
Una raggiante giornata quel 25 Aprile! Eravamo appena arrivati davanti al cinema Palazzo dove avremmo pranzato insieme alla collettività del quartiere per festeggiare la Liberazione, quando la mia amica Marilena mi invita ad entrare. Avrei trovato un po' di freschezza e un po' meno luce abbagliante. “Dai, ti presento una persona”, mi disse conducendomi nella sala dove feci solo in tempo a notare il banco della birra. “Piacere, Marisa”, mi disse allungandomi la mano, con un sorriso e un'empatia difficile da trovare. Marisa infatti, appartiene a quel tipo di persone per cui il connubio tra l'essere e il linguaggio è solido, forse indissolubile.
Invece di costruire muri, reali o ideologici, Marisa ha sempre provato a capire, per poi spiegare che le barriere sono frutto della pochezza della nostra intelligenza e del nostro animo. A Roma, “negli autobus, andavo sempre a sedermi al loro fianco, in quel posto lasciato vuoto, perché per gli altri rubavano, puzzavano…”: così, da studentessa, aveva iniziato ad avvicinare i Rom della capitale.
In realtà quest'attenzione ha radici lontane, “mi hanno sempre affascinata, avendoli conosciuti da piccola e con loro interagivo costantemente… i bambini avevano eccezionali virtù di strada”.
Le storie che raccontava, i progetti della sua attività di sociologa ma anche le sue domande su cosa io facessi nella vita, ci condussero fuori dal cinema Palazzo troppo tardi per riuscire a trovare qualcosa da mangiare tutti insieme. Siamo finiti in una storica trattoria di San Lorenzo: la migliore soluzione per poter continuare a chiacchierare e discutere di migranti, politica, storie personali.
Maria Rosaria Chirico è una sociologa che lavora sul campo. In questo momento sta seguendo alcuni progetti ed ha anche iniziato una nuova ricerca sul campo. Nel 2015 ha pubblicato “Una migrazione silenziosa. Rom bulgari in Italia” che è stato pubblicato dalla Fondazione Migrantes ed edito dalla Tau; una ricerca sul campo con 100 interviste semi-strutturate e 30 con metodo biografico.
Un lungo lavoro, svolto quasi in solitudine, seguendo le comunità di Roma, Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria. Cento interviste nelle quali la stessa Marisa si è messa sotto osservazione: “prima di tutto i rapporti umani… parlando di te”. Questo senza perdere mai la distanza necessaria per una ricerca attraverso cui questa minoranza silenziosa veniva fotografata.
«Del tutto sconosciuti alle istituzioni e alle associazioni, trovarli è stata un'impresa ardua e difficoltosa, per via dell'assenza d'informazioni, dell'elevato processo mimetico e della forte mobilità, così come lunghe e complesse sono state le modalità per conquistare la loro fiducia. Nella città di Roma, sono riuscita a conoscere i rom bulgari seguendo anche un universo contiguo che vive ai margini, separato da una linea sottile: quello di altri rom di diversa nazionalità, dei migranti, dei rifugiati, dei giovani disoccupati, dei senzatetto e senza diritti. Mondi diversi ma simbiotici che, si assomigliano per il loro status di esclusi, ma anche per la loro grande vitalità».

Persone che svolgono lavori umili fuori dai circuiti, allestendo mercati durante la notte per vendere piccoli oggetti, riciclando rifiuti o raccogliendo carta. Rom e Romnià (uomini e donne) che guardano al futuro senza rassegnazione, ma con la consapevolezza di aver bisogno di strumenti per crescere, a cominciare dalle scuole per i loro figli.
Allontanandosi dai linguaggi digitali privi di discernimento così tipici di questa società moderna, la Calabria ha deciso di adottare modelli inclusivi, scardinando i luoghi comuni che la stessa sociologa ha sempre tentato di smontare: «i rom bulgari lavorano, abitano in case private spontaneamente dislocate, insieme agli autoctoni, ed al resto della popolazione. Nonostante le gravi forme di sfruttamento e il vuoto istituzionale dal quale sono circondati, sono riusciti a conquistare diritti in autonomia, con sacrifici e tenacia in una realtà di fatto distante dalle grandi promesse della politica e delle istituzioni. Ne viene fuori il ritratto di una comunità, con pregi e difetti, ma operosa, dignitosa, particolarmente orgogliosa che, raramente ti chiede aiuto, dotata di una grande capacità di guardare al futuro».

Maria Rosaria Chirico quando ci ha spiegato l'approccio scientifico della sua ricerca ci ha anche chiarito i momenti chiave del suo lavoro.
“Gli strumenti utilizzati per intervistare i principali protagonisti (rom bulgari) del mio studio è stato il questionario attraverso il quale ho raccolto dati statistici, indispensabili allorquando ci si accinge a studiare per la prima volta un fenomeno. Nel corso della ricerca questo strumento l'ho modificato più volte, per tararlo sulla realtà e sui reali bisogni della persona intervistata. Bisogni che, trattandosi di un tema del tutto sconosciuto, non avrei mai potuto del tutto prevedere.
Al questionario ho affiancato anche le storie di vita. È attraverso quest'ultima tecnica che sono riuscita ad interagire in maniera più empatica, a creare una relazione autentica con i miei intervistati: chiedevo della loro vita e anche loro volevano sapere di me. Ma il momento più importante di queste interviste, dal punto di vista sia umano che professionale, è il sentimento di fiducia manifestato attraverso la rivelazione della loro origini. Un origine fortemente nascosta e particolarmente mimetizzata dai rom di nazionalità bulgara per paura di essere discriminati o di perdere la casa e il posto di lavoro. Ecco, questa specie di confessione laica, piena di timorosa attesa, si è ripetuta tantissime volte nel corso della ricerca procurandomi un senso di grande inadeguatezza ma anche una forte emozione. Sono stati questi momenti di assoluta verità, in cui rom e gagè si sono riconosciuti come persone di un stessa società, raccontandosi e creando un rapporto di reciproca fiducia, che hanno conferito all'incontro il significato più profondo.”
Prima di lasciarvi alla lettura – spero – del suo libro, vorrei ricordare le parole del filosofo bulgaro-francese, Tzvetan Todorov che in una intervista pubblicata su La Repubblica diceva: «gran parte dei rifugiati che stanno arrivando in Europa in questi mesi fuggono situazioni di guerra di cui noi, i paesi occidentali, siamo direttamente o indirettamente responsabili. Siamo intervenuti militarmente in Afghanistan, Iraq, Libia, Repubblica Centroafricana, Mali e abbiamo incoraggiato la guerra civile in Siria. […] Il risultato di tali scelte militari sono davanti ai nostri occhi: insicurezza sempre più diffusa, inasprimento dei conflitti etnici e religiosi, guerre civili e ora questo flusso di rifugiati che cerca di raggiungere un'oasi di pace e di prosperità».
Pasquale Esposito
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