
Nella mente di chi scrive, incollato come molti alle 18 davanti alla TV, si è insinuato il dubbio che, tutto sommato era sbagliato, come credeva, di godere una discreta salute.
Erano stati il dottor Borrelli e la lunghissima sequela di virologi, epidemiologi, rappresentanti di task force (identificazione di gruppo di lavoro che incute rispetto e timore), alti responsabili della Protezione Civile, microbiologi, membri dell’Organizzazione mondiale della Sanità, oppure dell’Istituto Superiore di Sanità che ci insegnava ad attribuire le cause di morte in questa gravissima pandemia. Certo il messaggio arrivava più in profondità quando meglio comunicato da qualcuno di loro, come nel caso del Prof. Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità.
Comunque, il dubbio insinuato a chi scrive, riguardava in primis la salute di chi, oltre i sessant’anni, finora pensava si potesse avere una normale e soddisfacente vita di relazione e di svolgimento delle attività connesse ai propri campi interesse. Si era certi cioè che, un’ipertensione da anni sotto felice controllo terapeutico, il sovrappeso comunque accettabile, il dismetabolismo lipidico e pure l’ipertrofia prostatica che gli specialisti specificano “dopo i cinquant’anni non si nega a nessuno”, potessero essere accettabili per uno stato di salute connesso con l’età.
Invece, nella conferenza stampa aveva appurato che, se fosse stato colpito da Sars cov 2 e da successive complicanze che ne avrebbero causato il decesso, la sua morte non sarebbe stata imputata al contagio pandemico ma sarebbe stato un decesso con coronavirus. Diversamente se non avesse avuto la leggera ipertensione e tutto il resto che non impediscono una vita normale in tutti i sensi, sarebbe stato un morto da coronavirus.
Una distinzione che ha subito preoccupato perché dagli scienziati si aveva quasi l’impressione che i morti non sono tutti uguali, quelli da, erano quelli più preoccupanti mentre quelli con, lo erano meno.
Ma cosa vuol dire se un con coronavirus fino a quel momento ha potuto accogliere sulle sue ginocchia i propri nipoti per raccontare di quando portò la nonna in vespa a vedere il lago o di quando con il cappello di carta aveva messo la bandiera dell’Italia sul tetto della palazzina dove adesso abitavano tutti, era degno di minor considerazione?
Cosa se ne deduce sull’altro anziano, che aveva anche lui il nipotino sulle ginocchia al quale insegnava come si curava la vigna di casa ed illustrava come fare il vino oppure come si alleva un gallo, tacchino, maiale e conigli… siccome sarebbe morto da coronavirus costituiva un caso di maggior interesse?
Se per gli scienziati i morti non sono tutti uguali allora a cosa serve la distinzione, a stabilire se l’anziano con patologia deve morire prima di quello senza?
La carta costituzionale non dice, così come lo diceva chi creò il SSN, che tutti hanno diritto alla salute?
Questa rincorsa a mischiare i numeri ai quali subito tutti hanno iniziato a non credere più, per quale ragione si è innescato?
La nostra Protezione civile ed ancora di più, visto che la responsabilità sanitaria spetta a loro, le nostre Regioni non avrebbero dovuto opporre, per tutti, uguale argine alla pandemia?
A cosa serve distinguere con o da coronavirus, ad individuare un alibi a chi forse avrebbe dovuto fare meglio?
Forse a chi non è stato capace di prepararsi avendone avute avvisaglie per tempo?
Forse a quelli che avrebbe avuto anche l’ardire di dichiarare di non aver sbagliato nulla?
A chi non ha capito che sarebbero serviti dispositivi di cui non aveva provveduto ad avere disponibilità, e percorsi negli ospedali dedicati, e cordoni sanitari nelle RSA ed ospizi?
Francamente una nazione civile affronta l’emergenza con il massimo impegno e capacità, e chiede scusa per gli inevitabili decessi che dovessero comunque arrivare, e si mette anche da parte se ci si scopre inadeguato ad affrontare un compito verso il quale non è tagliato o ne è incapace.
Ricordiamoci subito che senza diritto alla vita per tutti, non si procede da nessuna parte ed iniziamo da subito a sollevare il cappello e chiediamo scusa ai circa 23.000 morti ufficiali al momento, più gli altri non considerati che sono in numero tutt’altro che definito al momento. Inchieste nel bergamasco e dati già diffusi dicono + 370% di decessi rispetto alla media dei precedenti 10 anni nel comune di Bergamo nel periodo inizio marzo-12 aprile. Altro esempio nella Bergamasca nelle 24 ore tra 20 e 21 Marzo sono morte 256 persone per coronavirus.
Le cifre però non ancora definitive completamente le presenta l’Eco di Bergamo in una inchiesta giornaliera che sta riscuotendo grande interesse per le dimensioni dell’erroneamente celato [1]. Tra tutti i comuni della bergamasca i decessi sembrerebbero essere 5.700 nel mese di marzo dei quali 4.800 riconducibili al sars cov 2. Sono numeri che indicano moltiplicati per sei i numeri dello scorso anno mentre al 31 Marzo i decessi sicuramente covid per l’ufficialità erano 2.060 poi saliti ad oggi a 2.835.
Importante anche aggiornare i dati dei decessi dei 131 medici, 10 farmacisti su 800 contagiati, 34 infermieri su 8800 contagiati, gli oltre 100 sacerdoti e suore deceduti nel portare aiuto e conforto ai malati, il personale ausiliario e sanitario vario tra tecnici, veterinari, biologi, psicologi. Tutti professionisti ai quali non dovrebbe mai mancare la nostra riconoscenza ed il rispetto con ogni azione che non renda vano il loro sacrificio.
Le dimensioni del disastro non ancora complete ci obbligano a non sbagliare nel futuro tra una riapertura che dovrà essere rigorosa e le urla dei saccenti di turno.
Emidio Maria Di Loreto
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