Milano Clown Festival. Moriss e i PIC, il pronto intervento clown

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L’incontro con Maurizio Accattato, in arte Moriss, è iniziato con il racconto di un sogno.
Ieri ho fatto un sogno. Ho sognato un prete che sotto l’abito talare aveva la divisa dei PIC. Gli ho chiesto di fermarsi. Lui mi ha risposto che andava di fretta.
Alla mia domanda di chi siano i PIC Moriss mi ha risposto con un sorriso gioviale.

I PIC sono il Pronto Intervento Clown. Giovani clown che sono presenti in quelle situazioni in cui le forze dell’ordine, della polizia, i pompieri non possono e non riescono a intervenire.

Moriss

Moriss mi presenta una visione del mondo e delle cose il cui cuore pulsante è un nucleo di sacralità. Parla della sua arte e della vita come servizio nei confronti degli altri. Per sostenere queste affermazioni fa riferimento a due grandi della nostra epoca: Dario Fo e Papa Francesco.
Due grandi che – sempre secondo Moriss – intesero e intendono la vita proprio così: come servizio.
Moriss nella lunga conversazione che abbiamo avuto mi ha parlato della sua vita. Mi ha parlato della sua carriera lanciata verso il successo televisivo, la popolarità, il denaro. Ma mi ha anche detto come tutto questo ad un certo punto gli sia parso privo di senso, di significato, di come abbia sentito il bisogno di cambiare.
Così è partito.
Il suo è stato sicuramente anche un viaggio all’interno di stesso, un viaggio all’interno dell’uomo. Eccolo quindi in Senegal dove ha insegnato giocoleria ai ragazzi di Matam. Ragazzi che in mancanza di attrezzi, di risorse, faranno volteggiare in aria tutto ciò che capita: ciottoli, bottiglie, frutta… fanno volteggiare tutto ciò che può portare allegria, agli altri e a se stessi. Sì anche a se stessi. Perché come dice Moriss:
La possibilità di incontrare l’altro, di dargli allegria, deve essere preceduta dalla capacità di liberarsi dai propri conflitti interiori, dai propri rancori. Altrimenti la scintilla dell’allegria non può essere data, non può essere creata. Questo lo sapeva fare benissimo Dario Fo, e sento che sia in grado di farlo anche papa Francesco

Ma chi è Moriss? È un pagliaccio?
Non ho nulla a che vedere con la maschera del pagliaccio a cui eravamo abituati da piccoli, e che in fondo faceva anche un po’ di tristezza. Il clown che rappresento è più vicino alla figura del giullare.
È inevitabile il confronto con il bellissimo film di Rossellini, Francesco giullare di Dio. Dove la vita del poverello di Assisi viene raccontata nella sua semplicità e allegrezza.
Allora essere clown è un modo diverso per essere vicini all’uomo, vicini a Dio.
E non importa se si è credenti o meno, perché la divinità brilla in ognuno di noi. Non ha bisogno di un dio, di dei, per trovare parole ed espressione.
La divinità è già là, nel nostro stesso essere splendidamente, tragicamente, meravigliosamente umani.
Maurice ci ha raccontato del suo lungo lavoro con Dario Fo, che ha seguito per quasi 10 anni, del sul lavoro con Leo Bassi, un altro dei grandi dell’arte circense, della giocoleria, dell’arte dei mimi. Il primo è un nonno spirituale, il secondo un papà spirituale. Sono due figure da cui ha imparato tantissimo.
Da loro ho imparato l’arte della provocazione.

Quel ruolo magistrale adesso Moriss lo interpreta nel suo lavoro quotidiano come direttore della Scuola di Arti circensi e teatrali di Milano in via Sebenico. Lo interpreta nei confronti dei giovani che gravitano attorno lui, e a cui offre con generosità la sua esperienza e la sua creatività.
Ho visto un Moriss giocoliere, clown, educatore. Ho visto un Moriss capace di stare con i bambini, di restituire loro la meraviglia.
Gli adulti si dimenticano della meraviglia – ci ha raccontato Moriss – perché troppo spesso sono eccessivamente attenti a se stessi.

Invece quello che ho visto domenica al Milano Clown Festival Day tenutosi allo spazio Carroponte di Sesto San Giovanni, alla periferia di Milano, è stata la capacità dei PIC di creare allegria e meraviglia, di coinvolgere i bambini e gli adulti con semplici e grandi giochi, frutto della voglia di stare insieme e di ascoltare.

Miriam del Circo Anacardi

Moriss mi ha guidato in questa giornata, da impeccabile direttore artistico, con una vitalità immensa. Aveva un sorriso, un’attenzione, uno sguardo per tutti. E mi ha fatto conoscere alcuni dei ragazzi che hanno animato la giornata di domenica. Gianluca ha 27 anni. È sposato con Miriam da sei mesi. Si sono sposati prima al circo con una grande festa e poi in Comune. Miriam è laureata in Beni Culturali con una tesi sull’illusionismo. I soldi che doveva utilizzare per il vestito di nozze le sono serviti per una struttura in ferro, che le consente di fare acrobazie aeree. Dovreste vederla lassù, a cinque metri da terra, leggera come una farfalla colorata, che si posa lieve sulle sue stoffe rosse, che domina con agilità e perizia.

