le cui azioni sempre più sono influenzate, ed influenzano, quello che succede al di fuori dei loro confini. I processi decisionali democratici devono quindi essere aperti ed allargati a tutti coloro che subiscono gli effetti virali delle decisioni prese.
Cosa suggerire come antidoto alla “democrazia reale” ? Un progetto di partecipazione diretta delle persone alla costruzione inedita di formazioni economico-sociali e correlate forme di vita a livello internazionale attraverso la creazione di istituzioni cosmopolite che vadano ad affrancare le tradizionali istituzioni statali e internazionali, nel senso di inter-statali. Lo scopo non è quindi, la creazione di illusioni di cambiamento mediante le ritualità politiche attuali, tra l’altro, fortemente centralizzate a livello globale, tali da generare una specie di prassi partecipative coatte diffuse mondialmente, ma piuttosto la costruzione di livelli multipli di autogoverno su questioni che abbiano rilevanza globale.
Giovanni Dursi
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