
Quanto sta accadendo intorno alla guerra in Libia da una parte chiarisce la complessità di una situazione incancrenita negli anni e dall'altra mostra un attivismo diplomatico quasi frenetico per mettere un punto fermo e far tacere le armi, in attesa della spartizione mentre si combatte.
Dopo la mancata firma della tregua a Mosca da parte del generale Khalifa Haftar, sono arrivate le dichiarazioni del ministero della Difesa russo secondo il quale, il generale ha bisogno di due giorni per parlarne con i leader delle tribù che lo appoggiano. Nel frattempo il premier al-Sarraj è volato in Turchia a riferire con il suo nuovo partner forte, il presidente Erdoğan.
L'Italia sembra rendersi disponibile all'invio dei militari in base alle risultanze di un accoro dopo la Conferenza di Berlino (si farà? E con quali risultati?) e su richiesta delle parti. Dietro le quinte i militari egiziani che, come ad Ankara, mirano a controllare la Libia; i sauditi e gli emiratini che per ragioni soprattutto politico-religiose sono contrari a lasciare in piedi il governo di Tripoli.
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