Mogol e Paolo De Carolis: l’intervista.

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I numeri possono dare l'idea, ma non dicono tutto. Nessuno potrebbe raccontare tutto quando sono coinvolti sentimenti, impressioni, emozioni, che hanno accompagnato la crescita di una popolazione multi età legata a 523 milioni di dischi venduti. Se poi si moltiplica il ”mi ritorni in mente” di ognuno per 523 milioni di storie legate ai dischi venduti, ecco che le dimensioni letterarie del fenomeno prendono corpo in limiti non tutti esplorabili.

Neanche l'autore di tanta poesia musicale, Giulio Rapetti, per tutti dal 30 novembre 2006 , avrebbe potuto ipotizzarne il successo e probabilmente anche adesso non ne riesce a cogliere le dimensioni effettive o quanto meno non ne ostenta l'importanza. Paolo De Carolis, che lo intervista (trasmessa da TVQ [1]) dalla lucida modestia del suo interlocutore ottantaduenne, tira fuori l'enormità degli aspetti storici e culturali che ne hanno accompagnato il vissuto artistico e che vengono narrati in modo fluido ed inedito in alcuni tratti.

L'incontro, tra il giornalista e docente di materie letterarie al MIUR, ripreso da Paolo Salviani, arriva durante il Festival della Letteratura tenutosi a Pescara dall'8 all'11 Novembre, direttore artistico Vincenzo D'Aquino. Una manifestazione dai numeri in crescita, 1204 libri venduti, 30.000 presenze, centinaia di migliaia di visualizzazioni sul web, sold out e code lunghissime per gli eventi in programma come qualcuno non si aspetterebbe per una manifestazione che è essenzialmente cultura.

Mogol durante l'intervista con Paolo De Carolis. Foto Paolo De Carolis

L'intervista, 29 minuti intensi e ricchi, è anch'essa un evento importante, completa lo scenario già molto pieno del calendario pescarese di questo inizio di Novembre. Si tiene tra il padre della musica pop italiana, il narratore della quotidianità degli italiani dagli anni '60 ad oggi, ed un intervistatore cultore del sodalizio Mogol Battisti messo da lui in scena anche in un lavoro teatrale. Si avverte che la chimica tra i due si è fatta sintonia e, dopo un iniziale sguardo indagatore da parte del paroliere, i racconti iniziano ad essere offerti in modo partecipato, inusuale per una intervista da chi ha già raccontato tutto o quasi, ma che tuttavia incolla l'attenzione dello spettatore alla narrazione.

Evidentemente, dai due, il periodo musicale degli esordi, bollato immeritatamente come fascista ”…peggio qualunquista” ( è Mogol a dirlo), non deve essere stato mai completamente digerito. Per questo è messo subito in chiaro quel successo che la maggioranza silenziosa del Paese conferì a quelle musiche e ne decretò la crescita senza dover ricorrere agli eccessi delle proteste. Viene ricordato a proposito l'episodio del '76 in cui anche , reo di farsi retribuire dopo le esibizioni, non sfuggì alle aggressive ritorsioni intimidatorie della frangia più attiva dei contestatori. Questi erano i periodi durante i quali era considerata meritevole solo la canzone di protesta, quella politica. L'impegno lirico nel raccontare la vita di tutti i giorni, seppur descrivendone gli aspetti con tutta la loro semplice profondità, era bollata come qualunquismo. Un atteggiamento denigratorio e troppo sopra le righe che favorì nel popolo la vittoria dei sentimenti sui contenuti politici. Fu anche, origine secondo Mogol, della vittoria di quel partito politico che seppe interpretare meglio queste necessità di normalità che arrivavano dalla vita di tutti i giorni in un Paese che era diviso unicamente tra neri e rossi, quasi contasse solo questo.

L'excursus storico prosegue necessariamente esplorando i recessi della poesia nel tentativo di individuarne contatti tra la poetica petrarchesca ed il pessimismo storico leopardiano e quanto presente negli album prodotti dal 1969 al 1980. Un richiamo ai classici, probabilmente presente a causa della formazione umanistica di Mogol, che per la verità non viene colto dallo sterminato popolo di affezionati ai quali resta per lo più il fascino della vita e delle emozioni vissute nelle piccole cose del quotidiano sublimate in versi della canzone popolare. Solo tra 50 anni, dice il maestro, si potrà dire se si tratta di vera poesia.

