Storie di donne: Mirella La Magna. Il Gridas a Scampia, tra lotta e riscatto con Felice Pignataro

Mirella La Magna al carnevale di Scampia
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Io del Gridas e del carnevale di non sapevo nulla. Quando Sara della Glamurga, una delle bande danzanti di Milano, me ne ha parlato ho solo pensato che fosse una buona opportunità per fare qualche fotografia colorata.

Prendendo i primi contatti, di rimbalzo in rimbalzo, ho scoperto che quella del carnevale di Scampia non era soltanto una sfilata, ma un corteo dai connotati politici. Insieme a questo ho scoperto le figure di Mirella La Magna e di Felice Pignataro. Non sapevo neanche che molte fiction tra cui anche Gomorra erano state ambientate a Scampia. Forse una delle poche cose che sapevo di quella zona di è che viene descritta come terra di nessuno, periferia estrema di un sud impoverito, dove imperversano camorra e malaffare. Ma c'è dell'altro. È quest'altro che mi ha portato a raccogliere voci, a decidere che quella con Mirella sarebbe stata soltanto la prima di una delle tante interviste che avrei fatto nella mia permanenza a Napoli, a Scampia per il carnevale del 19 febbraio.

Chi è Mirella La Magna?
Mirella La Magna per anni è stata figlia di. Perché mio padre era un famoso latinista e grecista. Quindi io ero la figlia del professore La Magna. Poi ho un fratello pure bello. Quindi ero la sorella di Marcello. Poi ho sposato Felice e sono diventata la moglie di Felice. Poi ho dei figli simpatici, belli e sono la mamma di. Adesso sono semplicemente Mirella del Gridas.

 È stato un lungo percorso quello per diventare Mirella?
Sì, un lungo percorso. Però fatto in completa coerenza anche nel momento in cui ho avuto la mia rivoluzione politica. Che è il momento in cui tu apri gli occhi, ti accorgi che le cose non vanno bene e ti svegli dal sonno. Quello è il compito del Gridas, fare prendere consapevolezza prima di tutto di sé stessi. Far svegliare dal sonno vuol dire pigliare consapevolezza di sé e delle proprie responsabilità, e soprattutto aprire gli occhi sul mondo. In genere chi dorme è concentrato su sé stesso. La rivoluzione copernicana è mettere al posto dell'io l'altro o il mondo intero, che è la stessa cosa. Nel momento in cui io ho avuto questo passaggio, non è che sono cambiata nel modo di vivere, perché ero naturalmente onesta. Però senza esserne consapevole. Ecco sono diventata consapevole di una mia onestà.

Tu insegnavi a San Giovanni?
Sì. Ho cominciato insegnando nelle scuole superiori. Perché figlia di tanto padre mi ero laureate e abilitata in Greco. Quindi ci tenevo a insegnare nei licei e nei ginnasi. 

Dove insegnavi?
Ho insegnato in vari licei di Napoli, al Sannazzaro, all'Umberto, poi sono stata al Villari alle magistrali. Poi ho fatto la mia rivoluzione copernicana, ho capito che era importante che nella scuola ci fosse un cambiamento. Questo non è stato merito mio. Ho letto don Lorenzo Milani. Nel '67 uscì Lettera a una professoressa. E là io ho aperto gli occhi veramente. In quel momento ho capito che se tu volevi veramente lavorare sulle consapevolezze, sulle coscienze delle persone, dovevi cominciare a guidare dal basso. Se fossi stata più brava avrei scelto le elementari. Che è la cosa più difficile, forse addirittura la maestra d'asilo. Perché quello è il momento più importante della vita di un bambino, e di un futuro uomo.

Insegnare alle elementari è il lavoro più difficile che io abbia mai affrontato, e ne ho fatti diversi. Attualmente più sali nell'ordine di scuole più guadagni invece dovrebbe essere il contrario.
Il professore universitario, che poi è quello che prende di più, è un conferenziere.

