L’intorto di Francesco Guccini

Francesco Guccini Canzoni da intorto

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L'uscita di un inimmaginabile quanto intrigante nuovo di canzoni interpretate da mi era stata anticipata dalla proposta di acquisto (su un noto canale di vendite online) fin dallo scorso mese di ottobre. Avrei potuto “prenotare” Canzoni da intorto – solo cd o album in vinile; niente digitale – e il disco mi sarebbe stato consegnato al momento dovuto. Ovviamente, ho detto sì. Il cofanetto, un mese dopo, è infine arrivato – anche se ahimè con un giorno di ritardo – e l'ho ascoltato con grande attenzione, provando commozione e stupore. Provo a raccontarlo.

Il titolo, innanzitutto; proposto da sua moglie, Raffaella Zuccari, “intorto” – spiega Guccini –

«è di origine gergale e significa imbonire […], circuire per convincere qualcuno /qualcuna a prestarsi a proprio vantaggio. […] Significherebbe che le canzoni da me spesso cantate in allegre serate con amici servissero solo ad abbindolare innocenti fanciulle le quali, rese vittime dal fascino di quelle canzoni, si piegavano ai miei turpi voleri e desideri. Illazioni maliziose e un po' affettuose, dicevo, infatti non è chi non vede come canzoni di stampo anarchico o folcloristico mal si adattino allo scopo di un eventuale “intorto”».

Francesco Guccini aveva dichiarato esplicitamente che non avrebbe più composto canzoni dopo l'uscita di L'ultima Thule, esattamente 10 anni fa, nel novembre 2012. Il maestro di Pavana però non è mai uscito veramente di scena, anzi. A parte le sue varie e ormai stabili esperimentazioni letterarie [1], memorabile è rimasta ad esempio la sua visita ad Auschwitz, nel marzo del 2016, assieme a Matteo Zuppi [2], arcivescovo di Bologna e suo grande amico (gli dedicherà un affettuoso e assai competente augurio per il suo ottantesimo compleanno, il 14 giugno 2020, direttamente sulla prima pagina de l'Osservatore romano [3]). Oppure – nel 2017 – l'edizione del cofanetto con tre concerti dal vivo – tra l'82 e l'85 – registrati in quegli anni lontani alla celeberrima e bolognese Ostaria delle Dame, spalmati su sei cd e con un libretto di gran pregio per tutti gli estimatori di Guccini. Come anche le interviste ricorrenti a giornali e affini (da segnalare tra tutte quella a Bologna, nella mitica casa di via Paolo Fabbri 43, di Diego Bianchi [4]).

Canzoni da intorto non contiene così nessuna canzone di Guccini; tecnicamente, è un disco di cover. Eppure, come qualcuno ha osservato, è un po' come ascoltare Guccini prima di Guccini. In undici pezzi (più una traccia fantasma – o bonus track, come si usa dire – dedicata alla libertà dell'Ucraina [5]), percorriamo una variegata geografia musicale, umana e linguistica. Si comincia – in italiano – da Fausto Amodei e dalla canzone politica, con Morti di Reggio Emilia, per poi proseguire subito con il milanese della surreale El me gatt di Ivan Della Mea. Barun Litrun è tratta dal repertorio popolare piemontese e canta le gesta del Barone Von Leutrum [6] che tiene salda la sua fede di cristiano valdese e non si fa cattolico per scalare il potere. Segue Ma mi, noto cavallo di battaglia di Ornella Vanoni, scritta da Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi per omaggiare la canzone popolare milanese tra celebrazione della Resistenza e racconto della malavita. Dopo la Milano della fine degli anni '50, ci trasferiamo nel Polesine struggente di Gigi Fossati con Tera e aqua, del 1961. Lasciamo per un momento i dialetti – grandi protagonisti di questo disco – per atterrare a Le nostre domande di Franco Fortini e Margot Galante Garrone, una vera canzone d'amore (e l'unica davvero da “intorto”, come confessa Guccini nel book), legata agli anni da studente a Bologna. Ancora, segue Nel fosco fin del secolo, inno ottocentesco antenato de La locomotiva e antica memoria anarchica (come Addio a Lugano), così cara al maestrone. Green Sleeves appartiene invece alla tradizione inglese, che vuole sia stata scritta addirittura da Enrico VIII per Anna Bolena. Omaggio a Enzo Jannacci sono infine Quella cosa in Lombardia e Sei minuti all'alba, con Paolo Jannacci al pianoforte e ai cori, tra amore e guerra e – anche qui – tra lingua e dialetto.