L'intervistatore mostra di conoscere i tasti da pigiare per ottenere una narrazione inusuale, ricca e chiara, ne solletica i ricordi con eleganza quando sottolinea gli anni della collaborazione nei 14 album, tutti di successo, che hanno arricchito, tra versi e musiche innovative, i ricordi delle vite, caratterizzandole, di tanti ragazzi di allora. Ottiene una descrizione efficace del duo tra l'”orizzontalità” del paroliere, estroverso, sportivo, fantasioso, estroso, di formazione umanistica e la “verticalità” del musicista autodidatta, introverso, che ama approfondire, studiare, indagare in modo maniacale, profondo conoscitore della discografia esistente. Singolare è la scoperta di come i due, pur non avendo vita vissuta in comune, ottenessero sinergie così elevate nelle loro creazioni.
Racconta Mogol che si frequentavano una settimana all'anno… quando andava da lui con i testi e la chitarra ed in una settimana di frequentazione realizzavano il nuovo album. Finì perché Giulio Rapetti cercò una corresponsione economica paritetica, una uguale distribuzione degli utili editoriali mentre le regole Siae vigenti erano che il musicista avesse l'8% ed il paroliere il 4%. Ancora Mogol,  si trattò di richiesta di una equità di principio più che di sostanza economica. Generò però una separazione artistica che non sapremo mai dove avrebbe condotto o se era giunta comunque al capolinea.

La vena creativa del paroliere Mogol continua a forgiare prodotti artistici e così ci saranno altri impegni: uno letterario sugli aforismi, un sequel de Le Ciliegie e le Amarene che sarà a fine mese nelle librerie con il titolo “Le Arance e i Limoni”; l'altro al Bellini di Catania dal 9 al 18 Dicembre, per un'opera tratta dal romanzo Storia di una Capinera di Giovanni Verga (Musiche di Gianni Bella, libretto di Giuseppe Fulcheri, liriche di Mogol).

L'intervista si avvia verso la conclusione. Impossibile però prima non ricordare la grande influenza abruzzese sulla crescita del giovane Giulio Rapetti, lu milanese per i Silvaroli, che per 4 mesi all'anno nel periodo adolescenziale, arrivava in vacanza con la famiglia a Silvi Marina dopo un interminabile viaggio notturno su una giardinetta stracolma. Tutte le influenze di quel periodo e di quel mare che ne condirono la crescita, il primo bacio dato…. da sdraiati, causa altezza, ad una ragazza romana alta un metro e 80, alle corse in bicicletta lungo la fila di oleandri (che però fu di Gianni Bella) e a Silvi paese, alle bionde trecce e le calzette rosse (quelle di Titti, la sua vicina di appartamento a Milano), alla cantina buia dove respiravamo piano, alle colline…quelle dei ciliegi, ma soprattutto …
ti ricordi l'acqua verde e noi
le rocce, bianco il fondo
di che colore sono gli occhi tuoi
se me lo chiedi non rispondo.
O mare nero, o mare nero, o mare ne…
tu eri chiaro e trasparente come me …
che decretarono il legame di adozione tra Silvi Marina, il suo mare e il maestro autore de La Canzone del Sole [2]: “…quel mare lì, è il mare di Silvi Marina…” dichiara.

Queste influenze sono messe in chiaro e consolidate dalla descrizione calzante data sull'abruzzese e sulle sue presunte qualità di orgogliosa caparbietà citando aneddoti, che il maestro chiama perle apprezzabili, vissuti direttamente. Non manca infine, e ne siamo certi che avrà concretezza molto presto, la promessa di una nuova presenza nella regione per assaporare ancora una volta il gusto dell'orgoglio e della generosità nell'accoglienza che il suo popolo vorrà tributargli.
Emidio Maria Di Loreto

La foto di copertina è di Paolo De Carolis

[1] http://www.tvq.it/serie?currentItem=4
[2] http://www.angolotesti.it/L/testi_canzoni_lucio_battisti_195/testo_canzone_la_canzone_del_sole_10967.html

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