Dovrebbe guadagnare di meno. La maestra d'asilo e quella del nido dovrebbero guadagnare di più perché il loro lavoro è più impegnativo.
Ah, finalmente parlo con uno che capisce la mia lingua. In genere si fa un gelo quando dico questa cosa.
Quindi, non essendo abbastanza brava ho scelto le medie e sono andata a San Giovanni. Questo accadeva nel sessantotto, e ci sono rimasta fino a quando sono andata in pensione nel 2002.

Quando sei arrivata al campo Arar di Poggioreale?
Contemporaneamente. Perché San Giovanni era la mia scuola dove io prendevo lo stipendio. Era la scuola pubblica che mi consentiva di vivere. Perché Felice non avevo un lavoro. Quindi è stata la nostra fonte di guadagno. Invece quella del campo Arar era una scuola popolare, una scuola di volontari. Nel '67, l'anno della mia rivoluzione, io insegnavo in una scuola magistrale molto vicina a questo campo Arar a Poggioreale.

Che cos'è il campo Arar?
Il campo Arar è un campo demaniale. La sigla Arar vuol dire Azienda Rilievo Alienazione Residuati. Era stato istituito subito dopo la fine della guerra per la raccolta dei residuati bellici. Napoli è stata distrutta terribilmente dai bombardamenti e aveva bisogno di case. Prima che le costruissero sono passati anni e la gente intanto ha vissuto nelle baracche costruite dagli stessi baraccati, dove non c'erano neanche le fognature. Abbiamo cominciato a insegnare qui. Abbiamo fatto una scuola creativa con i ragazzi baraccati. Venni a conoscenza della presenza di queste baracche dove c'erano parecchi bambini che avevano bisogno di un supporto, di volontariato. Ci fu un incontro nella scuola elementare frequentata da questi bambini e lì incontrai Felice, che era un universitario cattolico italiano e pensammo di fare questo doposcuola.

Quindi la tua rivoluzione inizia prima dell'incontro con Felice?
Più o meno. Poi Felice l'ha perfezionata. Incominciammo a fare questo doposcuola con i bambini che facevamo disegnare e con cui usavamo la argilla. Poi ci accorgemmo che a questi serviva molto di più, per cui l'anno dopo, nel '68, iniziammo nel campo Arar questa contro scuola che poi chiamammo semplicemente Scuola 128. Felice, che era capace di usare le mani, aggiustò le cose che andavano aggiustate. Fece i banchi e i tavoli.

Perché 128?
Era il numero della baracca. Questi baraccati facevano la lotta per la casa che noi appoggiammo. Andammo pure noi alle manifestazioni per la casa. Loro erano già assegnatari di queste case che dovevano essere costruite ma non veniva mai finite.

Che cosa accadde a quel punto?
Quelli che si erano scocciati di aspettare, non essendo in graduatoria e avendo visto che per avere una casa passavano gli anni, nel momento in cui delle case venivano finite cominciarono ad occuparle, e queste case erano nell'Ises. L'Ises si trova a Secondigliano, dove dagli anni Cinquanta avevano cominciato a creare le nuove case popolari. C'era stato un primo blocco di case popolari chiamate Ina Casa, che era un ente assicurativo. Queste case erano fatte bene, il quartiere Ina casa è quello che viene chiamato in genere Monterosa. È dove noi siamo con Gridas. Questo quartiere costruito tra gli anni cinquanta e sessanta prevedeva anche un centro sociale. Quindi noi siamo nel centro sociale creato come centro sociale insieme con queste case, che avevano i negozi, l'ufficio postale, l'asilo, anche la scuola elementare, anche spazi tra le case, le cosiddette pinetine dove la gente poteva riunirsi, poteva avere un poco di sollievo. Quindi questo era il primo nucleo di case popolari costruito dopo la guerra.

Quindi era un'idea di case popolari e di periferia in qualche modo illuminata, in qualche modo non penalizzante per chi ci viveva.
Sì, perché chiaramente c'era bisogno nella ricostruzione di case popolari. Quella era praticamente tutta una zona di campagna.

