
Con la solita lunga lista di collaborazioni i Massive Attack sono tornati. Si erano annunciati nel 2009 con l’Ep Splitting The Atom prima di partorire questo quinto album in studio, registrato tra Bristol, Londra e New York.
Una gestazione complessa, accompagnata da continui dubbi sulla solidità della band. I rapporti tra i componenti sembrano essere migliorati. C’è stato addirittura un contatto diretto, durante un concerto a Parigi, con Tricky lontano componente della band[1].
Del Naja (in arte 3D) e Grant Marshal (in arte Daddy G.) considerano Heligoland come un figlio <<accudito assieme, a differenza di quanto accadde per gli ultimi due dischi. Siamo stati in studio tutti e due cercando di finire le tracce una alla volta pensandole omogenee e delle quali fossimo soddisfatti entrambi>> [2].
Un figlio che, come anticipavo, ha anche altri genitori che grazie alla libertà espressiva della loro partecipazione [3] hanno contribuito alla crescita sana del nascituro. Il solo fatto che tutti i brani cantati dagli ospiti siano stati scritti direttamente dagli interpreti è un segno tangibile.
Prima di fare il solito resoconto è doveroso premettere che qui mancherà un riferimento alla produzione visiva strettamente correlata alla visione artistica dei loro progetti e che meriterebbe altro spazio. La stessa scrittura di colonne sonore (l’ultima è Gomorra vincitrice del David) è testimonianza di queste relazioni.
I sette anni trascorsi dal precedente 100th Window non sono trascorsi invano secondo Gentile. Un grande lavoro che potrebbe mettere d’accordo tutti per la contemporanea presenza sia delle sonorità black e trip-hop che quelle algide e claustrofobiche. Forse la migliore testimonianza di questa compresenza è Pray For Rain <<ritmo freddo e quasi militare associato alla calda voce di Tunde Adebimpe dei Tv On The Radio, fino alla intensa esplosione centrale in pieno stile trip-hop>>.
In un album dove non ci sono cadute spiccano Girl I Love You e Atlas Air con Del Naja al canto <<ritmo tirato e suoni psichedelici, oltre sette minuti in cui si balla, si sogna e si perde nettamente il contatto con la realtà>> [4].
L’ultima Atlais Air è il meglio anche per Mattedi all’interno però di un giudizio contrastato. Heligoland non va paragonata ai momenti migliori perché risulterebbe una delusione e allo stesso tempo mostra momenti interessanti man mano che si procede nell’ascolto. <<Il songwriting in certi momenti è più prevedibile…, ma permangono apici interessanti e guizzi melodici con cui si ottengono diversi brani piacevoli, immersi come sono in atmosfere cupamente elettroniche dal retrogusto decadente o intrise da arrangiamenti acustici minimali>>.
La sua recensione presenta un confronto con l’altra band di Bristol i Portishead che con Third erano tornati dopo un lungo periodo di assenza. Ma mentre quest’ultimo presentava uno scarto ampio rispetto al passato Heligoland prova a conciliare varie tematiche della loro produzione e ad <<assemblarle in qualcosa di familiare e ugualmente oscuro>> [5].
Nemmeno Faggi tralascia, sia pur velocemente, un raffronto con i Portishead di Third. La claustrofobia nei Massive Attack non <<punta ad un risultato ambientale avvolgente e non mette in pericolo gli effetti più spettacolari della scrittura>> rispetto a Third.
È un ottima prova con il marchio collettivo di fabbrica e dove non sembrano esserci cali di tono. Anzi si trovano elementi che ne stimolano l’ascolto. Sonorità che subiscono, rispetto ai precedenti lavori, <<un innesto doloroso ed emozionale tra acustico ed elettronico>> [6].
Ottimo giudizio anche per De Luca che trova in quest’album la prima <<grande canzone del decennio>>: Saturday Comes Slow interpretata alla perfezione da Damon Albarn.
Sono sempre le voci degli altri interpreti che innestano calore umano alle sonorità <<click & cut da insetti impazziti>> [7].
Una magia, <<un viaggio dalla apparente leggerezza d’apertura (Pray For Rain) nell’oscura metropoli buia e suburbana>>. Per Errico un disco superbo con echi delle loro produzioni precedenti dove spiccano Flat Of The Blade <<una tensione crescente perfettamente resa dalla straniante voce di Guy Garvey (Elbow), algida frequenza sincopata su un testo splendidamente associato>> e Saturday Comes Slow che resisterà all’usura del tempo e dove la voce di Damon Albarn è <<in assoluto primo piano su un tappeto di disorientamento musicale>> [8].
Ciro Ardiglione
genere: elettronica
Massive Attack
Heligoland
etichetta: Virgin
data di pubblicazione: febbraio 2010
brani: 10
durata: 53:40
cd: singolo
[1] Lo riporta Luca Garavini, “Massive Attack, viaggio ad Heligoland”, www.rollingstonemagazine.it, 11 dicembre 2009; in un’intervista alla BBC lo stesso Marshal ha parlato di una possibile presenza in un brano dei MA, in “Esce “Heligoland” e Tricky si riunisce ai Massive Attack”, http://musica.tiscali.it, 10 dicembre 2009
[2] È quanto dichiara Grant Marshal a Polo Minella in “Viaggi immaginari in 3D da Bristol a Heligoland”, Alias 7 settembre 2009, pag. 15
[3] Tra gli altri si annoverano: Damon Albarn, Horace Andy, Angelo Bruschini, Neil Davidge, Jerry Fuchs, Billy Fuller, Tim Goldsworthy, Martina Topley-Bird, Guy Garvey, Damon Reece Hope Sandoval, Tunde Adebimpe, Adrian Utley , John Baggott
[4] Ercole Gentile, www.rockol.it
[5] Alessandro Mattedi, www.rockline.it; tra l’altro va ricordato che Adrian Utley dei Portishead suona la chitarra in Saturday Come Slow [ndr]
[6] Michele Faggi, www.indie-eye.it, 30 gennaio 2010
[7] Fabio De Luca, www.rollingstonemagazine.it, 22 gennaio 2010
[8] Stefano Errico, www.affaritaliani.it
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