L'uso esteso di dialetti del nord è la grande dominante di questo album, novità quasi assoluta per Guccini, che annoverava finora nel suo repertorio – in tanti decenni di carriera – solo pochissime tracce in lingua vernacolare [7]: il blues remoto Al trist del 1970 – in dialetto modenese – nel disco Due anni dopo (poi corretta in Al trést, traccia conclusiva di …quasi come Dumas…, del 1988); la Fiera di san Lazzaro in Opera buffa del 1973 («una bolognese me la fate fare?»), poi riproposta (nella versione 2015, con Andrea Mingardi) con titolo vernacolare La Fira ed San Lazer; infine, La żiatta, cantata in Ritratti, del 2004versione (anch'essa in modenese) della canzone catalana di Serrat La tieta. A queste tre si erano aggiunte, più di recente, la struggente Gerardo Nuvola ‘e povere, a due voci e due dialetti, con Enzo Avitabile (in Black Tarantella, 2012) quella eseguita coi bravissimi Tenores de Neoneli, ovvero il brano tradizionale Naschet su Sardu, antica composizione di fine ‘700, entrambe ricomprese nella compilation del 2015 Se io avessi previsto tutto questo…  Gli amici, la strada, le canzoni. Qualche fatica semantica per chi non capisce o non conosce i registri linguistici utilizzati, ma – memori di un antico adagio gucciniano [8] e con qualche aiuto dalla rete – si tratta di ostacoli che si possono superare.

 

Guccini ha presentato il suo album alla Bocciofila Martesana di Milano [9].  Nessuna edizione digitale, come già detto; ché il nostro autore – così ha dichiarato, suscitando “compiaciuta ilarità” – ignora cosa sia lo streaming. Così, sono in programma incontri e firmacopie a Milano (26 novembre) e Roma (10 dicembre), praticamente già ora da tutto esaurito. Naviga in maniera sorniona tra canzone popolare e memoria, tra amore ed anarchia [10]; chi ha partecipato ai suoi concerti, non può aver dimenticato – accanto ad esilaranti tirate sul mondo e sull'umanità e ricordi d'ogni sorta – le incursioni di Guccini nel vasto repertorio musicale della sua vita, con le quali ha dato ai suoi ascoltatori momenti inediti di vero stupore (da Jacinto Chiclana – di Astor Piazzolla e Jorge Luis Borges a Only You dei The Platters).

«Quando è nata l'idea balzana di questo disco di cover – scrive Guccini – ho sparato quattro o cinque titoli […] sperando di far desistere i discografici dal loro efferato proposito. Sono impalliditi ma non hanno fatto una piega, Così eccoci qui, con queste canzoni in teoria poco discografiche, quasi niente da intorto, frutto di anni di raccolta, un po' “fighetta”, ma dal mio punto di vista e secondo il mio sentire interessanti, belle e piene di storia».

Per quanto mi riguarda, l'intorto è riuscito. Sono canzoni davvero belle e piene di storia e si ascoltano con piacere dalla voce calda e armoniosa – col suo inconfondibile rotacismo – di Francesco Guccini. Una voce invecchiata bene e ben composta in arrangiamenti originali (qualcuno invero audace), con strumenti assortiti e talvolta desueti (dal banjo al flicorno, passando per la chitarra manouche, la tuba e la ghironda). Provare per credere.

Paolo Sassi

genere: canzone popolare
Francesco Guccini
Canzoni da intorto
etichetta: Universal Music
data di uscita: 18 novembre 2022
brani: 11 + 1 traccia fantasma
durata: 40′ 35″ + 1'40”
album: singolo

[1] Guccini esegue in ucraino Sluga Naroda – sigla della serie televisiva Servitore del popolo, con protagonista Zelensky – concludendo con il saluto nazionale Slava Ukraini.
[2] Commentai l'evento l'11 marzo del 2016 con un post dal titolo «Cinquant'anni dopo. Guccini ad Auschwitz insieme a Zuppi», in https://www.notizieitalianews.com/2016/03/cinquantanni-dopo-guccini-ad-auschwitz.html
[3] Zuppi inserì nella lettera – tante almeno ne ho identificate – citazioni appropriate da ben 10 canzoni di Guccini: cfr. https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-06/il-cardinale-il-cantautore-e-l-amicizia.html.
[4] Cfr. https://www.la7.it/propagandalive/video/diego-bianchi-intervista-francesco-guccini-07-12-2019-297381?fbclid=IwAR221JoUsCqVnfLv0Qlo6cWkO9bVfQ-99fTdAb81SXCM49pvEWf0Zck5Gwk
[5] Il sito ufficiale conta 26 libri – dal 1989 al 2020 – da solo o in collaborazione con altri: https://www.francescoguccini.it/bibliografia/.
[6] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Sigmund_Friedrich_Wilhelm_von_Leutrum; «diso na còsa, che Dio ‘n përdon-a:/fede ‘d barbèt, costum d'alman,/peusso nen meuire da bôn cristian». Dico una cosa e che Dio mi perdoni: fede valdese, divisa alemanna, non posso morire cattolico.
[7] Anche se invece ha messo mano ad un vero e proprio dizionario del dialetto di Pavana: cfr. http://www.francescoguccini.it/bibliografia/dizionario_del_dialetto_di_pavana/.
[8] Nell'introduzione all'esecuzione di Al trést infatti Guccini disse: «è una canzone in dialetto modenese, che vuol dire “il triste”. Chi non capisce, sfiga per lui. Tanto alla radio ascoltate il novanta per cento di musica americana senza capire un cazzo, stasera ascoltate il dialetto modenese con lo stesso effetto».
[9] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=2SAKL3fRyc8.
[10] Così ha scritto Massimo Iondini su Avvenire del 18 novembre, «Francesco Guccini, la locomotiva sbuffa ancora» (https://www.avvenire.it/agora/pagine/francesco-guccini-la-locomotiva-sbuffa-ancora).

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