E siamo a Secondigliano?
Siamo a Secondigliano e all'Ises dove continuiamo la scuola popolare. C'eravamo portati la porta della della baracca. Quindi c'era sempre la porta rossa con scritto Scuola 128. Abbiamo continuato fino al ‘78 – ‘79 a fare scuola popolare a Secondigliano. Senonché ci siamo stabiliti anche con la casa, iniziavano a nascere i figli e io non potevo più seguire la scuola.

Vivevate sempre del tuo stipendio?
Esatto. Quello è stato il nostro sostentamento.

Chi era Felice Pignataro?
Felice Pignataro è un uomo libero. Non si è mai né sottoposto al potere né ha fatto qualche cosa per mettersi in mostra. Voleva dare voce alla gente che non l'aveva.

Qual è l'eredità di Felice Pignataro?
Essere persone libere, essere persone coerenti, non demordere. E soprattutto nel momento in cui cominci a fare una cosa non interromperla. Il discorso nostro è quello di essere pietra salda in un guado. Nel senso che se tu vuoi passare dall'altra parte sai che puoi poggiarti su quella pietra che non viene meno. Però devi essere tu a decidere di appoggiarti. Ma noi ci siamo.

Perché parlavate di pedagogia della creatività? Che cosa intendevate con questo?
Felice intanto dipingeva e nella nella pittura lui diceva tu devi essere libero. Per esempio nel bellissimo film dal titolo Felice lui diceva “Mi voglio dipingere la casa? Tutti quanti in genere si fanno le pareti bianche. Io voglio fare una parete blu. Voglio dipingere un elefante? Ma me lo faccio viola, me lo faccio rosso”. Rivendicava la possibilità di inventarsi qualcosa, di non essere solo legati al così si è sempre fatto, e soprattutto voleva applicare questa possibilità di inventare anche nella vita normale, nella vita comune. Lui diceva sempre che la scuola se è fatta male uccide la creatività del bambino, che arriva con tutta la sua potenza di farsi il mondo a sua immagine e somiglianza. Ma quella creatività viene uccisa. Perché ti insegnano a fare la casetta col tetto spiovente. Ma chi è che abita in una casa con il tetto spiovente? Le casette che ci sono nei disegni dei bambini sono sempre queste, il quadrato con sopra il tronco di piramide. O no?

In Scampia Felix, il film del 2017 fatto dal Gridas e nel film Felice avete parole molto dure nei confronti della classe insegnante. Perché?
Proprio quello che abbiamo detto prima Gianfranco. Perché i maestri hanno in mano le vite dei loro alunni. E non si rendono conto che una parola sbagliata, un castigo dato in un momento, lasciamo perdere se giusto o no, ma in un momento di particolare fragilità del ragazzo può essere dirompente. Questa incapacità di empatia nei confronti dell'alunno, questo preferire il momento del giudizio al momento della costruzione è tremendo. Non si rendono conto del potere che hanno in mano.

Questo che mi stai dicendo, e come mi hai anticipato all'inizio, è la lezione di don Milani, di Mario Lodi, di Gianni Rodari.
Certo. Di quel movimento bellissimo che c'è stato nella scuola, ma proprio splendido. C'è stato un momento in cui veramente la scuola era al centro dell'attenzione, ma anche dei genitori stanchi di demandare ad altri. Tu dici che adesso i genitori se vanno è per pigliare a botte i maestri. Questo accade perché i maestri non li chiamano in causa prima del grande guaio. Li chiamano in causa soltanto nel momento che è successo il bordello. Io mi arrabbiavo con i colleghi quando sui temi più importanti non alzavano manco un sopracciglio. Mentre invece se si parlava di stipendi erano tutti compatti. Certo i soldi servono a tutti, per me con una famiglia monoreddito erano importanti, però non è quella la cosa che ti fa decidere come comportarti.

