
Le premesse erano tutt'altro che incoraggianti, come nuvole nere sul cielo di Roma, nonostante la splendida e mite serata di metà ottobre. Le notizie sulla sua salute e la lettura della scaletta della sera precedente, con i primi due brani che contenevano la parola “morto”, mi avevano messo in agitazione, quasi fossero messaggi subliminali lanciati al mondo. Ma cercavo di rincuorarmi dicendo che la prima canzone era “The Queen is dead”, vecchio cavallo di battaglia degli Smiths e manifesto ideologico dell'antimonarchismo inglese e la seconda era “The bullfighter dies”, il torero muore, altra dichiarazione d'intenti storica per il cantante inglese, animalista e vegano militante (il cartello posto all'ingresso dell'Atlatico Live con il divieto di introdurre carne o pesce metteva subito in chiaro le cose). Senza sapere ancora che stasera, dopo il pezzo d'apertura, avrebbe cantato “You have killed me”!!!!
Ma l'atmosfera nell'aria è elettrica, la trepidazione per la presenza in città di un uomo che sa parlare al cuore delle persone come pochi altri è direttamente proporzionale al numero di tatuaggi con le parole “There's a light that never goes out” che ho visto negli ultimi trent'anni scolpiti sulla pelle di molti ragazzi e ragazze. La musica pre–concerto, solitamente un riempitivo inutile che fa aumentare soltanto il nervosismo dell'attesa, è la colonna sonora in video della sua vita. I film degli anni cinquanta e sessanta (ricordate le splendide copertine dei dischi degli Smiths?), Nico, i Velvet Underground, i New York Dolls (era il curatore di una fanzine dedicata al gruppo americano), i Ramones e i Sex Pistols ( era uno dei 68 presenti al mitico concerto dei Sex Pistols a Manchester del 4 Giugno 1976, l'anno zero del punk inglese), un background comune a tanti della mia generazione, ma che continua a mietere vittime con il passare del tempo. E quando il sipario si alza, (alle 21 in punto, ti amo, per questo!!!) Stephen Morrissey da Manchester, classe 1959, è in forma strepitosa. L'efebica bellezza dandy del ragazzo degli anni ottanta si è trasformata nel fascino maturo di un uomo al culmine della propria parabola artistica (non l'avevo mai visto dal vivo né allora né mai). L'eleganza dei gesti e l'ironia con cui affronta il suo mito e il suo stato, smussano anche gli spigoli più duri della sua intransigenza (il filmato che accompagna “Meat is murder”, con immagini davvero shockanti del trattamento degli animali, è per stomaci forti). E sebbene sia uno che potrebbe campare di rendita, la scaletta del concerto è incentrata quasi completamente sul repertorio dell'ultimo bellissimo album, “World peace is none of your business”, uscito nel luglio di quest'anno e subito ritirato per divergenze con la casa discografica, rea di non impegnarsi nella promozione (un'altra battaglia da combattere), con solo tre concessioni al passato glorioso degli Smiths, le già citate “The Queen is dead”, “Meat is murder” ed una monumentale “How soon is now?”. La band alle sue spalle, camicia bianca da look assassino, è tosta quanto basta: picchia quando c'è da picchiare e ricama quando c'è da assecondare la voce sinuosa e perfettamente espressiva del leader.
Le luci creano stati d'animo e colorano la musica e le parole con grande efficacia. Un'ora e mezza densa di mille emozioni che volano via in un attimo. E quando alla fine del bis, “Everyday is like Sunday” Morrissey si sfila la camicia e la lancia al pubblico adorante, qualche fortunato riesce a portarsi a casa un pezzetto di lui ad imperitura memoria. Ora però sono le 22,30…a quest'ora, i concerti a cui partecipo di solito devono ancora iniziare…ma è una bella sensazione camminare ascoltando “This charming man” ed avere la sensazione che la notte debba ancora iniziare.
Mario Barricella
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