Luigi Proietti, detto Gigi

Gigi Proietti
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Un docufilm in cui Edoardo Leo, con garbo ed affetto, ci ricorda quanta grandezza ci sia stata in un attore che Roma sente come tutto suo; ma che ha voluto e saputo, recitando, parlare al mondo. Un tributo che Edoardo Leo ha inteso dedicare a , uno dei più importanti uomini di spettacolo italiani e, per gli abitanti della Capitale, la quintessenza di una romanità che sa evitare il becerume e liberarsi di un localismo piagnone, divenendo esempio di ironico savoir vivre.

E occorre dire che Edoardo Leo, i cui trascorsi attoriali sono, come è noto, di tutto rispetto, dimostra qui di avere anche una maturità ed una sensibilità registica, in grado di fare, di un documentario, un prodotto davvero godibile fino all'ultima scena.
Il racconto di Edoardo Leo si snoda attraverso lo sguardo e la memoria di chi ha conosciuto Proietti sin dagli inizi della sua carriera – gli amici, la famiglia, i colleghi – e alterna materiali inediti, pezzi di repertorio e cavalli di battaglia, fino a quella sua ultima intervista che, senza essere stata progettata per esserlo, ha finito per divenire il momento in cui un Proietti, tutto sommato pacificato, riflette prima ancora che sulla sua carriera, sulla vita incredibile che gli è toccato di vivere.

Edoardo Leo racconta che l'idea originaria, quando tutto nel 2018 ha cominciato a prendere forma, era per lui quella di indagare su come nasca e come raggiunga il successo un One-Man-show.
Nulla, a tale scopo, sembrava più adatto che raccontare – con le voci di chi, sin dal momento della sua ideazione, quell'esperienza aveva vissuto in prima persona – la straordinaria fortuna di quel “A me gli occhi please” che ha segnato una svolta – forse non la definitiva, ma certamente tra le più importanti, nella carriera dell'attore Luigi Proietti.
Ma presto a Leo è apparso chiaro – tanto più dopo l'improvvisa scomparsa di Proietti, proprio nel giorno del suo 80mo compleanno – che sarebbe stato pressoché impossibile analizzare il successo del mattatore di quello incredibile show senza indagare sull'intera parabola artistica di un attore che ha, alle sue spalle, non solo la capacità di far ridere fino alle lacrime lo spettatore, ma anni ed anni di teatro impegnato e collaborazioni con i più importanti attori e registi italiani, da Carmelo Bene a Antonio Calenda, ed a tutti quegli artisti, scrittori, attori, registi che rendevano particolarmente effervescente la vita culturale romana degli anni ‘60.

Gigi Proietti
Gigi Proietti foto Anna Camerlingo

Particolarmente importante, per la sua formazione artistica, ricorda Leo attraverso spezzoni di spettacoli, locandine e ricordi dei protagonisti, il legame tra Proietti e il Teatro Stabile dell'Aquila, oggi Teatro Stabile d'Abruzzo.
Fu proprio in quel teatro infatti che Proietti debuttò, da protagonista nel “Dio Kurt”, il 27 gennaio 1969, diretto da Antonio Calenda che lo aveva portato nel capoluogo abruzzese dal Teatro Centouno di Roma dove era un talentuoso attore esordiente; il testo di Alberto Moravia fece parlare di sé la stampa nazionale e mondiale, attirando lusinghe e condanne, consegnandogli la consacrazione a grande artista.
Poi ci fu “Operetta” di Witold Gombrowicz, che debuttò con la regia di Calenda nel Teatro Comunale dell'Aquila il 17 novembre 1969 e che fece scrivere di lui al critico teatrale Arturo Lazzari sulle pagine dell'Unità: “dimostra la sua versatilità intelligente, critica, esperta anche nella musica, nel canto, nella danza”.
Sì, perché Proietti trova sempre, anche nelle occasioni che potrebbero apparire le più lontane e di più difficile contaminazione, il modo di mettere a frutto le proprie esperienze giovanili, quando – per mantenersi durante gli studi che i suoi, ed in particolare il padre, volevano imporgli – con un ristretto gruppo di amici ( alcuni dei quali sono, nel film di Leo, tra i più emozionati testimoni della vicenda umana ed artistica di Proietti), aveva dato vita ad un complessino con cui consumava lunghissime notti nei night club, cantando dalle 10 di sera alle 4 del mattino, suonando la chitarra , il contrabasso o, all'occasione, il pianoforte.