Quando vi stabilite a Scampia?
Nel ‘72 ci siamo sposati e abbiamo preso casa. Però eravamo a Scampia dal ‘69, da quando abbiamo cominciato a seguire i baraccati. Solo che continuavamo ad abitare io al Vomero, che è tutta un'altra zona, e Felice al centro storico. Per cui io passavo dal Vomero a prendere lui, poi venivamo da Scampia e la sera facevamo il percorso inverso.

Scampia in origine si chiamava quartiere 167.
Nel ‘72 ci siamo sposati e ad agosto hanno cominciato a mettere i paletti per gli espropri. Perché hanno cominciato a costruire il quartiere che si chiamava 167, dalla legge che permetteva l'esproprio di proprietà private nel momento in cui servivano per un uso collettivo.

Perché è stato chiamato Scampia?
La gente ha combattuto per togliere il nome 167, numero che sa tanto di carcere come dice Felice nel film. Scampia è il vecchio nome di tutta la zona. Abbiamo carte del Settecento in cui è scritto Scampia, cioè zona di campi, zona fuori città, fuori le mura.

Come è cambiata Scampia negli anni?
Scampia intanto è nata malissimo. Hanno costruito solo palazzoni. Non c'erano scuole, non c'erano negozi neanche per far la spesa. E non c'erano ancora le strade perché si era ripetuta la stessa situazione del popolamento dell'Ises da parte dei baraccati. Per cui ci fu un'ulteriore guerra tra i poveri e le case furono occupate abusivamente e abitate prima ancora che fossero finite, prima ancora che ci fosse l'allaccio fognario e tutto il resto. Con la differenza che quelle dell'Ises erano case basse e poche. Dopodiché c'erano numerosissimi bambini, perché poi nelle graduatorie quanti più figli hai più vai in alto. C'erano un sacco di bambini senza scuola.
Dopo il terremoto arrivarono i soldi della ricostruzione, con i soldi della ricostruzione arriva la camorra che si appropria degli appalti. Perché qualcuno glieli ha firmati, e quindi diventa poi la maggiore piazza di spaccio. Ed è rimasta tale senza che si muovesse un dito né da parte del governo né da parte dei mass media. Questo fino al 2005, vuol dire 25 anni dopo il terremoto dell'80.
Dopo il 2005 comincia la faida tra le famiglie camorriste. Dopodiché si accendono i riflettori. A questo punto comincia ad arrivare la polizia con un poco più di pugno fermo, per togliere di mezzo almeno i cancelli che blindavano i palazzi. Perché tu per entrare a casa tua ti dovevi fare riconoscere se no non entravi. A controllare c'era lo spacciatore di turno. Finito questo momento diciamo di repressione, cominciano tutte le fiction. Perché chiaramente Scampia attira, per le vele, per Gomorra e tutto il resto. A questo punto ci furono ancora di nuovo tutti i fari accesi però chiaramente sulle vele, sul male di Scampia. Scampia diventa l'esempio per cui sindaci di tutta Italia dicono mica siamo a Scampia quando vogliono dire che il loro paese è tranquillo. Scampia diventa l'emblema di tutto il male possibile.
A questo punto c'è una botta di orgoglio da parte degli abitanti, che cominciano a reagire. Sono nate un'infinità di associazioni che si sono messe in rete. Sono una forza e si sono battute per l'abbattimento delle vele, per l'istituzione delle scuole superiori, poi per l'università. Tutto quello che si è fatto è partito dal basso, dalle lotte degli abitanti.

Raccontami delle vele.
Abbatterle è costoso. Poi man mano che si abbattono bisogna pure collocare questi abitanti. Per adesso hanno sistemato quelli delle quattro che hanno abbattuto. Ne rimangono ancora tre. Una pare che dovrebbe rimanere in piedi però restaurata. Ma per restaurarle ce ne vuole.

