Mondiali in Qatar: i morti di cui nessuno vuole parlare

Qatar Mondiali di calcio illustrazione Linda De Zen
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Il 20 novembre il Qatar aprirà con la cerimonia iniziale nella capitale Doha, la 21ma edizione dei Campionati mondiali di Calcio, in un clima già euforico sia per le naturali aspettative che ogni nazionale partecipante nutre e sia perché è la prima volta nella storia che questa competizione avrà luogo in uno Stato che ha avuto ed ha, con il calcio, lo stesso rapporto che possono avere le Isole Samoa con la disciplina dello slittino.

I meccanismi adottati dalla FIFA nel 2010 per l’assegnazione del mondiale al piccolo stato qatarino, hanno generato inizialmente disapprovazione e forte contrarietà delle Federazioni calcistiche – specialmente quelle nord europee come Svezia e Norvegia – per poi affievolirsi o addirittura scomparire del tutto, dietro pesanti pressioni o ricatti esercitati dall’Organo di governo del calcio mondiale sulle Federazioni contestatrici, sventolando lo spettro di una loro esclusione per la competizione del 2026.

Il nodo della questione, che ha minacciato lo svolgimento stesso della manifestazione, ha riguardo le condizioni e gli abusi subiti dalle maestranze immigrate impiegate per la costruzione degli stadi e delle infrastrutture necessarie.

Secondo l’ultima inchiesta stilata nel 2021 dal quotidiano “The Guardian”, forse l’organo d’informazione al mondo più attento alle problematiche sociali ed ambientali, oltre 15.000 lavoratori stranieri – provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e naturalmente da diversi paesi dell’Africa – sui 2 milioni ingaggiati, sarebbero morti tra il 2010 e il 2019 a causa delle condizioni di lavoro nelle quali sono stati costretti [1].

Due milioni di esseri umani, forse senza un nome, privati della loro stessa dignità di uomini a tal punto da poterli chiamare “schiavi”, usati per far risplendere in quella landa di deserto popolata da circa 2,8 milioni abitanti, il sogno del più grande avvenimento nella storia del Qatar. E questo tritacarne messo in piedi con la silente complicità degli organi di rappresentanza del calcio mondiale, ha retto dall’inizio della messa in opera dei progetti esecutivi fino ad oggi, al ritmo di settimane di lavoro di 70 ore e paghe da 50 centesimi a 2 € l’ora.

Senza timore di sbilanciarsi nei commenti, è fin troppo evidente come questi Mondiali di calcio si siano configurati essenzialmente  come la saldatura fra interessi commerciali al massimo livello – vicini ai 200 miliardi di dollari il costo per la costruzione dal nulla di tutti gli impianti – e una dirigenza del mondo sportivo che è sembrata aver ha perso l’orientamento e la dignità nel momento stesso nel quale ha preferito girarsi altrove per non dover vedere calpestati i diritti primari e fondamentali di ogni uomo.

Ce lo ricorda il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury nelle pagine dell’inchiesta iniziata dalla sua organizzazione da quando la FIFA ha deciso di affidare il Mondiale al Qatar:

”Si vuole costruire l’immagine della ‘prima volta’ in un paese del mondo arabo. Un’idea affascinante… ma questi mondiali non si giocano in Qatar per dimostrare che anche i Paesi Arabi sono in grado di poterli organizzare. In realtà si tratta soltanto di un’operazione di ‘sport washing’ dove la polvere viene messa sotto al tappeto” [2].

Sostanzialmente è quanto affermato da un ex dirigente dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro” (ILO), facente parte dell’ONU, quando denunciava   l’esistenza di un “patto segreto da 25 milioni di dollari fra l’Emirato e l’ILO per coprire gli abusi nei cantieri e salvare l’immagine dei Mondiali di calcio in Qatar” [3]. 

Abbiamo accennato in precedenza alla dignità, una parola evidentemente non vuota, se l’ex capitano della nazionale tedesca Campione del Mondo nel 2014, Philipp Lahm, ha pubblicamente affermato che non seguirà la sua squadra in Qatar dopo aver aspramente criticato proprio l’assegnazione in quanto:

”I diritti umani dovrebbero svolgere un ruolo importante nell’assegnazione dei tornei. Se un paese, che va male in questo settore, ottiene l’assegnazione allora capisci su quali criteri si basava la decisione. E i giocatori non possono far finta di non saperlo” [4].

