
Al Piccolo Melato di Milano abbiamo visto Matilde e il tram per San Vittore, con la regia di Renato Sarti e l'interpretazione di tre splendide attrici: Arianna Scommegna, Debora Villa, Rossana Mola, accompagnate da una piccola promessa del teatro milanese come Giulia Medea.
Le repliche si sono concluse, le luci spente. L'eco degli applausi è ormai lontano. Applausi che sembravano non finire più. Sembrava il tentativo del pubblico di non lasciare andare le attrici, di non separarsi da loro. Era il modo di ringraziare per essere stati accompagnati nel gioco della memoria, della consapevole rievocazione storica di un passato ormai lontano, ma che non può e non deve essere dimenticato, perché il passato dimenticato è un passato che può tornare ad aggredirci.
Le recite si sono concluse. La compagnia è tornata alle proprie attività. A noi rimane in bocca il spore di un grande spettacolo, e la possibilità di ripercorrerne il senso, e più in generale il senso del fare teatro oggi, attraverso le interviste rilasciate da Renato Sarti e Arianna Scommegna, di cui mi sono perdutamente innamorato per la pacifica passione, per il suo donarsi interamente ai personaggi, senza reticenze.
È un testo drammatico quello scritto da Sarti che però non indulge alla lacrima facile, sfruttando la ghiandola del singultino, del piagnucolino come l'ha definita ironicamente il regista stesso, che ci ha spiegato come il suo tentativo sia quello di mettere in moto un meccanismo in cui attraverso la lucidità, l'analisi del testo, la logica che sta dietro alle parole, l'attore agisce sul palco. Io amo che si riesca ad arrivare alla commozione del pubblico, ma attraverso un ragionamento. Obbiettivo raggiunto grazie alla presenza di Rossana Mola, che aveva già lavorato in passato con il regista, di Debora Villa che in quanto attrice comica è meno incline a usare gli stratagemmi della lacrimuccia facile, e Arianna Scommegna grande attrice che ha sostituito degnamente Maddalena Crippa.
Ma vediamo più da vicino di che cosa parla questa pièce. Racconta dei grandi scioperi avvenuti nel Nord Italia, in fabbriche come la Breda, la Falk, la Pirelli, la Magneti Marelli. Dapprima sono scioperi per motivi economici. Sono le donne a iniziare. E saranno gli scioperi più grandi fatti sotto Mussolini, i più grandi in Europa sotto i nazisti.
Parte tutto da un uovo, o meglio da mezzo. Tanto il pasto che le donne si trovano improvvisamente a mensa dopo turni massacranti di lavoro. Via via gli scioperi diventano sempre più politici e la repressione nazifascista si farà sempre più spietata. Al motto di nebbia e terrore entrano nelle case in piena notte, portano via gli uomini, li deportano nei campi di concentramento. Le donne rimangono da sole, a combattere la paura, a cercare di aiutare i loro uomini: torturati, rinchiusi nelle carceri, stipati nei vagoni.
La scenografia è semplice: alcuni tavoli in ferro. Si tratta di uno spettacolo di parola, dal ritmo sostenuto, che avvinghia lo spettatore, trascinato dalle repentine entrate e uscite delle attrici, che prendono di sorpresa. Non sono mai là dove ti aspetteresti. Ma quello che impressiona è la fisicità che avvolge il pubblico. Una scena su tutte: i treni vengono piombati, la folla, la concitazione della partenza, sferragliare dei treni, i tavoli percossi dalla furia delle attrici e poi… improvviso, il silenzio. Silenzio in scena. Silenzio delle rotaie ormai svuotate dai treni evocati.
Si susseguono storie di donne, sole, coraggiose, che combattono, donne capaci di perdonare gli aguzzini, donne che amano, donne che soffrono, donne che nella loro meravigliosa umanità sono riportate alla dignità della storia, dalla passione di Arianna, Debora e Rossana. Storie di donne e dei loro uomini trascinati nel gorgo dei crimini nazifascisti, donne e uomini normali che seppero affrontare tempi eccezionali.
