Louis Massignon, Rifugiati europei e migrazioni internazionali

Louis Massignon Rifugiati europei e migrazioni internazionali
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Oggi il nome di Louis Massignon a tanti non dice nulla. Eppure, in passato, per molti – soprattutto per quelli della mia generazione – è stato un punto di riferimento obbligato per conoscere il mondo arabo ed islamico. Questo grande savant Pio XI, non a caso, lo definì «il cattolico mussulmano». Terziario francescano, mistico e pensatore cattolico francese di prim’ordine fu anche Professore al Collège de France, docente volontario nei corsi serali nelle banlieue parigine e nelle carceri. Durante un viaggio in Mesopotamia, nel 1908, viene salvato da una grave infezione da alcuni contadini musulmani che gli offrono ospitalità. L’episodio lo spinge a riconoscere il ruolo dell’accoglienza nelle relazioni tra gli uomini.  Anche alla sua riconversione al cattolicesimo. Senza ospitalità – secondo l’islamologo d’Oltralpe – non c’è alcun incontro né conoscenza dell’Altro. Convinzione scaturita dalla frequentazione, non solo intellettuale, con l’esperienza mistica di Mansur Al–Hallâj, il sufi nato a Baghdad nell’857 e torturato e condannato a morte il 27 marzo 922. A lui Massignon dedica la monumentale tesi di dottorato in quattro volumi discussa nel 1922 (e che secondo molti meriterebbe una traduzione italiana). È proprio l’ospitalità a essere centrale nell’esperienza religiosa e politica di Massignon.

Un libricino, Rifugiati europei e migrazioni internazionali (pubblicato nel 2017 per i tipi delle neonate Edizioni degli Animali, pp. 51, € 8) – purtroppo non facilmente trovabile – contiene un discorso dell’arabista francese, allievo del padre Charles de Foucauld, tenuto nel 1951 dinanzi all’Organizzazione internazionale dei rifugiati, dove si poneva come una questione cruciale: la relazione etico-politica della Comunità internazionale nei confronti dei rifugiati palestinesi del 1948.  In realtà, si tratta di una preziosa intuizione, diremmo profetica, della figura del profugo, della «presenza permanente tra di noi» di questa figura alla quale, secondo Massignon, bisogna dare un significato che riguarda i destini finali dell’uomo e dell’universo: «Il rifugiato è un elemento del sacro che la profanazione della nozione di ospitalità ci ha fatto dimenticare, a noi i civilizzati, quando la Bibbia l’aveva affermato come un dovere per il popolo di Israele e in seguito per i Cristiani».

Louis Massignon Rifugiati europei e migrazioni internazionali

Il testo di Massignon è di una attualità impressionante. Ci saranno sempre dei profughi. Evidentemente Massignon non considera solo la vicenda particolare del palestinese espulso dalla sua terra ma, più in generale, ma del profugo in generale considerato come «l’ombra di Dio sulla nostra vita, un’ombra che ci appare spesso come il nemico, quest’ombra è nera, sporca, essa contamina attraverso tutte le epidemie, indesiderabile, persino incosciente dei nostri sforzi per salvarla. Nell’ambito del diritto internazionale, noi possiamo sperare solo che il profugo sia trattato come se fosse al di fuori delle categorie attraverso un particolare riconoscimento sovranazionale della sua presenza permanente tra di noi». Una visione con precise e forti implicazioni politiche, quando ad esempio parla della «sovranazionalità del pellegrino», aggiungendo che «in questi tempi di progresso, di moltiplicazione dei mezzi di trasporto, il problema dei rifugiati pone una questione di geografia dinamica e non statica, un problema di mescolanza dell’umanità tendente verso la sua unità finale».

In questa straordinaria testimonianza all’Organizzazione internazionale dei rifugiati, in un momento in cui l’ONU era appena nata, Massignon si appoggia alla tradizione biblica ed evoca con forza Abramo e il suo patto di ospitalità concluso a Mamre. Evoca Sodoma e quella stessa ospitalità divina conclusasi con un battesimo suppletivo fra suo nipote Lot e i suoi ospiti, gli Angeli. «Ritorno alla mia visita nel paese di Abramo, all’attualità del suo patto di ospitalità con Dio, a quel luogo sacro di Mambre dove la Bibbia ce lo mostra mentre riceve la visita dei tre Angeli e, come diceva Martin Buber, dove il Kiddush (in ebraico la benedizione sul vino n.d.r.) di Abramo, aveva consacrato il pasto che lui gli offriva rendendo il nutrimento materiale lecito agli Angeli. Questa benedizione ha fatto rientrare tutta la creazione in quella società sovrumana che è fondata sul pasto dell’ospitalità. A Mambre gli Angeli venivano a provocare Abramo perché perorasse eroicamente la causa di una città condannata e maledetta, Sodoma, che aveva voluto abusare dell’ospitalità divina nella persona degli ospiti di suo nipote Lot. Noi stessi saremo condannati se manteniamo la stessa attitudine verso i profughi di oggi, perché il Giudizio Finale sarà dato come testimonia il Vangelo sui nostri doveri d’ospitalità».

Massignon racconta di aver incontrato due volte Gandhi e ne ebbe un’impressione straordinaria. Entrambi le volte a Parigi nel 1931. Da Gandhi occorre ritrovare quella modalità di porsi dinanzi agli oppressi, agli emarginati, ai poveri, che Massignon chiama «la scienza sperimentale della Compassione».

Gandhi «ha insegnato a ascoltare il grido degli esclusi, dei paria, dei profughi. È un grido sovrumano di separazione. Questo grido ci separa dai nostri, dall’ambiente che amiamo e ci lega strettamente a questi sventurati che non erano niente per noi. Se comprendiamo bene questo grido di separazione, sappiamo che non potremo ritrovare in essi una famiglia, poiché sono ospiti sacri, sono stranieri. Non dobbiamo cercare di assimilarli, ma dobbiamo sostituirci a Dio davanti a loro, alla loro mancanza, perché è Dio che ci attira a Lui tramite la nostra comune indigenza, è a loro che facciamo questa elemosina d’ospitalità eroica che Abramo, il primo profugo ha fatto a Dio».

Antonio Salvati

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