Le speranze di poter almeno risarcire o indennizzare tutti quegli operai che sono stati sfruttati sembrano aver preso forma attraverso l’azione di tre ONG – Human Rights Watch, Amnesty International, Fair Squareche hanno lanciato un appello agli sponsor dei mondiali affinché mettano in campo le opportune forme di compensazione.

Lo dice chiaramente in un comunicato congiunto la direttrice delle iniziative mondiali presso Human Rights Watch, Minky Worden:

”A soli due mesi dal fischi d’inizio, gli sponsor dovrebbero usare la loro enorme influenza per mettere pressione sulla FIFA e sul Qatar affinché assumano le loro responsabilità in materia dei diritti umani nei confronti di questi lavoratori” [5].

Ma, purtroppo, da quanto riferito dalla direttrice che solo quattro imprese sponsor – Adidas, Coca-Cola, Mc Donald’s e AB InBev – si siano impegnate a versare una compensazione finanziaria.

Amnesty International ha fatto forse di più; ha commissionato un sondaggio globale a You Gov – svolto dal 16 agosto al 6 settembre – dove sono state raccolte le intenzioni di oltre 17.000 persone in 15 stati circa l’obbligo da parte della FIFA di risarcire i lavoratori migranti sfruttati investendo una cifra pari a 440 milioni di dollari.

Il sondaggio ha registrato il giudizio favorevole all’iniziativa del 73% della quota di soggetti interpellati il che ha consentito al direttore del programma “Giustizia sociale ed Economica” di Amnesty International, Steve Cockburn di affermare:

”I tifosi non vogliono un mondiale di calcio macchiato dalle violazioni dei diritti umani. Sul passato ormai non si può tornare indietro ma un programma di risarcimenti, da parte della FIFA e del Qatar, rappresenterebbero almeno una piccola compensazione” [6].

Di fronte la determinazione delle organizzazioni no-profit e, anche se in sordina, di alcuni giornali, ci saremmo attesi una risposta costruttiva o quantomeno collaborativa da parte del numero uno della FIFA Gianni Infantino il quale è invece addirittura già proiettato verso il Mondiale che si disputerà nel 2026 tra Stati Uniti, Messico e Canada. Le sue dichiarazioni lasciano di stucco, come se quanto accaduto in Qatar appartenga ad un passato remoto:

Il mondo invaderà Canada, Messico e Stati Uniti con una grande ondata di gioia e felicità perché questo è il calcio. Il calcio è anche lo sport degli immigrati, dell’inclusione e dell’unione” [7].

Forse relegato al passato lo sarà solo per Infantino visto il suo amore dichiarato per il Qatar, del quale ne è diventato anche cittadino.

Stefano Ferrarese

[1] Fabio Balocco, https://web.archive.org/web/20221128051715/https://italialibera.online/sport/calcio/pronti-i-mondiali-di-calcio-in-qatar-a-novembre-con-crimini-stupidita-e-tanti-morti/ 31 luglio 2022
[2] Domenico Guarino, https://luce.lanazione.it/attualita/mondiali-calcio-qatar-diritti-umani/, 18 settembre 2022
[3] Lorenzo Vendemiale, https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/07/09/mondiali-2022-la-denuncia-di-un-ex-dirigente-dellilo-patto-segreto-tra-nazioni-unite-e-qatar-per-coprire-lo-sfruttamento-nei-cantieri/6653431/, 9 luglio 2022
[4] Sofia Cioli, https://luce.lanazione.it/attualita/mondiali-calcio-qatar-diritti-umani/,8 agosto 2022
[5] https://www.laregione.ch/sport/calcio/1608183/des-les-du-qatar-et-ong-au, 20 settembre 2022
[6]https://www.amnesty.it/mondiali-di-calcio-in-qatar-un-nostro-nuovo-sondaggio-mostra-uno-schiacciante-sostegno-alla-richiesta-fatta-alla-fifa-di-risarcire-i-lavoratori-migranti/  15 settembre 2022
[7] https://www.itasportpress.it/calcio/infantino-mondiale-2026-sara-come-avere-80-superbowl/, 17 giugno 2022

 

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