
Il 4 ottobre sono usciti i dati Istat sulla povertà relativa in Italia nel 2006 [1]. Meritano una breve analisi e propongono degli interessanti spunti di riflessione.
Le cifre parlano di 2mln 623 mila famiglie, pari all’11,1% delle famiglie residenti, che vivono in una situazione definita di“povertà relativa”.
In pratica, 7mln 537 mila cittadini, pari al 12,9% dell’intera popolazione del nostro paese, sarebbero “individui poveri”. Un valore praticamente in linea con quello dei 4 anni precedenti.
Per la maggior parte dei media, questo, ha significato “solo” che la povertà in Italia è costante. E’ proprio così? O, meglio, è possibile fare qualche considerazione un po’ meno “limitata“?
Per l’anno 2006, la cosiddetta linea di povertà, vale a dire la soglia al di sotto della quale la spesa mensile di una famiglia fa sì che essa venga definita povera, è stata considerata di €970,34 per una famiglia di due componenti (+3,6% rispetto al 2005).
Il fenomeno è più diffuso nel Mezzogiorno dove la quota delle famiglie povere è quasi cinque (ripeto 5) volte superiore a quella osservata nel resto del Paese, anche se si registra una lieve, ma continua flessione. Il fenomeno si manifesta al Sud non solo per la sua diffusione, ma anche per la sua gravità: la spesa media mensile delle famiglie povere è del 22,5 inferiore alla soglia di povertà; ma, se si volesse guardare il bicchiere non proprio vuoto, anche in questo caso si nota una leggera flessione della gravità rispetto agli anni precedenti.
L’Istat si dilunga poi in una approfondita scomposizione del campione per cercare di rilevare quanto età, livello di istruzione, composizione del nucleo familiare e sesso influenzino il fenomeno. Se si provasse ad incrociare questi dati con altri, ad esempio sull’andamento dei prezzi, si potrebbe scoprire qualcosa di interessante.
Altroconsumo, associazione indipendente di consumatori, ha stilato un rapporto [2] sui prezzi praticati dai supermercati, ipermercati e hard discount in tutte le maggiori città italiane. In base a questo rapporto, le città che offrono prezzi più interessanti per i consumatori sono quelle dove il gioco della concorrenza tra i vari punti vendita innesca, attraverso ribassi e promozioni su larga scala, un meccanismo di rincorsa all’offerta più conveniente. Ebbene, questo meccanismo finisce per favorire le città del Nord rispetto al Meridione. Basta, infatti, osservare la classifica per rilevare come tra le prime 10 città “risparmione” non ce ne sia nemmeno una – con la sola eccezione di Perugia – del centro-sud, mentre queste vanno ad affollare gli ultimi posti della classifica. E questo, non solo in termini relativi, ma anche assoluti: la stessa spesa, in una città del Nord costa anche €1.000 in meno che in una del Sud.
Le famiglie del Mezzogiorno, quindi, non solo sono più povere di quelle del Settentrione, ma devono anche fronteggiare un mercato dei prezzi più oneroso.
Come dire “cornuti e mazziati!”
Sarebbe il caso che, al posto di tante inutili chiacchiere su cosa si intende per famiglia, se stretta, allargata, cattolica o costituzionale si facesse qualcosa in più per rompere quella catene che limitano la concorrenza nella grande distribuzione, soffocando le città del Sud e che, in parte, permettono questa subdola disparità tra cittadini dello stesso paese.
Frank Migliadoni
[1] ww.istat.it
[2]www.altroconsumo.it
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