My Bloody Valentine. mbv. Un altro sguardo sul futuro del rock alternativo

My Bloody Valentine mbv
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Inventori dello , composizioni che ricongiungono voci sognanti e effetti distorsivi di chitarre e musicisti ripiegati su a “guardarsi le scarpe”. Una metafora ingenerosa per un gruppo che ha guardato lontano piegando la storia dell'alternative rock e costringendo  amanti della musica indie ad utilizzare le loro opere come punti fermi ineludibili.

Il titolo di un film  horror da il nome alla band che nel 1983 il chitarrista e il batterista Colm O'Ciosoig formarono il gruppo oramai leggendario. A quasi trent'anni dalla loro nascita, dopo ventidue anni da e a cinque dal primo annuncio, lo scorso febbraio pubblicano, dopo averlo autoprodotto, . Un lavoro inciso e registrato in analogico e dal titolo semplice che, per l'accoglienza ricevuta, potrebbe essere il disco dell'anno per molti. Il risultato di una creatività intatta dove non incontriamo brani collocati per caso ma che ti obbligano all'ascolto incessante dall'inizio alla fine.
Prima di dar conto di alcune delle innumerevoli recensioni scritte per mbv segnalo un interessante e approfondito articolo di Christian Zingales sulla  poetica, dalla nascita passando per le sue collaborazioni fino a quest'ultimo album, del leader indiscusso della band Kevin Shields [1].

Che mbv possa essere uno dei migliori dischi dell'anno ne è convinto anche Desidera perché è all'altezza degli eccelsi precedenti Isn't Anything e Loveless. In particolare è la seconda parte a dare il segno della riuscita ricerca sonora della band. Mentre nella prima sessione siamo di fronte a suoni nella tradizione sia pur suntuosi, nella seconda troviamo per esempio che «è tutta un fluire incessante di synth e sussurri sensuali, una canzone fra le più moderne dell'intero disco» o New You con «parti di sintetizzatori abbastanza diverse dal contesto del disco e una parte di basso tesa e groovy come non mai, e colpisce al cuore» [2].

Sibilla è forse meno entusiasta forse perché è complicato scavalcare muri di suoni che vengono da una storia che se non esistesse bisognerebbe inventarla e da un gruppo spesso fuori dal tempo.
Il senso delle nove canzoni sta nella citazione riportata, scusate la stratificazione, di Fabio De Luca: «la strana sensazione di ascoltare delle canzoni che sono al tempo stesso assolutamente nuove e perfettamente vecchie». Anche Sibilla si ferma sulla doppia parte, la prima in continuità con Loveless con qualche variazione nelle stratificazioni sonore come l'uso della batteria, la seconda con «ritmi più decisi» per arrivare alla conclusiva «dove il ritmo impazzisce del tutto» [3].

Se ad un primo ascolto gli ultimi brani lasciano spazio all' innovazione, Caliri ci spiega che nella sostanza «ci parlano invece di un discorso possibile dell'evoluzione da Loveless a “Loveless parte seconda“. Wonder 2 è un picco difficilmente raggiungibile da altri menti musicali attualmente in corso. Epperò ci sentiamo le possibilità di iperspazio solo a fronte del decollo di Loveless».
È inevitabile il confronto con il precedente perché si sarebbe trattato di dare continuità ad uno dei dischi più «straordinariamente innovativi» dell'ultimo decennio del secolo scorso. Forse la creatività è frutto di una deficienza tecnologica, quella che obbligò ad un approccio compositivo per «stratificare livelli, che andavano, per così dire, orchestrati, sovrapposti con una teoria e una pratica che divenne la quintessenza del capolavoro» [4].

Lancia con il procedere dell'ascolto e della recensione  stessa migliora il giudizio di mbv nostante suoni come lo si aspetti, come se il tempo si fosse arrestato ai tempi di Loveless. Anche il nostro seziona l'album, ma qui i momenti sono tre: le prime tre canzoni riprendono lo stile di del precedente, le seconde tre meno solide anche se qualche spunto interessante lo si trova per i «profumi tanto di Stereolab quanto di certo French Touch» e le ultime tre dove ascoltiamo il meglio in cui i Valentines tracciano «vaghe ipotesi di nuove vie, disegnando canzoni finalmente con una marcia in più» e dove troviamo Nothing Is «una guerriglia urbana, un wall of sound che ci rispedisce in certe lisergiche atmosfere da 90's rave party» e Wonder 2 «i minuti più esaltanti, folli e senza redini dell'intero disco, quelli che ci convinc ono definitivamente a promuoverlo a pieni voti» [5].

Non ha dubbi Zingales che mbv sia un grande disco, «qualcosa che sbaraglia il campo e a cui si guarderà per anni come a una creatura aliena, con  una sua luce indecifrabile».
Siamo di fronte ad «un lavoro morboso nella costruzione della scaletta, apparentemente di stile e poi deragliata, psichica, […] testi sempre declinati come disturbate istantanee sentimentali/sensuali, ma stavolta segnati dallo scorrere del tempo…». Tra le altre sono citate Is This And Yes «uno strano strumentale con i singhiozzi di vocali di », per il suo fiorire di «innovative architetture chitarristiche» e l'immancabile Wonder 2. [6]
Non vi curate di noi e ascoltate!
Ciro Ardiglione

genere: alternative rock
My Bloody Valentine
mbv
etichetta:  autoprodotto
data di pubblicazione:  2 febbraio 2013
brani: 9
durata:  kk:hh
cd: singolo

[1] Christian Zingales, “In utero”, blow.up, marzo 2013, pagg. 85-87
[2] Lorenzo Desidera, www.impattosonoro.it, 20 febbraio 2013
[3] Gianni Sibilla, www.rockol.it, 4 febbraio 2013
[4] Gaspare Caliri, www.sentireascoltare.com
[5] Claudio Lancia, www.ondarock.it, 6 febbraio 2013
[6] Christian Zingales, “Se 22 anni di esilio bastano per un nuovo capolavoro”, XL, marzo 2013, pag. 130

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