Mediazione: opportunità (per cittadini) o (illusione) per disoccupati?

processo tribunale giustizia
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Alcuni numeri rendono con chiarezza la gravissima situazione italiana  della giustizia civileInfatti, solo in materia civile, abbiamo oltre 5.600.000 di cause pendenti. La  durata media dei processi è 12 anni per cui l’ITALIA è al 156° posto nella classifica mondiale di durata (Rapporto Doing Business 2010).  Il  recupero crediti (giorni): ITALIA 1.210, SPAGNA 515, INGHILTERRA 399, GERMANIA 394, FRANCIA 331, USA 300. ll costo annuo giustizia (in miliardi di €): ITALIA  4,088 FRANCIA 3,350, SPAGNA 2,983, OLANDA 1,613.

Una risposta a questa situazione dovrebbe essere la conciliazione obbligatoria: infatti  lunedì 20 marzo  è entrata in vigore il d. lgs. 28/2010. La legge, sollecitata da una direttiva europea di qualche anno fa,  prevede che per molte materie  non sarà più possibile rivolgersi alla magistratura senza aver tentato prima la strada della “mediazione” davanti a uno degli organismi abilitati. Solo se le parti non troveranno un accordo in quella sede, si potrà andare in tribunale.
La obbligatorietà è prevista per alcune materie e cioè: diritti disponibili in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Per il risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti e il  condominio, l’obbligatorietà scatterà tra un anno.
In sostanza chiunque pensi, per esempio, in materia di successione di essere in conflitto con uno o più altri co-eredi, prima di chiamarli in giudizio dovrà convocarli presso un mediatore che tenterà, nel termine massimo di quattro mesi, di pervenire a una conciliazione. Solo dopo  l’eventuale fallimento del tentativo, le parti potranno ricorrere al giudice. I prezzi sono predefiniti e molto contenuti e l’eventuale accordo potrà essere facilmente reso esecutivo dall’omologazione del Presidente del tribunale.
Sappiamo tutti che le cause civili, oltre a essere molto onerose, comportano incertezze di esito per molti anni e forse proprio per questo non danno sufficienti garanzie di un giudizio giusto ed equilibrato. I costi sociali sono elevatissimi e le conseguenze sono quelle elencate nelle statistiche ricordate all’inizio.
Ma le nuove disposizioni potranno contribuire alla soluzione e quali sono i limiti della nuova normativa?

L’ordine degli avvocati afferma che la normativa è incostituzionale sotto molteplici aspetti, che è contro i diritti dei cittadini, che è escludente nei confronti degli stessi avvocati, che è viziata da una logica strettamente economicista,  nonché dettato da precisi settori dell’impresa di questo Paese (Confindustria, banche, assicurazioni). In sintesi – si tratterebbe di un processo di svendita della giurisdizione e di privatizzazione della giustizia civile, nonché di un attacco duro alla professione di avvocato visto che la legge dispone che il patrocinio legale è solo facoltativo.
Il Ministro Alfano ha dichiarato che con la media-conciliazione obbligatoria <<conta di tagliare 300 mila controversie nei prossimi 12 mesi e altre 700 mila dal 2012>>.
Ma questo strumento può efficacemente decongestionare la mole di cause pendenti senza ledere i diritti dei cittadini? O si tratta solo di complicazioni aggiuntive e di un ulteriore inutile e costoso allungamento dei procedimenti che, come dicono gli avvocati, è incostituzionale, perché impedisce l’accesso alla giustizia prevista dall’art 26 della costituzione?

