Lo scudetto a Napoli: coincidenze, lavoro societario e squadra eccellente

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E alla fine il terzo è arrivato! Abbiamo atteso 33 anni per festeggiare nuovamente l'essere campioni d'Italia, qualcuno crede non sia una coincidenza. A c'è sempre il tizio che inizia a fare un ragionamento sulla “numerologia” come fosse una scienza esatta: “ma davvero tu pensi sia una coincidenza che arriva il terzo scudetto dopo trentatré anni, che peraltro è l'età della morte di Gesù Cristo?” Davvero troppe coincidenze.
Altre coincidenze: stagione 1986-1987 vittoria al Campionato del Mondo dell'Argentina di (ricordate la mano de Dios?), stagione 2022-2023 vittoria al Campionato del Mondo dell'Argentina di Lionel Messi; stagione 1986-1987 prima semifinale di Coppa Italia della sua storia per la Cremonese (di Bruno Mazzia subentrato a Emiliano Mondonico), stagione 2022-2023, seconda semifinale di Coppa Italia della sua storia per la Cremonese, stavolta di Davide Ballardini.

Come vedete, per chi sapesse leggere in maniera corretta i segnali che arrivavano dai numeri e da questi eventi chiaramente tra loro collegati, era tutto chiarissimo. Ho incontrato almeno una decina di tifosi del Napoli che mi hanno detto che era evidente da queste coincidenze che non poteva che andare così.
Federico Buffa ha realizzato un'intera trasmissione sull'evidenza per gli argentini che solo dopo la morte di Diego, l'Argentina avrebbe potuto tornare a vincere e grazie a Messi . La teoria applicata al calcio consisterebbe nell'aiuto celeste di questo nuova divinità del calcio, ascesa nell'Olimpo, che protegge la nazionale argentina (ed anche il Napoli) e che porta alla vittoria l'albiceleste prima in Coppa America e poi addirittura nel Campionato del Mondo di calcio, niente di meno che ai rigori. Anche questa è una assoluta evidenza che io, uomo troppo materialista e preso dal tran tran della vita quotidiana, non ho saputo cogliere.

E quindi ha ragione José Mourinho quando dice che chi capisce solo di calcio non capisce niente di calcio.
Il mio atteggiamento ad inizio della stagione, lo ammetto, era di assoluto scettiscismo. Anzi, dirò di più, il mio scettiscismo arriva addirittura dalla scelta di Luciano Spalletti. L'anno precedente, quando Aurelio De Laurentiis (ADL) aveva presentato il tecnico toscano, mi ero espresso chiaramente “dal punto di vista tecnico e tattico non si discute, ovunque sia stato però ha litigato. Guardate cosa ne pensano le tifoserie di Roma ed Inter e quali macerie ha lasciato, consideratelo in combinazione con un presidente vulcanico, un padre padrone, come ADL. Litigheranno sicuramente”. Poi, all'inizio di questa stagione, avevo pensato che mai e poi mai, considerando le cessioni di Lorenzo Insigne, Dries Maertens Ciro, Kalidou Koulibaly e Fabian Ruiz , avremmo disputato un campionato che potesse condurre ad un risultato superiore a quello della stagione precedente. Pensavo che al massimo avremmo potuto conseguire un risultato consimile, nulla di più; mi infastidiva soprattutto la cessione di Fabian Ruiz. Lorenzo Insigne e Dries Martens Ciro, avevano già una certa età, Kalidou Koulibaly (KK) era a Napoli da tantissimi anni ma Fabian no, lui ha ancora un gran futuro davanti ed un piede davvero delizioso.

La prima partita di campionato, quella disputata in pieno agosto a Verona, l'avevo mezza seguita dalla meravigliosa veranda della casa presa in affitto vicino Copenaghen. L'avevo seguita con la solita passione ma anche con un pizzico di distacco per provare a maturare un giudizio neutro ed oggettivo sui nuovi arrivati. Per comprendere quale sia stato il mio giudizio è necessario fare un piccolo salto temporale di circa tre mesi. Ultima partita prima della sosta per i mondiali di calcio in Qatar, Napoli – Udinese si disputa di pomeriggio al Maradona. Io, Peppino i suoi due figli e mio figlio, tra i 20 ed i 25 anni beati loro, ad ingozzarci di salsicce e friarielli prima della partita; nel pub prescelto per le nostre libagioni, alle nostre spalle, un foltissimo gruppo di argentini che avevano acquistato i biglietti per assistere al match ed onorare lo stadio che porta il nome del loro (e del nostro) idolo assoluto. Stanno girando dei video per i social e ad un certo punto decidono di intervistare i ragazzi sul calcio, su Napoli e sul Napoli; ovviamente, ad un certo punto, intervengo e lancio un brindisi “Argentina Campeon, Napoli scudetto”. Entusiastica bevuta di massa ripresa da una televisione argentina dopo la vittoria albiceleste al Mondiale.
Dunque, evidentemente, mi ero pienamente ricreduto. È bastato osservare questa squadra un po' meglio, nelle fantastiche partite del girone di Champions stravinte anche senza Victor Oshimen, nel coraggio di Spalletti di utilizzare tutta la rosa disponibile mandando Gianluca Gaetano in campo a 20 minuti dalla fine della gara con lo Spezia, clamorosa bestia nera del Napoli in casa, oppure inserendo Giovanni Simeone a Milano e a Cremona, con sei punti portati a casa, per capire che c'era la mentalità giusta. Eppoi siamo passati da un KK a due KK: Khvicha Kvaratskhelia e Kim Min-jae, due calciatori monumentali. Devo dire che secondo me è stato davvero essenziale il difensore centrale, erano secoli che non avevamo un difensore che unisse potenza fisica, tecnica e cazzimma così brillantemente. Eppoi il campionato di Stanislav Lobotka, Matteo Politano, Eljif Elmas, del capitano Giovanni Di Lorenzo e via narrando. Una rosa formidabile per un allenatore davvero maestro di calcio, il più bravo nella gestione della pausa invernale lunga anche in ragione delle esperienze maturate in Russia.
Siamo passati dallo scettiscismo alla gioia pura, dalle magliette dei tifosi fuori il ritiro del Napoli in Trentino con la scritta A16 che, in sostanza, chiedevano ad Aurelio De Laurentiis di andarsene definitivamente a Bari, ai cori in favore del presidente in uno stadio Maradona strapieno e commosso. Lo stadio è stato sold out praticamente per tutto il girone di ritorno; dopo le contestazioni in Napoli – Milan di campionato è anche arrivata la pace definitiva tra tifosi e società. Ero al Maradona il giorno di Napoli – Fiorentina ed ho festeggiato e goduto fino alla commozione. Una festa memorabile che mi ha saziato pienamente, una giornata di piacere assoluto per me e tutto il popolo napoletano.

