
A quasi quattro mesi dall'avvio delle proteste, tra motivazioni politiche ed economiche, in Libano la situazione è ulteriormente precipitata come era nelle previsioni di chi non vedeva interventi per cambiare il corso economico .
Il governo di Hassan Diab, in un discorso alla nazione, annunciava che la rata da 1,2 miliardi di dollari di interessi sul suo debito pubblico non sarebbe stata pagata. Di fatto un fallimento, il primo della storia del paese; un fallimento che non si era verificato nemmeno durante la guerra civile. Sono 102 i miliardi di debito pubblico e con un rapporto debito/PIL al 170%.
Era chiaro già da tempo con i prelievi in dollari bloccati ad un massimo di 200 dollari ogni due settimane e una sterlina libanese che, seppur ancorata al dollaro, comincia a valere sempre meno.
Non pagare in valuta i creditori esteri (il fondo speculativo britannico Ashmore ne possiede una quota rilevante) significa anche chiudersi la porta alla finanza internazionale ed in particolare al FMI che, come abbiamo visto per tutti i paesi, se concede finanziamenti vuole austerità. Comunque è probabile che non si ricorra al Fondo, sicuramente non in via diretta, perché Hezbollah, ‘organizzazione sciita politico-militare e filoiraniana, non accetta soluzioni con il FMI vista la grande presenza americana nel governo dell'istituzione.
La situazione resta tesa tra la popolazione, specialmente giovane e senza appartenenze religiose, che continua a manifestare contro la crisi e il livello di corruzione che sta devastando le risorse di un paese già povero che vive di servizi e dii settore pubblico, di ogni ordine e grado, che non ha un apparato industriale e agricolo per cui molto deve essere importato, che ha un sistema bancario interconnesso al mondo politico. Senza dimenticare che in un paese con 6 milioni di cittadini ci cono anche 1,5 milioni di profughi siriani.
Non è bastato il cambio di governo e l'arrivo di Hassan Diab, «un accademico non affiliato ai partiti tradizionali seppur considerato vicino alla coalizione guidata dal partito-milizia sciita Hezbollah, […] composto prevalentemente da figure analoghe al premier, professionisti e accademici formalmente indipendenti dalle normali affiliazioni partitiche. […] Nonostante alcuni importanti cambiamenti (tra cui la forte presenza di donne, 6 su 20, e il taglio di un terzo degli incarichi ministeriali), il governo di Diab resta però sostenuto da una coalizione parlamentare ancora più ristretta rispetto a quella dell'esecutivo Hariri, e dominata da formazioni politiche tradizionali, in particolare l'alleanza politica guidata da Hezbollah. Ciò ha portato gran parte del movimento di protesta a bollare la nuova compagine governativa come insufficiente a venire incontro alle richieste della piazza» [1].
Il sistema politico libanese se da una parte è stato un modello che ha consentito la fine della guerra civile perché prevede una rappresentanza per tutte le 18 confessioni riconosciute, dall'altra ha di fatto significato una spartizione del potere e la commistione tra affari e istituzioni pubbliche con un livello di corruzione dilagante atta a perseguire gli obiettivi di ognuna delle confessioni e irrigidendo le posizioni.
Per capire cosa accade e l'insopportabilità per la gente riportiamo l'esempio della «società elettrica nazionale, incapace di fornire la corrente in modo continuo, favorendo in questo modo “le mafie dei generatori” che soddisfano la necessità della popolazione durante le interruzioni. A causa del clientelismo e della corruzione, un terzo dell'elettricità prodotta non genera introiti» [2].
Il fallimento sarà uno spartiacque per un cambio di rotta?
Difficile crederlo perché oltre ad un'indubbia estensione del seguito dei partiti c'è anche il tema degli interessi esterni sul Libano che a vario titolo sostengono le parti in gioco. La gioventù meno legata alle appartenenze politico-religiose, temiamo, sconterà insieme ai più emarginati questo aggravamento della crisi.
Pasquale Esposito
[1] Eugenio Dacrema, “Libano: le dimensioni di una crisi”, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/libano-le-dimensioni-di-una-crisi-25153, 21 febbraio 2020
[2] Pierre Haski “Debito e proteste mettono il Libano con le spalle al muro”, https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/03/09/libano-fallimento-proteste, 9 marzo 2020; France Inter, Francia
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