Furono cinquecentosettanta le persone risucchiate dalla follia nazista. Quasi la metà non fece ritorno. E tra quelli che tornarono ci fu chi morì poco dopo per le sofferenze e le malattie. Si deve a Giuseppe Valota, presidente dell'ANED di Sesto San Giovanni che ha sostenuto lo spettacolo, ci tiene a precisare Sarti, e alla tenacia con cui Valota ha raccolto nell'arco di vent'anni le testimonianze dei sopravvissuti se noi oggi possiamo ricostruire quelle storie minime. Storie minime che noi riteniamo costituiscono da sempre la trama e la filigrana della Grande storia.
Arianna Scommegna ci ricorda come sia necessario mettere in scena le parole e le azioni di quei tempi. Quello che racconta Matilde è quasi salvifico. Nel senso che mettere in scena questo pezzo di storia particolare, ricordare e continuare a ricordare, raccontare che ci sono state queste persone è come dargli ancora un senso, restituirgli un pezzettino di vita. Ricordare che ci sono state delle persone che hanno avuto questa forza, questo coraggio, questa umanità così coinvolgente, così generosa, ci fa crescere.
Renato Sarti dal canto suo non si è sottratto al dovere di raccontare e l'ha fatto rimanendo fedele al compito che si è dato con il Teatro della Cooperativa di essere presenza attiva nella società civile, sul territorio. Ecco come racconta la scelta della giovane attrice che interpreta Matilde e che con la sua voce semplice e forte chiude lo spettacolo.
La scelta è avvenuta attraverso un progetto molto lungo. Ho dato il libro di Valota, Dalla fabbrica al lager, da cui è nato lo spettacolo, a tre scuole diverse, tra cui l'Istituto Milani di Monza in cui in una seconda c'era anche Giulia. Ho dato il libro prima delle vacanze e ho chiesto di leggerlo. Chiedendo ai ragazzi di sottolineare i punti che sembravano più interessanti. Successivamente abbiamo iniziato a elaborare insieme due o tre scene.
Grande lavoro quello di Sarti. In grado di parlare con i giovani, di coinvolgerli in un lavoro di scrittura, di laboratorio teatrale e di recitazione. Un teatro quello di Sarti capace di uscire dalle accademie, di intervenire sul territorio. È un teatro che diventa impegno civile e magistrale. Attraverso il lavoro di discussione e di interpretazione che ha visto coinvolto un Istituto, un liceo e una scuola media inferiore, il Teatro della Cooperativa è arrivato a selezionare le giovani attrici che nel corso del tempo si passeranno il testimone per interpretare il personaggio di Matilde. Inoltre ha dato ai giovani studenti la possibilità conoscere la storia dei luoghi in cui vivono.
Ma ecco come si esprime Arianna Scommegna su Giulia e sui giovani.
Purtroppo non abbiamo scene insieme in cui ci parliamo. Però quei momenti di condivisione, anche solo di uno sguardo, così profondo, così semplice, è un insegnamento anche per me. La sua presenza così limpida, così pulita, con così poche sovrastrutture, come quella che può avere una giovane ragazza di 14 anni è uno specchio di qualcosa che nutre. È un tipo di purezza che fa bene guardare negli occhi. Fa bene lasciarsi andare a quest'anima allo stesso tempo così forte, ma anche così sorpresa rispetto al mondo. Lo stesso personaggio che Giulia racconta, quello di Matilde, è quello di una ragazzina che scopre la sua forza vivendo. La gioventù è così. È forte e non lo sa. I giovani sono potenti, inconsapevolmente, però lo sono. Questa forza, questa bellezza è molto stimolante. Guardare negli occhi una ragazza così sul palco è una cosa che commuove, dà anche una carica energetica diversa.
