
Dopo Gesù Cristo, Napoleone è l'uomo più famoso della storia: organizzatore, accentratore, maniaco del controllo. Napoleone è ricordato come un depredatore di opere d'arte nei Paesi che furono occupati militarmente dal suo esercito. Analizzato col senno di poi, alla luce di tutti gli aspetti della sua personalità, egli fu però un sincero amante dell'arte, un lettore onnivoro, un appassionato di scienza.
L'imperatore impersonò l'idea, sorta durante la rivoluzione francese, che voleva la Francia divulgatrice dell'arte in quanto Patria della Libertà. La Francia

sentiva di avere una vocazione universale e cosa esiste di più universale dell'arte stessa? Il documentario “Napoleone nel nome dell'arte” che sarà al cinema l'8, 9 e 10 novembre, accompagna lo spettatore, grazie anche alla partecipazione straordinaria del narrante Jeremy Irons, nella scoperta di quanto importante fosse nella comunicazione di Napoleone l'utilizzo dell'arte; questa era uno strumento di seduzione di massa per arrivare al popolo nei confronti del quale egli aveva un atteggiamento paternalistico, sentiva la responsabilità di educare il popolo attraverso il teatro, la pittura, la scultura, la musica.

Napoleone fu dunque il primo ad utilizzare l'arte e la simbologia del nuovo classicismo come strumento per la comunicazione di massa desiderando associare la propria immagine a quella delle grandi civiltà del passato. Le grandi campagne militari napoleoniche sono state viste come occasioni per furti di capolavori, ma non bisogna dimenticare che esse furono anche momenti di fruttuose ricerche e scavi che l'imperatore stimolò: i “savant” che accompagnavano sempre le spedizioni erano impegnati a misurare, censire, disegnare, fare rilevazioni di siti archeologici.
I dotti che parteciparono alla campagna d'Egitto, secondo il principio illuminista che voleva la Francia responsabile di diffondere progresso e civilizzazione nel mondo, ci hanno lasciato preziose testimonianze descrittive di quella civiltà custodite nella biblioteca braidense di Milano.
La città meneghina risulta importante per comprendere il rapporto che Napoleone ebbe con l'arte; egli fu un innovatore del concetto di museo, il Louvre divenne un luogo aperto dove educare il popolo e a Milano la pinacoteca di Brera doveva assolvere al medesimo compito. L'organizzazione espositiva del Louvre esprimeva l'idea stessa di bellezza e divulgazione culturale che aveva al centro il Rinascimento, ma che esponeva anche le altre culture del mondo. È solo nel momento dell'esilio all'Elba che si svela l'amore per la lettura dell'imperatore, egli scelse di portare con sé 300 volumi che furono nell'isola i suoi compagni e che testimoniano quanto fosse poliedrica la sua cultura. Napoleone riuscì ad esprimere una nuova idea di uomo di successo moderno: colui che si forma attraverso lo studio, che edifica se stesso e il proprio popolo attraverso l'arte ed arriva al successo per proprio merito; chiunque può con questi presupposti nascere in Corsica, diventare generale, dominare l'Europa, scomparire in un'isola dell' Atlantico e infine diventare immortale, “soldati, dall'alto di queste piramidi, 40 secoli vi guardano” Napoleone Bonaparte
Adelaide Cacace
Napoleone, nel nome dell'arte
Regia: Giovanni Piscaglia
Soggetto: Didi Gnocchi
Sceneggiatura: Didi Gnocchi e Matteo Moneta
Produttore esecutivo: Gloria Bogi
Montaggio: Valentina Ghilotti e Elena Luchetti
Direttore della Fotografia: Mateusz Stolecki
Musiche Originali: Remo Anzovino
Regia Set Jeremy Irons e Orchestra: Michele Mally
Direttore della Fotografia Set Jeremy Irons e Orchestra: Marco Alfieri
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