L’ autocomposizione delle liti e il modo di affrontare le cosiddette “small claims” – controversie di modesta entità, che sono in continuo aumento – richiederebbe  una  risposta agile e innovativa e, di conseguenza, meccanismi contrattuali di composizioni delle liti che evitino il ricorso a  una decisione di un’autorità esterna alle parti; per questo Il procedimento di mediazione si sta sempre di più affermando in molti paesi: in questa direzione il legislatore italiano si è già mosso per istituire strutture di conciliazione (facoltativa e alternativa al giudizio) per esempio in materia bancaria e creditizia o in materia di diritti dei consumatori o delle ormai frequentissime  liti  trasfrontaliere (come ad esempio quella relativa alla lite di un Italiano che prenota un week end in un lussuoso albergo in un’isola greca ma scopre che l’albergo assomiglia più ad un ostello).
Purtroppo nella formulazione della legge sulla mediazione obbligatoria sono state operate alcune scelte che potranno pregiudicarne gravemente l’efficacia e invece di dare una mano ai cittadini creeranno inevitabilmente una serie di problemi.
Innanzitutto l’esercizio della attività di mediazione-conciliazione. Per la legge deve essere esercitata da un terzo imparziale che possa assistere le parti nella ricerca di un accordo; ma chi è questo soggetto imparziale, come esercita la sua professione e come è reclutato e addestrato  per diventare “Mediatore- conciliatore”?
L’esercizio della attività può essere affidata ad enti pubblici o privati e non a professionisti  e per gli enti privati l’adempimento più importante da assolvere è la stipula di un’assicurazione di 500.000 € per gli eventuali danni provocati da errori od omissioni nel procedimento di conciliazione.
Ovviamente molte strutture private hanno voluto essere pronte all’appuntamento insieme alle Camere di Commercio;  per cui, almeno inizialmente  l’attività sarà condizionata da organismi che hanno colto l’opportunità del nuovo business. In questo momento in Italia sono già operative un paio di centinaia di società sparse a macchia di leopardo sul territorio,  ad esempio non ne esistono in Sardegna e Valle d’Aosta mentre in provincia di Trapani ci sono più organismi che in Piemonte.
Questo farà nascere dubbi e sospetti sulla imparzialità  della procedura. Ma la legge non detta criteri territoriali e neppure altri criteri per cui conta solo la fiducia nell’ente;  come saranno tutelati i cittadini che verranno invitati a conciliare davanti ad una Camera di Conciliazione distante anche più di mille chilometri dal luogo di incardinamento della successiva probabile controversia, visto che la Costituzione prevede per il giudizio solo il ricorso al  giudice “naturale”?
Sembra evidente che nessuno potrà assicurare l’omogeneità di comportamenti e procedure di un così grande numero di organismi costituiti in maniera così casuale e disordinata. E la situazione peggiorerà perché i 104 ordini forensi hanno intenzione di costituire organismi di conciliazione se la battaglia intrapresa contro la legge non avrà successo. E, non subito ma in poco tempo, entreranno in pista gli altri ordini professionali. Dai commercialisti ai consulenti del lavoro, dagli ingegneri ai periti industriali, medici, architetti ecc.
Manca di omogeneità anche il reclutamento dei futuri Mediatori. Infatti, per accedere alla carriera è sufficiente una laurea triennale o un diploma e l’iscrizione ad un ordine professionale. L’unico presupposto è la partecipazione profittevole ad un corso di addestramento di 56 ore per l’idoneità alla professione. Per cui la mediazione potrà essere operata indifferentemente da  un magistrato in pensione o da un geometra ventenne, da una laureata in lingue orientali di mezza età o da un architetto in pensione. Con l’addestramento di norma affidato a soggetti privati (spesso gli stessi organismi di mediazione). O, peggio ancora, enti di formazione che rilasciano solo l’abilitazione.
Sarebbe stato preferibile che il Ministero della Giustizia avesse concordato questi aspetti con il Ministero dell’Università, «affidando» la formazione dei mediatori alle Università è non a soggetti privati sorti in poco tempo e a cui viene richiesto semplicemente la dimostrazione di una blanda capacità organizzativa e finanziaria (molto ridotta se si considera che è stato preso come modello quello delle srl) e la consulenza di qualche ex magistrato.
La legge rischia di essere superficiale fino a quando il Ministero non obbligherà le parti ad avvalersi dell’assistenza di un legale, oppure rivedrà i requisiti di accesso, predisponendo per coloro che vogliano iscriversi nel registro come mediatori non solo l’obbligo di avere seguito con profitto un corso istituzionale in materia di mediazione e conciliazione presso un organismo di formazione abilitato, ma anche le necessarie cognizioni in ambito civile e commerciale. Del resto, esaminando il programma che ciascun corso è tenuto a svolgere, è facile desumere come la formazione e l’aggiornamento acquisiti presso gli enti di formazione abilitati riguardino solamente gli aspetti procedurali e semmai alcune  tecniche di mediazione, ma non argomenti di diritto sostanziale che necessitano di diversa preparazione. E così pure risultano trascurate le tecniche di comunicazione. Inoltre non è previsto nessun periodo di praticantato o uditorato per coloro che sono abilitati alla iscrizione nei registri professionali. Sulla base della abilitazione sarà possibile mettere la propria professionalità a disposizione di  cinque organismi.

In un momento terribile per l’occupazione proliferano  le iscrizione ai corsi (e gli enti formatori!) di un gran numero di persone che pagheranno (da 1.000 a 3.000 €) per abilitarsi ad una professione e a fregiarsi di un altro titolo inutile senza avere nessuna possibilità di conseguire le capacità minime richieste  per mediare un qualsiasi giudizio. Quasi certamente non avranno mai un incarico, perché la legge sancisce la discrezionalità dell’organismo nella scelta del mediatore. È evidente che i procedimenti saranno affidati solo ai mediatori più vicini agli organismi, o a quelli ritenuti più abili [1].

Francesco de Majo

[1] La legge prevede che l’abilitazione successiva al corso di 56 ore e i titoli di studio previsti consentano l’accesso al registro dei mediatori/conciliatori presso 5 enti ma non prevede che gli stessi debbano essere impiegati.
Vista a discrezionalità della chiamata e l’iscrizione indifferenziata ai corsi, l’affare è l’effettuazione dei corsi e il rilascio dell’abilitazione che comporterà per molti un ulteriore titolo di disoccupazione.

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