Esempi di cattiva gestione delle li troviamo anche altrove. Milano ha un quadrilatero di edilizia popolare che ha il fulcro in piazza Selinunte; Roma ha il Corviale; Napoli ha Scampia, Reggio Calabria ha Arghilà. A chi sono utili ghetti periferici?
Intanto sono serbatoio di voti. Che ci sia una sacca di miseria serve moltissimo, poi c'è il discorso della camorra che si è insinuata. Prima tu cercavi di portare il politico con i voti, le elezioni, il sostegno di interi quartieri. Certe volte intere popolazioni, addirittura il 70% – 80%, votano per quel candidato di quel determinato partito. Insomma è chiaro che c'è un un accordo dietro. Se no non avresti questo boom. Adesso invece non c'è neanche più bisogno perché addirittura ci sono le infiltrazioni mafiose. Vedi quanti comuni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa. Intanto ci vuole qualcuno che li sciolga. Bisogna trovare l'onesto che non solo è onesto ma anche che decide di rischiare la vita.

Queste periferie di che cosa avrebbero bisogno?
Queste periferie avrebbero bisogno prima di tutto di qualcuno che avesse uno sguardo panoramico di quel pezzo di città, che avesse la capacità di vederlo nella sua interezza. Perché se tu rincorri le varie emergenze non risolvi mai i problemi. Devi avere uno sguardo complessivo, poi magari puntare in quel momento su quell'emergenza, poi dopo su quell'altra. Però devi avere un quadro complessivo, cosa che in genere non viene fatta. Poi nel momento in cui c'è una periferia povera perché non c'è lavoro tu devi creare le opportunità di lavoro. Per esempio adesso qua a Scampia è nata l'università. L'Università può dare lavoro a un'infinità di altre situazioni se si creassero però le librerie che mancano, la mensa che manca, la casa studentesca che manca, e si impiegassero le forze locali. Nel momento in cui servono suppellettili noi qua abbiamo una falegnameria. Adesso in questo momento sta chiudendo il Gruppo Della Rocca che produceva tessuti. Ci lavoravano un sacco di persone. Manca la persona trainante che abbia anche un certo spirito imprenditoriale. Tutte queste enormi risorse che ha il quartiere dovrebbero essere accompagnate per cercare di dare lavoro alla gente che sta qua. È chiaro che la persona che non ha più risorse e deve pagare un mutuo per la casa, e non sa come fare se c'è il vicino di casa che ti dice, e qua è tutto mischiato il bene e il male, ti dice va bene non ti preoccupare te li do io tu entri a libro paga.

Che cosa significa la sigla Gridas?
La sigla vuol dire Gruppo Risveglio dal Sonno.

Fa riferimento a una famosa frase di Francisco Goya.
Il sonno della ragione genera mostri. Nel momento che tu pigli consapevolezza prima di te e poi della situazione generale decidi di lavorare non per te ma per la situazione generale. Ti accorgi anche che se sei solo il tuo sogno rimane utopia. Erano quelle che Felice chiamava le utopie. Lui ha scritto due libri, “L'utopia sui muri” che erano i murales e “Le utopie per le strade” che sono i carnevale. Se sei solo rimane utopia, se ti metti con gli altri, se trovi altri che hanno il tuo stesso sogno, queste utopie possono diventare realtà. Ma devi trovare altri per costruire quello che lui chiama l'uomo nuovo, che è un uomo che ragiona diversamente, non ragiona per sé ma ragiona per gli altri.

È quello che Armando Punzo chiama l'uomo felix, rivendicando la possibilità di costruire un uomo nuovo. In che anno avete fondato il Gridas?
Il Gridas è dell'81. Nel '79 avevamo chiuso la scuola popolare.