Solo in un'annata così forse il Napoli poteva vincere il campionato, in una stagione nella quale si partiva con presagi ed attese tutt'altro che positive. Probabilmente la parabola della stagione che parte dal totale scetticismo ed arriva all'entusiasmo più delirante possibile e perfettamente coerente con i miliardi di elementi contraddittori che caratterizzano Napoli ed il popolo partenopeo. Anche questo è uno dei mille luoghi comuni tirati fuori per l'occasione. A me la festa è piaciuta moltissimo, sia quella mirabilmente organizzata allo stadio, sia giovedì che domenica, con una organizzazione davvero ottima, sia quella spontanea di un popolo che ha iniziato a festeggiare dopo il goal di Jack Raspadori a Torino e per i prossimi mesi non ha alcuna intenzione di smettere.
Mi è piaciuto che abbiamo mandato a farsi fottere tutti coloro che parlano di uno scudetto in termini di riscatto sociale di una città. Noi non dobbiamo riscattarci socialmente e, se eventualmente attendessimo un momento di riscatto, non sarebbe mica nel calcio: aspettiamo scuole, ospedali, trasporti e servizi pubblici che funzionino, questo si. Non c'entra nulla con lo scudetto arrivato in una città che si sta sempre più riappropriando della sua storia, della sua bellezza e della sua cultura. Non tutti, non dovunque, ma i segnali ci sono anche in tanti luoghi che da sempre sono stati considerati come luoghi di degenerazione pura. Lo scudetto è frutto di una società che funziona benissimo, che rappresenta un modello gestionale in Italia ed in Europa, che produce risultati, fatturato ed anche qualche occasione di lavoro, senza produrre debiti. Quindi non è un riscatto, o il frutto di un episodio, o la circostanza che il Dio del calcio ha scelto di portare la vittoria al Sud dell'Italia in rappresentanza di tutti i Sud del mondo ma è una vittoria frutto di lavoro, competenza, programmazione e lungimiranza.

Mi piacerebbe che andassimo avanti, in questo come in altri settori, mi piacerebbe che il Napoli calcio sviluppasse un progetto nel quale connettesse scuole calcio e povertà educativa nei quartieri più “difficili” dell'area metropolitana di Napoli. Sarebbe un ulteriore passaggio in avanti per la città. La confusione tra il successo sportivo e l'idea che un territorio possa rigenerarsi così è davvero fastidiosa per me, direi che lo era anche per Massimo Troisi ricordando il suo meraviglioso pezzo con Gianni Minà sul primo scudetto del Napoli nel quale si ripercorrono vuoti luoghi comuni. Questo è un successo normale di un'impresa meridionale che eccelle per gestione rispetto alle altre, accompagnata da un festeggiamento meraviglioso e lunghissimo per giunta atteso nella certezza con invidiabile napoletanità nel “terziarlo” ; non bisogna far confusione sulle due cose né inventarsi storicizzazioni del successo o altre amenità che renderebbero Napoli unica. Da tifoso voglio rivincere presto, molto presto, per valorizzare il lavoro di una società che sta lavorando molto bene. Vorrei che ampliasse il suo orizzonte (la società) passando da una visione strettamente capitalistica (profitto e successo) ad una visione più sociale. Mi piacerebbe sottoporre ad ADL un progetto d'impresa per l'avvio di scuole calcio, connesse alle attività scolastiche, in alcuni quartieri di Napoli. Concordo, infatti, con la recente disamina di un libro dedicato al Sud che il vero gap non è economico ma sociale e soprattutto educativo, anche il Calcio Napoli e la vittoria di uno scudetto potrebbe supportare una dinamica di rigenerazione che il territorio ha già avviato a prescindere.
Tornando strettamente al calcio, è successo semplicemente che il lavoro fatto bene ha pagato e vinto. La cosa meravigliosa ed unica è il trascinato di gioia e positività che ci mette la città. Stavolta è una vittoria normale e da ripetere al più presto con una gioia straordinaria.
Vittorio Fresa

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