Un artista poliedrico, dunque, che si conferma nel “Coriolano” fino ad arrivare a “La cena delle beffe” dove con la regia di Carmelo Bene, anche in scena come coprotagonista, debuttò a Firenze nel teatro La Pergola.
E fu proprio mentre era impegnato con Gombrowicz e gli altri mostri sacri del teatro impegnato, come ricorda ammiccando Proietti nel corso dell'intervista a Leo, che venne scoperto e “sequestrato” dal duo Garinei & Giovannini, alla ricerca di un sostituto per la parte che, in “Alleluja Brava Gente”, Domenico Modugno si era alla fine convinto a rifiutare.
Ricorda Proietti tutti i suoi dubbi e anche una qualche perplessità di ordine culturale: passare da Carmelo Bene a Renato Rascel non gli appariva, infatti, un momento di crescita professionale.
E qui Leo ha mille volte ragione nel far parlare Piovani che, proprio rievocando questo dissidio interiore e quella sorta di snobismo per cui la critica, in Italia, ritiene di dover mantenere separati ed  non comunicanti, i termini di “cultura” ed “arte”, quasi che un comico non possa essere anche un grande artista e un attore che reciti testi impegnatissimi non possa rivelarsi come un semplice guitto.
Ha ragione ancora Piovani quando ricorda come il grande teatro è quello capace di strabordare inondando il pubblico, mentre è piccolo teatro quello in cui tutto si mantiene nei limiti angusti del palcoscenico, lasciando gli spettatori asciutti, tanto fuori che dentro.
Ovviamente non sarebbe stato possibile un film su Proietti che non avesse messo in vista quelli che, fino all'ultimo, l'attore ha voluto chiamare i suoi “cavalli di battaglia” riproponendoli con la capacità di provocare la risata e l'applauso anche a chi ormai li abbia imparati a memoria.

Gigi Proietti
Gigi Proietti foto Anna Camerlingo

Le testimonianze dei suoi colleghi ed amici del mondo dello spettacolo –Renzo Arbore, amico da sempre, Lello Arzilli, Paola Cortellesi, Fiorello, Alessandro Fioroni, Alessandro Gassmann (che racconta della profonda amicizia del padre Vittorio con Gigi che giunge infine persino ad interpretarlo nel film Il premio), Marco Giallini (con lui nel suo ultimo film Io sono Babbo Natale), Loretta Goggi, Tommaso Le Pera, , Anna Maria Proietti e Marco Vicari – descrivono un Proietti ben diverso dal semplice Mandrake di Febbre da cavallo  e ne illustrano la versatilità di attore che sa passare da un genere all'altro, da un palcoscenico all'altro, al massimo con qualche difficoltà quando gli si chiede di non essere il mattatore, ma, come nell'edizione di Fantastico 4 del 1983, il semplice “annunciaospiti”.

La parte più interessante, quella in cui la personalità di Proietti viene ad essere esaltata nel racconto di Leo, è quella di una delle pagine più esaltanti e delle più dolorose nella vicenda umana ed artistica dell'attore.
Con un lavoro di anni, da quel Laboratorio di esercitazioni sceniche che Proietti aveva ricostruito al Brancaccio, sono usciti attori del calibro di Massimo Wertmüller, Rodolfo Laganà, Pino Quartullo, Francesca Reggiani, Giorgio Tirabassi, ed alcuni tra i volti televisivi e del settore “comico” più amati quali Gabriele Cirilli, Enrico Brignano, Flavio Insinna.
E infine, da un giorno all'altro, senza nessuna spiegazione che non sia la miseria di una città che rimane, nonostante tutto cialtrona, la dolorosa scoperta di essere stato sostituito, senza neppure una telefonata di preavviso, con Maurizio Costanzo.

Ma nella storia di Proietti, Leo ci porta ad assaporare quella che non può non essere considerata oltre che una rivincita, anche una ricucitura tra la vita del Luigi Proietti dell'Aquila e quella di Gigi, il grande affabulatore.
L'avventura del Globe Theatre, il teatro elisabettiano che Proietti e un intelligente e sensibile imprenditore come Silvano Toti hanno voluto, immerso in Villa Borghese, per presentare, come furono presentati dal Bardo nel suo teatro londinese, i grandi successi Shakespeariani, rimane come una eredità imperitura, adesso che Proietti non c'è più, per noi romani e per chi ami il teatro.
E ci fa ricordare il grande attore che ha saputo dimostrare come si possa fare grande arte sia declamando i versi incomprensibili del “Lonfo”, sia vestendo i panni del Maresciallo Rocca ed entrando, in punta di piedi e con la bonomia di un vero carabiniere, nelle case degli italiani; sia, infine, tenendo la scena, da solo, per tre ore, a 70 anni suonati, sulle assi del Globe nel monologo di “Edmund Kean”.
Un'ultima notazione. Edoardo Leo sceglie di far parlare del Proietti più intimo, le due figlie dell'attore, Carlotta e Susanna Proietti. Ma è soprattutto la sorella, a parere di chi scrive, che, in alcuni momenti di questa chiacchierata con Leo, dimostra che l'ironia e l'allegria, erano davvero, sin dall'inizio, nel DNA dei Proietti
Mauro Sarrecchia

Genere: Documentario
Luigi Proietti detto Gigi
Italia 2021
Regia: Edoardo Leo
Durata: 100 minuti
Data di uscita: 3 marzo 2022
Distribuzione: Nexo Digital

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