Maria Grazia Galatà, La bruma

Maria Grazia Galatà La bruma

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Fuoco, che m'arde alla più algente bruma
(Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta, CLII, 8)

Una consonanza nel soffrire si stabilisce tra l'artista e il canto che riempie con le sue note, dolci e strazianti insieme, il vasto paesaggio nel nuovo libro di Maria Grazia Galatà alle prese con una sfida espressa da una centrale:
«non trovo rifugio se non nella memoria/d'//orfana//un passaggio fugace la vita».

Davvero effimera è ogni gioia in terra, come un canto che si perde nel buio della notte. La riflessione soggettiva diviene un'universale riflessione sul destino di tutti gli uomini su cui si era esercitata la sapienza antica e che nella Galatà si sdoppia in un volto dai tratti delicati: specchio, ora fedele ora deformante, del nostro animo inquieto di come tradurre nelle forme dell'arte i turbamenti della caducità attraverso il decadere inesorabile del tempo. Ma come si legge in esergo, a pagina 5: «Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l'immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza» (Louis-Fernand Céline, Viaggio al termine della notte, 1932).

La vita è come un lungo pellegrinaggio, rivolta all'unico indirizzo che merita il nostro amore di uomini; e la memoria rivisita le proprie occasioni particolari,Maria Grazia Galatà La bruma cercando di ricostruire nelle mille metamorfosi suscitate dalla poesia il senso unitario di un'esperienza altrimenti frammentata e incomprensibile: «mentre arrivava l'estate/ d'un tempo azzurro e calmo/ la sera delle luci e i canti/sulla riva inviolata/ μεταμόρϕωσις» (p. 11).

La memoria della poeta riassapora l'estasi remota ma nel contempo qui accanto a noi, in un tempo che è insieme il passato e il presente, oltre il tempo nell'incanto di una perfezione che non passa sospesa tra il parere e l'essere, tra il finito della realtà e l'infinito del sogno «più in là c'è il mare/frammenti di memoria /navi che tagliano cieli/ e silenzio» (p. 30). Così William Blake, in Jerusalem: «Tutto ciò che scorgi, benché ti appaia fuori, è nella tua immaginazione, della quale questo mondo di mortalità non è che ombra».

In Galatà, dunque, sulla spinta di una straordinaria capacità immaginativa e di un personale impulso visionario, matura l'idea di unire la poesia e la fotografia in una perfetta sintesi artistica, che rappresenta una suggestiva fusione inscindibile se si vuole cogliere la profondità dei suoi messaggi; così costruisce la sua meditazione, procedendo dal piano particolare a un piano più generale: «noi ché si va altrove/ senza soffrire/l'/ obbligo /della morte».

Sul piano stilistico, il dettato si presenta volutamente spoglio di ornamenti retorici, teso all'essenzialità di un'austera meditazione, mentre la scansione sintattica dei versi coincide con la scansione metrica, con effetto di una sonorità diffusa entro cui immergere i vari elementi; ed è incontestabile la singolare capacità dell'autrice di suscitare immagini in movimento, sonore generative di dialoghi e di storie. I “bianchi” che contornano le strofe segnalano l'importanza del silenzio in cui la poeta immerge le poesie. L'assenza di punteggiatura e il mancato uso delle maiuscole rafforzano il suo linguaggio autonomo.  Lo stile sembra sottolineare la sottile inquietudine che serpeggia anche nel magnifico dialogo-monologo lebensverhältnis (condizioni di vita) (pp. 41-42): «Come si arriva dall'altra parte – dietro le spine tra l'acqua/e questa morte lenta?  Chiedo. / Dunque il vuoto? /Risponde un uomo al di là di uno sterrato tra un viottolo in una strana casa diroccata ai lati – il vento/Mentre chino poggia la mano sulla fronte febbricitante. / Signora mia– dice – il tempo non è a mio favore purtroppo/è lento e poi va su velocissimo – sa è una questione di equilibri /ah – gli equilibri…». E ancora «Un gancio che ci prende su e giù veloci nella paralisi del vuoto – siamo quelli che parlano con i morti nella voragine dell'isolamento – sperando in una redenzione» (p. 43); o «Ah –   arrivi   dall'altra parte – dopo lo sterrato dove si nascondono/le foglie – tra la bruma dell'inverno e il vuoto in questa morte lenta» (p. 45).

Nel dialogo-monologo dell'anima con sé stessa si coglie qua e là la risorgente forza del sentimento amoroso, alluso come un'ineliminabile dicotomia che incrina le consapevolezze raggiunte dalla mente. Ma Il tema della riflessione è lo scorrere del tempo e, trattandosi di una riflessione universalizzante, la dimensione temporale viene allusa su un piano soltanto generale: la poeta si riferisce a un futuro indeterminato, mentre il presente si va caricando di segnali premonitori della fine. Ugualmente assente è la dimensione spaziale, come a conferire maggior rilievo alla dimensione interiore, che occupa l'intero spazio poetico. La bruma scaturisce da un progetto artistico e articolato impianto ideale che comprende tutti i più significativi problemi del dramma esistenziale umano: la lotta tra il bene e il male, tra libertà individuali e codici morali, una velata denuncia delle discriminazioni e dell'egoismo tipico di una visione meccanicistica, infine i destini dell'umanità. Vale la pena leggere e rileggere La bruma, scoprire che dal brulichio di sensi (nucleo più evidente) della poesia di Maria Grazia Galatà può scaturire la  μεταμόρϕωσις intesa in qualcosa di filosofico e in un'idea di palingenesi, qualcosa di prezioso, come un bilancio estremo e necessario se letto sullo sfondo di una totalità.

Maria Allo

Maria Grazia Galatà
La bruma
Marco Saya Edizioni, 2023
pagine 62
€ 12,00

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