Belle le parole della Scommegna. Sono parole d'amore nei confronti dei giovani. Sono parole potenti. Ed è un piacere ascoltarle dalla bocca di un adulto. Poiché gli adulti sono spesso poco inclini a riconoscere la bellezza della gioventù, della vita che cresce. Poiché troppo spesso sono invidiosi dell'ampiezza di futuro che ai giovani spetta.
Non si può che ringraziare il Piccolo che ha avuto la lungimiranza di ospitare per il secondo anno consecutivo una produzione del Teatro della Cooperativa. Non si può che ringraziare Renato Sarti e Arianna Scommegna per la lezione civile che ci hanno consegnato, e per il loro amore per il teatro.
Ecco che cosa rappresenta il teatro per Renato Sarti:
C'è un bellissimo modo di dire triestino che racconta che cosa succede quando entri in un posto e non impari niente “Sono entrato vuoto come un baule e sono tornato a casa vuoto come un cassone”. Ecco, il teatro non deve essere questo. Il teatro in qualche modo dovrebbe un pochino porre delle problematiche. Deve essere in grado di far sì che quando una persona esce da teatro magari riflette su una battuta sentita sul palco quando è al lavoro, in università, quando è preso dal suo quotidiano. Si tratta di porre domande o attraverso la risata o il pianto che in qualche modo smuovono qualcosa dentro. Anche se fosse un tentativo destinato al fallimento più totale. Anche se le persone entrassero a teatro e ne uscissero come erano prima, è un tentativo che dobbiamo fare. È fondamentale in un paese come il nostro che ha fatto dell'oblio lo sport nazionale e della memoria storica una sorta di optional.
Appassionata anche la visione del teatro che ci consegna Arianna Scommegna.
Sono parole che hanno accenti diversi da quelli proposti da Sarti, ma che sembrano riprendere, pur nelle differenze lo stesso impegno profondo.
Il teatro che io amo è quello che in qualche modo si rifà al teatro classico. Dove l'uomo si specchia e si confronta con le proprie paure, le proprie fragilità, con le proprie meschinità, e guardandosi prova a immaginare, la possibilità di un'alternativa. Senza dare necessariamente risposte. Senza dire questo è giusto, quest'altro no. Noi abbiamo dei limiti. Il teatro è quel luogo dove ti confronti col limite in maniera pacifica. Stai lì e ascolti. In una dimensione di ascolto ti confronti col limite. Il limite è spaventoso, è un baratro. Con il teatro si ha un luogo protetto dove si può provare a sfiorare con l'immaginazione il limite.
Si è fatto tardi.
Devo consegnare il pezzo.
Vorrei e potrei rimanere ore in compagna di Arianna Scommengna, di Renato Sarti, delle splendide donne di cui hanno raccontato con amore e vividezza.
Ci sarebbero tante altre cose da raccontare.
Ma è ora di andare.
Spero solo di essere riuscito attraverso le mie povere parole, a restituire almeno in minima parte la passione che trasuda dallo spettacolo e dal lavoro del Teatro della Cooperativa: Matilde e il tram per San Vittore.
Gianfranco Falcone
https://www.disaccordi.it/
Piccolo Teatro Studio Melato
dal 28 maggio al 9 giugno 2019
Matilde e il tram per San Vittore
di Renato Sarti
dal libro di Giuseppe Valota Dalla fabbrica ai lager
regia Renato Sarti
con Arianna Scommegna, Debora Villa, Rossana Mola
e con Giulia Medea/Elisa Rusu nel ruolo di Matilde
scena e costumi Carlo Sala
musiche Carlo Boccadoro
luci Claudio De Pace
progetto audio Luca De Marinis
dramaturg Marco Di Stefano
produzione Teatro della Cooperativa con il sostegno di ANED
con il patrocinio di ANPI, Istituto Parri e ISEC
e con il patrocinio dei comuni di Albiate, Bresso, Cinisello Balsamo, Monza e Muggiò
spettacolo sostenuto nell'ambito di NEXT ed. 2017/18 Regione Lombardia
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