
L'industria musicale e in parte gli artisti continuano a cercare delle vie d'uscita a una crisi di identità e delle vendite dei cd che da qualche anno sta diventando sempre più problematica. I tentativi sono i più disparati e non sembrano coincidere con strategie chiare. L'unica verità è probabilmente di non aver saputo affrontare con tempismo e coraggio la diffusione del digitale e le forme di condivisione dei file messe in atto nel tempo dagli appassionati. E fino a quando non si darà una risposta definitiva a questa realtà, senza pensare ad una semplice criminalizzazione per il mancato pagamento dei diritti, non avremo un industria culturale che potrà accontentare tutti, dagli investitori ai consumatori passando per gli artisti.
La svolta “istituzionale” forse è avvenuta nella primavera dello scorso anno quando Douglas Merrill presidente della divisione digitale di EMI ed ex-Google ha dichiarato in un'intervista che, pur esistendo fenomeni di pirateriacome il file sharing sia positivo per gli artisti, non negativo. Quindi, forse, non dovremmo tentare tutto il tempo di fermarlo>> [1]. La pubblicità e gli accordi commerciali con i proprietari delle reti di accesso sarebbero le soluzioni.
La soluzione di retrocedere dagli operatori di telefonia e di destinare a quelli della musica una parte dei ricavi per gli abbonamenti per l'accesso a internet (da fisso e da mobile) è l'opinione espressa da Gerd Leonharddobbiamo smettere di controllarli o di dirgli cosa fare. Io credo che non si debba combattere il filesharing e le forme di network sociale che si stanno affermando ma bisogna andare a un accordo con le compagnie telefoniche e gli internet provider che guadagnano tantissimo dal download di musica, film e altri contenuti. Io e tanti ragazzi oggi paghiamo un abbonamento per una connessione a banda larga per poter condividere contenuti digitali non certo per scambiarci mail>> [2].
Uno dei fenomeni più interessanti degli ultimi anni è stato l'evolversi e l'affermarsi dei cosiddetti social networking. E il loro progredire insieme ovviamente alla digitalizzazione della musica ha cambiato questo mondo. Prima di essere sopravanzata da Facebook, Myspace ha detenuto lo scettro per numero di utenti e accessi per diverso tempo [3].
MySpace nasce nel 2004 e a luglio 2005 viene acquisita da Fox Interactive Media per 580 milioni di dollari. Myspace ha consentito una notevole visibilità ad artisti noti e meno noti che hanno saputo utilizzare al meglio la rete per poter dialogare con i propri fan ed informarli delle loro attività.
Con alle spalle un pubblico partecipante fatto oramai di oltre 100 milioni di visitatori già abituati al consumo musicale, anche non propriamente legale, e cinque milioni di artisti registrati Murdoch, proprietario di Myspace, insieme a Warner Music Group, Vivendi Universal e SonyBMG alla fine di settembre dello scorso anno hanno lanciato Music MySpace con un investimento di 120 milioni di dollari [4]. Non si tratta di un puro accordo commerciale ma le major condividono gli utili.
In questa maniera la community è stata aperta al download brani musicali a pagamento o gratuiti con il sostegno degli sponsor, allo streaming gratuito con pubblicità consentendo un ascolto di tipo radiofonico, a eventi e manifestazioni speciali con l'apporto dei grandi marchi e alla vendita del merchandising o di contenuti digitali per i telefonini.
Gli utenti possono continuare a modellare playlist, personalizzare i propri contenuti, scambiare brani fino ad un massimo di dieci. Gli emergenti sulle loro pagine possono caricare l'intero catalogo e farvi accedere gratuitamente ricavando qualcosa dalla pubblicità.
I primi marchi a legarsi al progetto sono stati la Toyota, la Sony Pictures McDonald's e State Farm.
Con lo streaming il nuovo sito si prepara a rivaleggiare con Last.fm e Imeem, mentre con la vendita dei brani (tramite Amazon e non direttamente) si apre lo scontro con iTunes che è il leader incontrastato della vendita della musica digitale [5]. Dopo la prima settimana erano già un miliardo i brani ascoltati in streaming. A fine dicembre all'indirizzo music.myspace.com avevano acceduto oltre 13 milioni di visitatori con 41 milioni di visite totali [6].
Il progetto però non è stato aperto a tutti forse perché le condizioni economiche per i produttori indipendenti non sono delle migliori. Sicuramente sarà difficile vederli participi della proprietà e quindi degli utili della società [7].
Ovviamente dal punto di vista dei fruitori la mancanza di alcune etichette minori potrebbe tenerli lontani da un utilizzo significativo.
Inoltre l'arrivo delle multinazionali della musica è sicuramente un colpo allo spirito delle comunità on line. E il continuo allargarsi del peso della pubblicità, anche quando consente l'accesso gratuito, porterà conseguenze all'indipendenza nella creatività dell'opera.
Ciro Ardiglione
[1] Andrea Di Stefano, “MySpace, da ‘social' a ‘musical' network”, Repubblica sezione Affari e Finanza, 21 aprile 2008 pag. 27
[2] Le dichiarazioni sono state citate in Flaviano De Luca, “La rivoluzione digitale ha distrutto il business del disco”, Il Manifesto, 21 gennaio 2009, pag. 15
[3] Il sorpasso non è ancora avvenuto negli USA dove le rilevazioni di Comscore vedono a dicembre 2008 MySpace in testa con 76 milioni di visitatori contro i 55 di Facebook e i 16,6 di Classmates
[4] Ernesto Assante, “Il jukebox più grande del mondo”, Repubblica, 17 settembre 2008, pag. 45
[5] tra gli cfr. Gianni Rusconi, “MySpace Music, scommessa a tre fra social network, major e sponsor”, www.ilsole24ore.com, 26 settembre 2008; iTunes ha venduto a gennaio 2009 oltre 6 miliardi di brani dalla nascita ed è presente in 22 paesi cfr. Ifpi, “Digital Music Report 2009”, pag.10
[6] I dati sono disponibili su compete.com
[7] Nicola Battista, “MySpace Music: un miliardo di ascolti e qualche “stonatura”, www.mytech.it, 14 ottobre 2008
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