Gianluca del Circo Anacardi

Gianluca invece intrattiene i suoi spettatori con la sua giocoleria, il suo illusionismo, con la meraviglia. Ho assistito alla meraviglia che riusciva creare. L’ho vista negli occhi dei bambini. E quando ho chiesto spiegazioni, mi ha raccontato il suo punto di vista con estrema semplicità, unita a una grande conoscenza della sua arte.
Quando i bambini guardano la televisione sanno che quello che accade può essere falso.
Quando li coinvolgiamo nei nostri giochi sanno che ciò che vedono è vero.
Non stento a credere a questa spiegazione.
Quando ho visto Gianluca dare una pallina invisibile a un bambino, invitandolo a custodirla e a non perderla, l’ha fatto in modo tale che, chi ha ricevuto questo dono, abbia spalancato la bocca per la meraviglia, la sorpresa, la magia. Il bambino sentiva di avere veramente una pallina invisibile tra le mani. Sentiva di avere una grande responsabilità.
Gianluca e Miriam con il loro Circo Anacardi, non sono gli unici artisti che ho conosciuto domenica. C’erano anche Diego con la sua arte surreale e i suoi impeccabili numeri da equilibrista. C’era anche Giorgio, un giovane uomo di vent’anni, che mi ha spiegato alcune cose sul suo mestiere.
Un vero mago non deve entrare in un gioco di competizione con il pubblico. Altrimenti perde in partenza. Non si tratta di entrare in un gioco in cui si pensa “tu mi vuoi fregare io cerco di fregarti”. Si tratta di creare uno spazio in cui ci sia la possibilità di credere all’incredibile.
E che lui ci riesca l’ho letto ancora una volta negli sguardi e negli occhi dei bambini.

Ecco! Se c’è un tratto che accomuna gli artisti che ho visto domenica scorsa, è la capacità di creare magia. Ho assistito a questa magia, durante l’intero svolgimento del Milano clown festival day, che riprende per una giornata il Milano clown festival, che si tiene ogni anno a carnevale ormai dal 2006, sempre al Carroponte di Sesto.

Questi artisti sono in grado di far credere alla possibilità della magia e della sua esistenza.
Si tratta di una magia raffinata e intelligente, che per riprendere le parole di Moriss è messa a disposizione del pubblico, dei grandi e dei piccoli, ma forse soprattutto dei grandi, che per un breve momento possono ascoltare la loro parte bambina in grado di giocare, senza scopo, senza fini, solo per la voglia di giocare.
Gli sguardi incantati di grandi e piccini non li ho mai visti avanti alla televisione. I bambini poi della televisione conoscono ogni segreto. Ne conoscono il linguaggio, sanno decodificare inganni e sotterfugi. Ma la meraviglia, la magia, la sorpresa che sanno creare maghi e giocolieri, quella è vera, autentica. Non può toglierla nessuno.
Pensavo di trovare storie marginali, storie di rivalsa, storie di fatica.
Ho trovato invece giovani artisti consapevoli di ciò che vogliono, della loro arte, con titoli studio anche a livello universitario, da spendere nel mondo del lavoro, con famiglie solide alle spalle, che sostengono il loro percorso di vita, la loro passione.
Ho trovato giovani valenti che scelgono di fare gli artisti di strada non per una decisione improvvisata o avventata, ma per una scelta consapevole d’amore e creatività.

Ho conosciuto Vitaminacei il mago delle bolle, un quarantenne giovanile e asciutto, che mi ha regalato un pezzo della sua storia.
Avevo 27 anni e un lavoro a tempo indeterminato come magazziniere. Un giorno ho visto un video su Philippe Petit, il funambolo francese che attraversava il cielo di Manhattan camminando su una fune tesa tra i grattacieli. In quel momento ho deciso che la mia vita sarebbe stata nel circo, tra i clown, nella giocoleria. Ho una figlia e mia moglie fa l’impiegata.
E lui come Gianluca come Miriam come Diego come Giorgio paga conti e bollette con il suo lavoro di artista da strada. Allora che cosa ci rimane da fare? Che cosa ci rimane da dire?
Forse l’unica cosa che rimane da fare riposa nelle parole di Moriss: Dobbiamo clownizzare il mondo. Questa giornata del Milano clown festival – day, non è altro che un tentativo di portare allegria e gioia. È un tentativo di abolire il rancore, il sospetto almeno per un giorno.

Sicuramente Moriss con la sua solidarietà, con la sua vitalità, il suo entusiasmo, riesce a portare il suo pubblico fatto bambini ed adulti là dove desidera lui. E lo fa con un’energia e una vitalità impareggiabile, da piccolo folletto invisibile, da piccolo folletto magico e gentile, che ci ha regalato una giornata indimenticabile.

Gianfranco Falcone

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