
Gli annunci di licenziamenti di massa negli Stati Uniti, con rimbalzi in tutto il mondo, si susseguono. Sembra una reazione a catena. Ma forse sarebbe meglio parlare di un effetto drammatico di emulazione alla ricerca della riduzione dei costi e mantenere profitti. Negli ultimi mesi sono diverse le multinazionali dei settori tecnologici americani, e non solo, a tagliare posti di lavoro, pur non essendo in un periodo di recessione economica effettivo. Gli economisti di Goldman Sachs spiegano che il settore incide poco sul resto dell’occupazione; perché “le aperture di posti di lavoro rimangono ben al di sopra dei livelli pre-pandemici; [e] in passato, i licenziamenti del settore tecnologico hanno spesso registrato picchi senza un corrispondente aumento dei licenziamenti totali e, storicamente, non sono stati un anticipatore di un più ampio deterioramento del mercato del lavoro” [1].
Nel frattempo Elon Musk, da poco nuovo proprietario di Twitter comprata con 44 miliardi di dollari, ha ordinato il licenziamento di alcuni di dipendenti che si erano opposti pubblicamente e privatamente contro di lui e poi il 15 novembre è andato in un tribunale dello Stato del Delaware a testimoniare “di non essere stato coinvolto nelle discussioni tra i membri del consiglio di amministrazione di Tesla su un pacchetto retributivo del 2018 che gli ha concesso miliardi di dollari in stock option, contribuendo a renderlo la persona più ricca del mondo” [2].
Twitter è una delle aziende che ha avviato licenziamenti: sarebbero circa 3.700 dipendenti a cui è arrivata una email – da un giorno all’altro – con l’obbligo di non rientrare in ufficio. Non solo: in una mail pubblicata dal Washington Post, Elon Musk invita a decidere immediatamente se restare e lavorare “senza riserve” oppure lasciare spontaneamente in cambio di una buonuscita. E come se non bastasse c’è stata poi la decisione di cancellare lo smart working obbligando i dipendenti ad essere in ufficio almeno 40 ore a settimana.
Qualche giorno fa anche Meta che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp ha annunciato che circa 11.000 dipendenti perderanno il loro lavoro; si tratta di un taglio del 13% del personale del gruppo. , cioè più di 11.000 dipendenti. Il miliardario Amministratore delegato, Mark Zuckerberg ha spiegato che pur avendo già provveduto i costi in varie direzioni e a riorganizzare i team per aumentare l’efficienza ha spiegato che “queste misure da sole non porteranno le spese in linea con la crescita dei ricavi, quindi ho anche preso la difficile decisione di licenziare“.
E lo scorso 14 novembre su NY Times è comparso l’articolo che preannuncia in Amazon il licenziamento di circa 10.000 persone il più grande taglio di posti di lavoro nella storia dell’azienda. Secondo le fonti anonime del quotidiano i tagli si concentreranno “sull’organizzazione dei dispositivi di Amazon, compreso l’assistente vocale Alexa, così come nella sua divisione di vendita al dettaglio e nelle risorse umane” [3]. Le notifiche ai dipendenti sono iniziate lunedì scorso
Nei giorni scorsi altri annunci: la piattaforma di trasporto simile a Uber, Lyft ha dichiarato che taglierà il 13% dei suoi dipendenti, e la piattaforma di elaborazione dei pagamenti Stripe licenzierà 1.100 lavoratori e cioè il 14% dei suoi dipendenti.
A precederli ad agosto è stato il social network Snap che annunciava licenziamenti per circa il 20% dei lavoratori a causa di gravi perdite. Ad ottobre arrivavano gli annunci per il taglio di circa 4.000 dipendenti dell’azienda fondata da John Foley, la Peloton che produce macchinari per la ginnastica con schermi sofisticati e un’applicazione con programmi di allenamento anche a corpo libero e con istruttori anche molto noti.
Microsoft ha invece solo annunciato il rallentamento delle assunzioni (cosa che hanno fatto alcune aziende prima di licenziare); stesso annuncio quello di Alphabet, proprietaria di Google e YouTube. Nel caso di Alphabet il fondo attivista londinese Tci Fund Management Christopher Hohn, che detiene azioni Alphabet per un valore totale di oltre sei miliardi di dollari a chiedere in una lettera all’Amministratore delegato di “intraprendere azioni aggressive” per tagliare i costi, ridurre il proprio organico e chiarire agli investitori quale sia il proprio piano d’azione per l’immediato futuro [4].
Se si eccettua Apple che nonostante problemi di approvvigionamento dalla Cina continua a macinare record (+8% di vendite nell’ultimo trimetre rispetto allo stesso trimestre del 2021), la Silicon Valley non sembra più l’eldorado. Le previsioni sull’andamento economico hanno spinto prima le aziende a rallentare le assunzioni e poi ad iniziare le ristrutturazioni e i licenziamenti.
“I cinquantamila licenziati [Il sito Layoffs.fyi calcola in 814 aziende tecnologiche circa 130.000 i dipendenti licenziati, ndr.] equivalgono a meno dell’1% dei quasi sei milioni di persone che, negli Stati Uniti, lavorano per le compagnie tecnologiche. […]. Lo sviluppo drammatico della storia è che questo appare il momento peggiore per perdere il posto nel settore tech. Uscire da Twitter o Google nel 2019 era meno traumatico di adesso. L’esperienza nei Big Tech rappresentava un sicuro lasciapassare verso incarichi ben remunerati in altre aziende, perché i fuoriusciti sembravano arrivare dal futuro. Adesso non è più così” [5].
Le cose non sono molto diverse nel mondo dell’intrattenimento: la Walt Disney sta fermando le assunzioni e farà “tagli di alcuni posti di lavoro” e i mancati introiti sarebbero il motivo dei tagli alla Discovery, in Netflix e alla Warner Bros.
Domanda: ma se ci si accontentasse di meno profitti?
Pasquale Esposito
[1] Senad Karaahmetovic, I maxi licenziamenti delle Big Tech non sono sintomi di recessione imminente, 16 novembre 2022
[2] Jack Ewing , Isabella Simonetti e Peter Eavis, Elon Musk Tells a Court He Had Little Say in His Giant Tesla Pay, 16 novembre 2022
[3] Karen Weise, Amazon is said to plan to lay off thousands of employees, 14 novembre 2022
[4] Alessandro Patella, Gli azionisti chiedono a Google di tagliare posti di lavoro, 16 novembre 2022
[5] Massimo Basile, Big Tech licenzia: la vecchia industria a caccia di personale, 14 novembre 2022
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