
Per l’otto marzo 2018 facciamo un salto nel passato riproponendo il report di un intervento della filosofa Luisa Muraro all’interno del Festival filosofico sull’Instabilità svoltosi a Roma il 12 maggio 2006.
Sono trascorsi dodici anni da allora e la filosofa (nota oltre che per i suoi scritti, anche per aver fondato la Libreria delle donne di Milano e, insieme ad altre, la comunità filosofica femminile Diotima) non ha smesso di impegnarsi nella ricerca e riflessione sui temi riguardanti il femminile non senza ricevere critiche, ad esempio di omofobia, per aver preso posizione sull’utero in affitto. Tuttavia il contenuto del testo seguente attenua e smentisce certe accuse, facendo luce sulla modalità d’approccio della Muraro alle questioni di genere e al linguaggio che ne scaturisce. La sua posizione, a una lettura più accurata, era ed è una posizione di flessibilità e dalla parte del dialogo e della libertà di scelta, restando fedele al valore del rispetto. Lo riproponiamo perché ci aiuta a capire le lotte di oggi, le manifestazioni, le scelte, il cambiamento, il desiderio di pace, lo sciopero. Sintetizziamo riflessioni legate a un ambiente accademico e di ricerca, insomma, ma affatto distanti da quelle che muovono le proteste in piazze, concrete e virtuali, oggi.
Il suo intervento in quella saletta gremita, ricordiamo, rispose in modo originale ad alcune questioni di fondo della riflessione femminile e femminista di quegli anni. In particolare, riguardo a quale differenza si desse tra femminismo dell’uguaglianza e femminismo della differenza e a che cosa unisse e cosa distinguesse il femminismo e la lotta per l’emancipazione.
Innanzitutto, la Muraro mosse da una convinzione: che il femminismo della differenza non fosse contro l’uguaglianza e che si potesse quindi tendere all’uguaglianza con l’uomo senza rinunciare ad affermare la differenza. Dunque non si sarebbe data quella netta separazione e quel dualismo introdotto dal dibattito femminista contemporaneo. Le cause di un fraintendimento pericoloso hanno origini anche storiche. In paesi come gli USA, ma non solo, le femministe hanno rivendicato diritti sulla base e ad imitazione dei movimenti degli afroamericani. Hanno dunque agito come se fossero un gruppo sociale. Ma non è detto che questa prospettiva sia corretta: le donne infatti non costituiscono un gruppo sociale distinto rispetto all’uomo. Quelle lotte hanno un difetto originario, quindi, e rischiano di rinchiudere l’originalità femminile in un ghetto.
Il femminismo da promuovere è invece, secondo Muraro, quello che valuta quanto la donna, come soggetto singolare, è disposta ad accettare le possibilità di libertà che ha nel presente. Partendo da sé, la donna può capire se vuole e deve, in base alle proprie esigenze, sospendere perfino la propria adesione al corso del progresso per prestare ascolto all’ordine simbolico.
L’ordine simbolico è l’immagine vera, di un ruolo femminile o di una situazione, che si manifesta quando si riesce a mettere il proprio vissuto in parole sincere di scambio dialettico. Questo, come il finale di un libro, può stravolgere tutte le aspettative sollevate nelle pagine precedenti. Infatti, le immagini stereotipate e accettate univocamente, come quella del ruolo di madre, rischiano di soffocare l’ordine simbolico, dotato invece del pregio di restituire autenticità alle peculiarità femminili. Spiegava: “Se oggi possiamo dire che il patriarcato è finito – rimanendo appunto sul piano simbolico, piuttosto che su quello sociologico – è grazie all’assenza di credito che le donne stesse ora gli affidano”. Ecco dunque una parola importante per il femminismo, secondo Luisa Muraro: il credito. La lotta delle donne non deve mirare soltanto all’emancipazione (poiché questo genere di lotta è smaccatamente legato alla competitività e giova all’economia capitalista: tant’è vero che le multinazionali lo promuovono), ma a guadagnarsi un terreno libero di scambio, di dialogo. Terreno in cui poter esprimere i propri disagi di soggetto e raccontare la propria storia, avendo credito dagli altri o dando credito a qualcosa, affidandosi. È questo che veramente oggi la donna dovrebbe esigere: poter partire da sé per aprirsi poi al mondo, cercando di non accettare di essere uguale a un oggetto.
L’asimmetria tra i sessi è dunque da accettare o no? Secondo Luisa Muraro, va accettata non escludendola dal dibattito. La differenza e la peculiarità dell’approccio di genere riguarda i diversi rapporti che hanno gli uomini e le donne con gli oggetti: “la donna sa che c’è tutta un’umanità nella donna, ma sa anche che c’è un altro sesso e auspica che anche l’uomo lo sappia”. E ancora: “Bisogna leggere mediante l’ordine simbolico le possibilità di rottura con una tradizione che sembra toglierci delle possibilità di libertà, il che vale in campo filosofico, politico, lavorativo e così via.”
La prima ondata di femminismo è nata nelle università americane, da donne che avevano abbandonato il movimento studentesco per associarsi, nella comune convinzione che qualcosa non andasse, per un malcontento condiviso. L’obiettivo era innanzitutto affermare la propria differenza dall’altro maschile. La seconda ondata del femminismo ha introdotto alcuni indubitabili progressi, ma ha anche lasciato alcune situazioni invariate. È positivo ad esempio che una ragazza madre non venga più stigmatizzata dall’opinione pubblica. Tuttavia, la morale cattolica ha probabilmente provocato aborti più di quanto non ne abbia evitati – affermava la Muraro, avendo cura di dichiararsi però non per questo anticlericale. Resta invece come un dato tragicamente attuale il perpetuarsi della violenza maschile sulla donna.
La presenza di tante correnti diverse in seno al femminismo, non costituisce soltanto una ricchezza del movimento. Sarebbe meglio, disse la Muraro, mettere piuttosto un punto di arresto alla decostruzione, sapere limitare lo stesso sapere critico, privilegiando un ascolto attento al vissuto. Sarebbe forse questa- concludeva- la strada per uscire davvero dalla macchina del dominio, come avrebbe auspicato Foucault.
Adelaide Roscini
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