
Il Messico è un democrazia in fin di vita, per un intreccio mortale tra narcotraffico, potere politico e mezzi di comunicazione al servizio dei potenti. Una narco-democratura provando a semplificare.
Un paese glorioso e con buon quantità di risorse. A fronte di una popolazione di 127,5 milioni di abitanti nel 2016 il Pil disponibile era di 1,046 migliaia di miliardi di dollari USA e, quindi, con un Pil pro capite di oltre 8.200 dollari. E le previsioni della Banca mondiale parlano di una crescita del 2,2%, nonostante le nuvole che si intravedono per il rischio di un peggioramento dei rapporti con gli Stati Uniti vista la decisione di Trump di rivedere il trattato commerciale NAFTA. Anche se questo trattato ha di fatto contribuito a peggiorare le diseguaglianze in Messico.
Di questa ricchezza il sistema narco-capitalistico che governa qui fa sì che il 10% della popolazione detiene circa un quarto del Pil e il solo Carlos Slim, dal 2010 al 2013 uomo più ricco del mondo, ne possiede il 6%. E così l'indice di Gini sulla distribuzione del reddito ha raggiunto i 48 punti e ogni quattro giorni una persona muore di fame.
L'incapacità di migliorare le condizioni economiche di moltissimi strati della popolazione spinge giovani a mettersi dalla parte del crimine organizzato, quando non vengono costretti con la violenza.
I cartelli della droga sono parte del sistema, quando non sono addirittura il sistema di potere e di governo.
«Uno studio dell'Università del Texas, basato sulle testimonianze dei narcotrafficanti detenuti negli Stati Uniti, spiega come il clan Los Zetas si sia assicurato il controllo degli stati messicani di Coahuila e Veracruz. […] Il clan, secondo i testimoni, aveva creato una enorme rete di corruzione di funzionari pubblici, da semplici agenti di polizia fino ai governatori, messo su una complicata struttura, basata sull'azienda petrolifera statale Pemex, per riciclare denaro e, infine, aveva assunto il controllo delle carceri. Il potere dei Los Zetas era tale che il cartello era diventato “l'unica vera autorità nei due stati”, garantendosi la più totale impunità» [1].
Evidentemente uno strumento fondamentale del controllo delle persone, del territorio e delle istituzioni, in un paese in cui di fatto lo Stato è quasi sempre latitante nei confronti dei cittadini, è la violenza. Il Messico è un paese da molti anni in guerra.
Il Nunzio apostolico in Messico, Mons. Franco Coppola ha avuto modo di dichiarare che «tra i paesi che vivono senza guerra (dichiarata), il Messico è quello dove vengono uccise il maggior numero di persone al mondo […]. La criminalità organizzata approfitta della disarticolazione della società, del fatto che ognuno si sente solo, e sfrutta l'assenza dello stato. Quindi per vincere questa lotta si dovrebbe rafforzare il tessuto sociale, […]. Naturalmente, se la politica si fa corrompere e non combatte, non riuscirà a sconfiggere la criminalità e questa, alla fine, vincerà. Ma se mettiamo in prima linea, per curare i nostri affari politici, delle persone responsabili che non sono soggette alla corruzione, allora naturalmente si può vincere» [2].
Il numero dei morti è difficile da calcolare e non risparmia nessuno dai poveri, agli operatori dell'informazione, ai politici impegnati nella lotta, fino al caso del
«L'organizzazione civile Semaforo Delictivo (Semaforo Criminale), usando dati ufficiali, ha calcolato 18.505 assassinii da gennaio a settembre 2017 (+23% rispetto al 2016) e stima che la cifra superi i 24.000 per fine anno» [3]. A ciò vanno aggiunte le diverse decine di migliaia di desaparecidos. E non cambierà molto l'approvazione (finalmente) la promulgazione da parte del presidente Nieto della Legge generale contro la sparizione forzata per contrastare il fenomeno attraverso severe punizioni di funzionari pubblici giudicati colpevoli.
«Il Registro nazionale delle persone disperse (Rnped) conteggia 33.482 desaparecidos in Messico. Un numero enorme ma probabilmente inferiore a quello reale, considerata la mole dei dispersi che vengono inspiegabilmente esclusi dalle statistiche ufficiali: elenchi alternativi, stilati da organizzazioni della società civile, arrivano a contenere anche centomila persone, moltissime delle quali senza un nome. […]. Una legge ad hoc, per quanto rappresenti un fondamentale passo in avanti, non basterà a debellare un fenomeno tragicamente enorme ed incredibilmente complesso. Almeno finché la classe dirigente, incluso lo stesso presidente Peña Nieto, non uscirà dal suo arroccamento per confrontarsi davvero con la popolazione e assumersi la responsabilità dei problemi del Paese» [4].