Carnevale Scampia 2023Nell'81 fondate il Gridas che diventa subito estremamente attivo all'interno di Scampia, promuove iniziative, diventa un punto di riferimento per la collettività, eppure nel 2022 siete condannati e il 7 febbraio avete presentato le memorie per l'appello. Che cosa succede e perché?
Noi non abbiamo capito come è nata la cosa. Perché prima di tutto noi non occupiamo ma usiamo dei locali del centro sociale, che è nato come centro sociale. Appena Felice se ne è andato nel 2004 sono cominciate le pressioni da parte di strani individui, che sono venuti persino a casa a chiedere le chiavi, perché erano convinti che il Gridas sarebbe finito con Felice. Noi abbiamo detto che avremmo continuato comunque, perché il Gridas era un punto di riferimento e perché la gente veniva. L'abbiamo difeso con i denti. Se ce ne fossimo andati quella non sarebbe più una struttura aperta a tutti, sarebbe stata privatizzata. Immaginati da chi. Quindi siamo stati anche baluardo contro la camorra. Felice voleva cercare di capire a chi dovesse chiedere. Ed è cominciato un balletto di rimpalli tra il Comune e l'Istituto Autonomo Case Popolari, Iacp che aveva costruito il quartiere e che appartiene alla Regione. Infine si appurò che si doveva chiedere alla Regione. Felice andò a parlare allo Iacp, dove il Presidente di allora che era una persona per bene disse “Felice non ti preoccupare statti là”. Quando Felice ha finito ci siamo preoccupati. Perché fino a quando c'era lui se ci avessero cacciato Felice sarebbe andato in un altro posto a creare un'altra situazione. Perché lui così faceva. Nel momento che lui non c'era più era importante difendere quel posto per il valore non soltanto affettivo. C'è un valore artistico, ci sono i murales dentro, ci sta l'anima sua là. Siamo andati a parlare sempre con questa persona perbene, che pure a noi ha detto “Ma non vi preoccupate. Là dovreste pagare un affitto, ma l'affitto sarebbe troppo oneroso per voi. Lasciate perdere”. Senonché lasciate perdere, lasciate perdere, lui è andato in pensione. Lo Iacp è stato per un po'di tempo commissariato. Ma a un certo momento arriva un invito ad andarcene e nel 2010 ci intentano un processo penale. Questo processo l'abbiamo vinto nel 2013 in maniera clamorosa perché il fatto non sussiste. Ma non solo questo. La migliore arringa in difesa nostra l'ha fatto il pubblico ministero sottolinenado il valore aggiunto che avevamo dato alla struttura. Fnito questo ci arriva subito l'intimazione ad andarcene perché indicevano un altro processo, questa volta civile. E io nella mia ingenuità pensavo civile è più civile. No, civile è peggio. Perché nel penale c'era la multa o la galera. E io dicevo meno male me ne vado a leggere un po' di libri in santa pace. Non me ne importava niente. Perciò mi attribuii la responsabilità del processo perché se a me sporcano la fedina non me ne fotte niente.

Quanti anni hai Mirella?
Ne ho compiuto ottantaquattro il sette febbraio.

Sei una potenza della natura.
Finché reggo.

Hai un'energia straordinaria e una filosofia di vita meravigliosa.
Sei tu che la capisci. Perché di solito non si apprezza.

Beh, io mi sono innamorato.
Quando dicevano di Felice che era un eroe lui si incazzava a morte perché diceva che “Quando tu fai il santino metti sull'altare una persona”. Ed è come se si dicesse “Bravo, io non sarei mai capace”. Invece il discorso suo era “L'ho fatto io lo puoi fare pure tu”.

 Il processo civile si conclude nel 2022 con una condanna. Condannati a che cosa?
Che non abbiamo titolo per stare al Gridas. Perciò il nostro Carnevale quest'anno si intitola “A che titolo?”. Nel senso che se tu non hai titolo nè come naufrago nè come clandestino non esisti, se non hai la carta non esisti.

