
“L'arte è l'unico collante che permette di abbattere le barriere politiche e sociali e creare un dialogo tra chi ha visioni diverse, anche diametralmente opposte.” Così Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro, ha concluso la presentazione della mostra I favolosi anni ‘60 e '70 a Milano, promossa dalla stessa fondazione, a cura di Lorenzo ed Enrico Lombardi; realizzata da Poema, in collaborazione con l'Auditorium Conciliazione.
Parole estremamente significative in relazione ad una mostra realizzata a Roma ed esplicitamente dedicata alla città di Milano, perché sottolineano, rimarcando il sotto testo già presente nella locandina, che l'Arte, indipendentemente da dove, quando e da chi venga prodotta, rappresenta un elemento di unione per il suo carattere universale. Infatti, l'immagine usata per presentare l'esposizione non è quella di un'opera, un'installazione o di un momento di vita milanese ma è un luogo, o meglio, un “non luogo”, come direbbe Marc Augé, che in questo contesto assurge a simbolo di raccordo tra le due città protagoniste dell'arte contemporanea in Italia nel secondo dopo guerra: l'autostrada Roma – Milano.
La mostra I favolosi anni ‘60 e '70 a Milano, presso lo spazio Visionaria a Roma, si propone come proseguimento di un percorso espositivo iniziato concettualmente l'anno scorso, presso la Galleria Monogramma di via Margutta, con la mostra dedicata alla “Scuola di Piazza del Popolo”.
Gli anni '60 e '70 sono stati particolarmente effervescenti per il nostro Paese, un periodo di crescita e fermento intellettuale che si è sviluppato con caratteristiche del tutto peculiari a Roma e Milano. L'obiettivo dell'esposizione non è dunque quello di creare una sorta di competizione o rivalità tra le due città ma, al contrario, quello di farne emergere le differenze proprio per sottolineare la ricchezza e la varietà del panorama artistico del nostro Paese.
I favolosi anni ‘60 e '70 a Milano è una mostra viva che nasce dall'esperienza diretta di chi l'ha voluta, il presidente Emmanuele Emanuele e di chi l'ha curata Lorenzo ed Enrico Lombardi.
Il presidente Emanuele, in quegli anni faceva continuamente la spola tra le due città, arrivando, dunque, a conoscerle entrambe intimamente:
“A Roma – ha raccontato – si respirava un'atmosfera piacevole, morbida, governata dalla bellezza della città. Roma era la capitale del cinema e la cultura di massa incideva non solo sul contesto socio-culturale ma anche nell'ambito della creatività e della comunicazione contemporanea. Era molto attiva la Scuola di Piazza del Popolo, attorno alla quale ruotavano anche artisti non figurativi, come Gino De Dominicis e Giuseppe Unici. Roma, in altre parole, si poteva considerare il centro propulsivo della scena artistica nazionale.
Milano al contrario, era più proiettata verso la sperimentazione e, assorbendo l'eredità futurista, divenne il luogo deputato ad incarnare i valori della modernità.” “Milano era il fulcro dell'Avanguardia internazionale, in cui prendevano forma movimenti e tendenze, dallo Spazialismo, all'Arte Nucleare. Non a caso essa era caratterizzata da una forte animazione per così dire più “scientista”, in cui gli artisti, che ne proclamavano la primazia attraverso un serrato confronto con le Avanguardie europee, si connotavano per una visione molto soggettiva della loro creatività: penso a Enrico Baj, Roberto Crippa, Gianni Dova, Ugo Nespolo.”
Anche nei rapporti con l'estero le due città erano proiettate su traiettorie diverse. Roma, forte del rapporto tra Hollywood e Cinecittà, vedeva i suoi artisti, tra cui: Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Renato Mambor, maggiormente affini allo scenario statunitense, dominato dalla Pop Art; mentre Milano, più improntata alla ricerca scientifica, concettuale, divenne parte integrante di quella temperie culturale europea che coinvolse in particolare Francia, Belgio e Inghilterra.

La mostra, che si articola in un percorso costituito da trenta opere e, concettualmente, è suddivisa in quattro sezioni, ci offre uno spaccato di questa frizzante atmosfera milanese.
Dallo spazialismo di Lucio Fontana, all'Arte Nucleare con Enrico Baj, Pietro Manzoni e Gianni Dova; dalla ricerca sui monocromi e i volumi di Enrico Castellani, Agostino Bonalumi e Paolo Scheggi; alle tendenze più sperimentali di Valerio Adami, Fabrizio Plessi e Ugo Nespolo “che – per usare ancora una volta le parole del prof. Emanuele, particolarmente legato a Nespolo – utilizzarono le suggestioni provenienti dai mondi della nuova comunicazione, innestandole su una raffinata reinterpretazione di riferimenti alla storia dell'arte”.
Tuttavia, nella mostra, così come nella vita, queste sezioni non sono nettamente divise, ma si mischiano e si compenetrano, secondo un criterio curatoriale che ubbidisce più all'armonia del tutto che alla rigidità delle convenzioni. A supporto dei visitatori subentra il catalogo, edito da Gangemi editore, arricchito dai contributi critici di Alberto Dambruoso, Guglielmo Gigliotti e Lorenzo Canova.
I testi sono essenziali per comprendere come, al di là delle ripartizioni, l'ambiente intellettuale e artistico milanese fosse fluido, aperto alle contaminazioni, al dialogo e agli scambi, nazionali e internazionali. La sperimentazione era all'ordine del giorno, per portare l'arte oltre le regole, i canoni, gli schemi, come se lo scopo ultimo fosse andare oltre la linea: “In una sublimazione del gesto e della materia che, forse, potrebbe trovare in Lucio Fontana il suo maggior (ma non unico) caposcuola” per usare le parole di Lorenzo Canova. Del resto, come sottolinea Gigliotti: “L'importanza storica di Lucio Fontana, al di là dell'altissima qualità delle sue opere, sta nel fatto che egli non solo fu mosso da slanci volti a rivoluzionare i linguaggi dell'arte, quanto le stesse radicate concezioni che ne stanno alla base”. Mentre, dal testo di Dambruoso emerge come i movimenti artistici che animarono Milano nacquero sulla scia dello Spazialismo per cercare: “Una fuoriuscita dalla dimensione fisica della tela o della scultura e andare alla ricerca di altri spazi.”
La mostra rappresenta un punto di vista privilegiato per riflettere su questo fecondo periodo che, grazie alla spinta innovativa e sperimentale, ha rappresentato un punto di svolta nell'arte italiana e internazionale. E se, come affermato dal prof. Emanuele: “L'arte non ha tempo ma, contemporaneamente, esprime sempre la propria epoca e rappresenta la testimonianza più attendibile del livello di civiltà di volta in volta raggiunto.” Direi che per non perdersi, nello scenario attuale, in continua e rapida evoluzione, è importante tenere il faro puntato sull'oggi, senza perdere di vista quello che è stato; non solo in antico, ma anche ieri, perché è nel passato più recente si possono trovare le ragioni del presente.
Ludovica Palmieri
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