La Thomson Reuters foundation in una sua analisi ha inserito Citta del Messico come la sesta capitale al mondo più ostile nei confronti del genere femminile.
E la violenza non è solo quella dei narcos e della guerra al narco traffico. Uno degli eventi più noti è stata la sparizione dei 43 studenti di Ayotzinapa, e tuttora desaparecidos, dalla polizia di Iguala la notte del 26 settembre del 2014 con la connivenza e partecipazione di altre forze di polizia, dell'esercito e di narcotrafficanti.
Il Messico è finito davanti alla Corte interamericana per i diritti umani per i fatti di San Salvador Atenco avvenuti il 3 e il 4 maggio del 2006, quando più di tremila uomini di polizia assaltano la comunità per “punire” il Fronte Popolare in Difesa della Terra, movimento di cittadine e cittadini contro la costruzione del nuovo aeroporto internazionale. Ci furono morti, centinaia di feriti e torture. L'attuale presidente del Messico, Enrique Peña Nieto all'epoca era presidente dello stato De Mexico, e si è assunto la paternità dell'attacco.
Un altro dei paradigmi di questo modello è il forte legame esistente tra il potere e i mezzi di comunicazione di massa. In un approfondito articolo il giornalista Benjamin Fernandez sulle colonne de Le Monde diplomatique ha mostrato come partendo dagli anni della dittatura del generale Porfirio Diaz, tre volte al comando tra il 1876 e il 1911, passando per la rivoluzione e per i decenni del dominio del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), fino ai giorni nostri ci sia uno stretto legame con i potenti.
Uno dei simboli di questo connubio è il gruppo Televisa nato nel 1950 ad opera del Emilio Azcárraga Vidaurreta – su suggerimento del Presidente Alemán Valdés – e il cui figlio fonda il gruppo Univision «il più potente gruppo televisivo del mondo ispanofono, riempiendo l'America latina di telenovela che combinano melodrammi borghesi con proselitismo politico» [5].
Il meccanismo si basa su enormi finanziamenti pubblici ai media anche sotto forma di acquisto di spazi pubblicitari. «Un'inchiesta pubblicata da The Guardian sospetta che Peña Nieto abbia versato somme ragguardevoli a Televisa per promuovere i propri progetti di lavoro pubblici e trasmettere le su interviste […]» [6].
In questo maniera si possono orientare opinioni, far credere che i giornalisti che indagano sulla corruzione siano vittime del narcotraffico, manipolare elezioni o spiegare che certi risultati elettorali non siano stati falsificati.
Lo stesso autore riporta, alla fine del suo articolo, le parole in un saggio del 1964 che spiega la dottrina comunicativa del Partito rivoluzionario istituzionale: «La propaganda politica deve utilizzare tutti i mezzi di comunicazione – la carta stampata per i più istruiti, le immagini grafiche, le tecniche audiovisive della radio, della televisione e del cinema per i meno colti – [così] potremo concepire un mondo dominato da una tirannia invisibile che adotterà l'immagine esterna di un governo democratico» [6].
Pasquale Esposito
[1] “Narcotraffico: come si conquista il Messico”, http://sicurezzainternazionale.luiss.it/2017/11/09/narcotraffico-si-conquista-messico/, 9 novembre 2017
[2] Le dichiarazioni del Nunzio apostolico sono state rese all'Agenzia Fides; “Tra i paesi non in guerra dichiarata, il Messico ha il maggior numero di omicidi al mondo”, Agenzia Fides, 10 ottobre 2017
[3] Fabrizio Lorusso, “Messico: il Giorno dei 200mila Morti”, https://www.agoravox.it, 1 novembre 2017
[4] Marco Dell'Aguzzo, “La disperata legge sui desaparecidos nel Messico senza legge”, Eastwest, 23 Novembre 2017
[5] Benjamin Fernandez, “Messico, la stampa al servizio di una tirannia invisibile”, Le Monde diplomatique/il manifesto, novembre 2017, pag. 18
[6] Benjamin Fernandez, ibidem, pag. 19
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