Messico. Il gigante ferito

Messico bandiera
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Il recente Rapporto preliminare della Comisión Económica para América Latina y el Caribe fa un punto della situazione economica per il 2009 e presenta previsioni per il prossimo anno [1].
Dopo sei anni di crescita ininterrotta nei paesi latino-americani e nella regione caraibica quest’anno si chiuderà, secondo la Commissione, con un calo del PIL dell’1,8% e con un ancor peggiore -2,8% come reddito procapite.
Al vertice positivo della graduatoria troviamo la Bolivia con un +3,5% del PIL, mentre fanalino di coda il Messico con un drammatico -6,7%, di gran lunga il risultato peggiore se si pensa che il penultimo della lista è il Paraguay con un -3,5%.
Per il Messico hanno inciso in misura maggiore il calo delle esportazioni (- 14% uno dei peggiori del continente), del prezzo del petrolio – che rappresenta una voce rilevante dell’economia – così come le rimesse degli emigrati che subiscono una contrazione a doppia cifra. Anche gli investimenti hanno subito un tracollo di oltre il 30%.

Il Messico è il paese più vicino e dipendente dall’economia nordamericana (oltre il 70% delle esportazioni sono con gli USA) che essendo crollata ha trascinato con sé quella messicana.
Una maggiore diversificazione sarebbe necessaria e farebbe correre meno rischi. Perno del commercio estero è l’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA). In Messico ci sono sostenitori della sua rinegoziazione che lo stesso Obama ha richiesto in campagna elettorale.

I motivi andrebbero ricercati in varie direzioni. Gli USA continuano a sovvenzionare i propri prodotti agricoli e a imporre limitazioni a quelli messicani. Inoltre <<l’investimento estero si è concentrato sulle maquilladores, il cui effetto traino sul resto dell’economia messicana è pari a zero, e che delocalizzano oggi in Cina>> [2].

Lo stesso Economist in un parallelo con la crisi precedente quando la gli USA sostennero finanziariamente il loro vicino evidenzia che ora la relazione con gli USA e il NAFTA sono parte del problema proprio perché funzionali principalmente ad un modello economico basato sulle esportazioni[3].

Ha fatto la sua parte anche una politica del vicino sempre più restrittiva nei confronti dell’immigrazione aggravando il deficit delle rimesse già messe a dura prova dalla stessa crisi economica. Negli ultimi anni quelli che hanno attraversato il confine sono diminuiti ma purtroppo non sono diminuiti i morti [4].

Il governo Calderón non ha fatto molto <<per anni ha dilapidato le sue risorse, trascurando l’economia della conoscenza>> [5]. E’ un paese che spende poco e male in istruzione rispetto ai grandi del sudamerica. E non molto diversa è la situazione per quanto riguarda gli investimenti in tecnologia: 0,4% contro un 3% del Brasile.
Più del 18% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e più del 47%, secondo il Consiglio nazionale di valutazione della politica dello sviluppo sociale (Coneval) non può soddisfare i bisogni alimentari, sanitari, educativi.

Il governo messicano deve avviare a risoluzione il problema dello sviluppo tecnologico e delle capacità estrattive nel settore petrolifero e avviare delle riforme che consentano un miglioramento nella gestione delle entrate fiscali considerando che il gettito rappresenta circa l’11% del prodotto interno lordo. E tralasciando qui il tema della violenza e della criminalità diffusa che strangola lo sviluppo del paese.

Il tasso di disoccupazione ufficiale nel terzo trimestre è giunto al 6,2% contro il 4,2% nello stesso periodo dello scorso anno e con un +0,47% rispetto al trimestre precedente. Un dato particolarmente accentuato nelle grandi città secondo l’Istituto nazionale di statistica.

E le condizioni del lavoro sono peggiorate in una realtà già di pesante sfruttamento. In un approfondito articolo Anne Vigna racconta della realtà economica a Tijuana e dintorni. Una realtà dove lo sviluppo quantitativo, basato su salari di fame e precariato, all’interno delle famose maquilladores non ha portato trasferimento di tecnologia e conoscenza. E ora, magari per l’assenza di lavoro, si ritorna a lavorare maneggiando senza protezione materiale nocivo o cancerogeno. Per dare un’idea di quello che è accaduto e può accadere nel 2008 tremila tonnellate di terra del quartiere industriale di Chilpachingo sono state inviate, grazie alla ong americana Enviromental Health Coalition, negli USA e sigillati sotto una cappa di cemento armato [6].

Le previsione per il 2010 per il Messico non sono negative ma comunque restano inferiori alla media dei paesi del continente e dei Caraibi.

L’inversione di tendenza che si è osservata negli ultimi mesi del 2009 dovrebbe portare l’insieme dei paesi ad una crescita media nel 2010 del 4,3%. Una crescita robusta e non attesa comunque dovuta a forti politiche di intervento messe in atto dai governi.
Il rapporto citato nel caso del Messico prevede per il prossimo anno una crescita del 3,5% molto lontano dal +6% del Brasile che capeggia la classifica. Fermo restando che le previsioni vanno prese con attenzione per gli elementi di forte instabilità che esistono nei mercati e nelle economie mondiali. Banche che soprattutto negli USA continuano a fallire o paesi come Grecia e Spagna, in misura minore, che presentano deficit di bilancio preoccupante o la crisi del Dubai World che ha fatto tremare la finanza o come la Lettonia sull’orlo del fallimento.
Pasquale Esposito

[1] Preliminary Overview of the Economies of Latin America and the Caribbean, www.cepal.org
[2] E’ l’opinione della ricercatrice messicana Leticia Hernádez in Anne Vigna, “Un accordo da ridiscutere”, Le Monde Diplomatique, novembre 2009, pag. 16.
[3] “A different kind of recession”, www.economist.com, 19 novembre 2009
[4] E’ quanto sostenuto da alcune associazioni governative. Negli ultimi 15 anni le stime parlano da quasi 4.000 a più di 10.000 morti, cfr. “Messico, 5mila morti in 15 anni nel tentativo di varcare il confine con gli Usa”, www.peacereporter.net, 25 settembre 2009
[5] E’ quanto sostiene Saul Arellano direttore del Centro di studi dello sviluppo e dell’assistenza sociale citato in “L’immobilismo politico colpisce I messicani”, L’Internazionale, 11 dicembre 2009, pag. 108
[6] Anne Vigna “A Tijuana, la cattiva sorte delle maquiladoras”, Le Monde diplomatique Il manifesto, novembre 2009, pagg. 16-17

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