Scampia 1996
1996. La nave del riciclaggio. Tela, legno, bottiglie di plastica, tubi di pvc. ph: Luca Pignataro

Hai parlato di carnevale.
Il carnevale nacque nell'83 sempre come reazione nel vedere come questo povero carnevale veniva trattato nelle scuole dei nostri figli. A carnevale imparavano le filastrocche più o meno cretine a memoria. Poi si faceva la ricerca, dovevi sapere Stenterello di dov'era, Arlecchino di dove era.
Noi invece sapevamo che il carnevale popolare era un'altra cosa e aveva una sua dignità importantissima, che è quella intanto di una festa di piazza in cui il popolo partecipa. Perché per un giorno all'anno fa questa grossa rivoluzione in cui può cambiare sesso, ma può cambiare anche stato sociale, può diventare re e può sbeffeggiare il padrone di turno per un giorno almeno. Poi magari il giorno dopo “Abbusca n'atra vota”. Ma per un giorno l'ha fatto. Durante il carnevale ci sono le grandi abbuffate di cibo per un popolo che fa la fame tutto l'anno. Quindi c'è una una valenza enorme. Poi c'è il falò finale anche quello importante, in cui si bruciano tutte le cose negative. Quindi altro che festicciola fatta in classe, magari con la gara del più bel vestito che voleva dire come al solito che chi ha i mezzi compare e chi non li ha non compare.
Quindi cominciamo. Cominciamo in pochi come al solito. Per far rumore mettemmo su una banda che poi è rimasta simbolica e continua ancora. Io ho sempre suonato la grancassa, il rullante lo faceva Felice. Qualcuno di buona volontà faceva i piatti, dicendo sempre a tutti che noi non facciamo musica facevamo rumore per farci sentire, per creare burdello.

È molto seguito questo carnevale dalla gente di Scampia?
La gente di Scampia lo segue dalle finestre, perché scendere giù è troppo faticoso. Abbiamo fatto il carnevale con le prime associazioni che intanto andavano nascendo sulla scia del Gridas, ma eravamo sempre pochi. La nostra banda quando andavi in strada la sentivi e non la sentivi. Siccome abbiamo sempre partecipato a tutte le manifestazioni per la pace, e io e Felice andavamo a Roma spesso, abbiamo incontrato le bande locali di Roma. E oltre alla Malamurga anche la Titubanda che è un'altra banda politica. Questi si sono innamorati di Felice, di come raccontava il Gridas e sono venuti a Scampia a un nostro carnevale. Dopodiché sono venuti due ragazzi a fare lezione gratis ai ragazzi nostri e gli hanno insegnato la murga, che è un tipo particolare di banda. La nostra banda formata da questi di Roma ha insegnato la murga a vari quartieri napoletani come quello della Sanità e di Materdei, che adesso hanno le loro murghe e il loro carnevale. Le murghe quando vanno ai grandi ritrovi conoscono altre murghe e ce le portano. Quindi la nostra piccola banda Baleno nel giorno di Carnevale si moltiplica in tutte le murghe che vengono da tutte le parti. Allora la gente comincia ad accorgersi che esiste il carnevale.

Mirella e Felice non sono soltanto il Gridas e il carnevale. Ti cito due episodi. Nel ‘94 al G7 di Napoli Felice dipinge tutta una serie di murales e c'è il controvertice del G7. Nel 2001 c'è una mobilitazione contro il Global Forum e partendo dai diversi quartieri di Napoli i carri convergono e si ritrovano a piazza del Gesù per ripartirsi una grande torta.
Quello non era il carnevale. Siccome c'erano i grandi avevamo fatto, naturalmente in maniera ironica, questi grandi che arrivavano a spartirsi la torta che avevamo preparato a piazza del Gesù. Era un'enorme torta da dividere tra i grandi. Io stavo con i Pappici, una realtà delle botteghe del commercio equo e solidale. Procedevamo per le vie del centro di Napoli per andare a piazza del Gesù cantando sulle note della canzone siamo la coppia più bella del mondo, cantavamo “Siamo il Paese più ricco del mondo e ci dispiace per gli altri che sono poveri”.

Potrei concludere questo dialogo con te oggi dicendo che Mirella, Felice e il Gridas sono per un risveglio globale dal sonno, non soltanto di un quartiere.
E no, perché se tu ti svegli ti svegli per tutti. Non è che ti svegli solo per te.

Gianfranco Falcone

 

 

 

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