
Il rapporto ISPRA 2023 certifica che in un solo anno, nonostante la valanga di affermazioni sulla volontà di salvaguardare il Bel Paese sono stati consumati altri 77 km2, il 10% in più del 2021. Più di 900 ettari di aree a pericolosità idraulica media ricoperte di asfalto e cemento: anche da qui nasce il dramma dell'alluvione romagnola di quest'anno, mentre le città diventano sempre più calde e impermeabili, nonostante la crescita della frequenza delle “bombe d'acqua”.
Mentre scriviamo questo articolo, ampie parti del nostro Paese sono sommerse dalle acque, altre devastate da venti che hanno toccato intensità di uragano e molte, tra le più belle coste italiane sono sfregiate da un mare in tempesta e da onde alte fino a 7 metri. Se è vero che il colpevole è questa volta il ciclone “Cioran”, forse il più potente mai abbattutosi sull'Europa da molti anni a questa parte, è ben vero che esondazioni, allagamenti, frane e drammatica erosione delle spiagge sono, in Italia, fenomeni ricorrenti che, quindi, non serve affrontare con interventi “a babbo morto”, quando i fenomeni atmosferici hanno provocato danni per miliardi, ma andrebbero combattuti con una lungimirante e permanente iniziativa di protezione dell'ambiente e di messa in sicurezza dei territori.
Rapporto ISPRA. I dati
Il consumo di suolo in Italia 2023, il rapporto pubblicato dall'ISPRA con cadenza annuale dal 2014 e presentato proprio negli scorsi giorni alla stampa ed all'opinione pubblica, certifica invece, ancora una volta, come, nonostante le tante parole spese sull'esigenza di dare risposte al cambiamento climatico e favorire un cambio di passo nel degrado ambientale, l'Italia si confermi ancora una volta come un Paese in cui si chiacchiera bene, ma si razzola malissimo. Il consumo di suolo continua, infatti, con velocità via via crescente, a trasformare il territorio nazionale. La perdita di suolo e di tutti i servizi eco-sistemici che fornisce, compresa la capacità di assorbire l'acqua, non conosce battute d'arresto.
Al 2022, infatti, la copertura artificiale si estende per oltre 21.500 km2, il 7,14% del suolo italiano (7,25% al netto di fiumi e laghi) e, nell'ultimo anno, le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 76,8 km2), il 10,2% in più del 2021. Si tratta, in media, di più di 21 ettari al giorno, il valore più elevato degli ultimi 11 anni, in cui non si erano mai superati i 20 ettari.
Si tratta di valori medi (nell'ultimo anno, la media è stata di 2,10 m2/ha) più alti rispetto alla media dell'intero periodo 2006-2022, confermando la ripresa di tale devastazione, del resto già ravvisata nella rilevazione ISPRA del 2022. Dai dati dell'ISPRA appare chiaro come, nonostante le previsioni normative UE e persino in barba a quelle nazionali, non vi è Regione, quale che ne sia la maggioranza che le abbia governate negli anni, che non presenti un consumo del suolo inferiore al 5%.
Poi ci sono i casi che, se fossimo onesti con noi stessi, dovremmo considerare drammatici: Lombardia (12,16%), Veneto (11,88%) e Campania (10,52%).
La densità dei cambiamenti netti, ovvero il consumo di suolo rapportato alla superficie territoriale, presenta, nel 2022, i valori più alti – come se non fosse bastato quello degli anni passati – nel martoriato spazio regionale della Campania (4,09 m2/ha). Ma ad essa fanno buona compagnia Veneto (4,03 m2/ha), Lombardia (3,80 m2/ha) e Puglia (3,71 m2/ha). Anche quest'anno i maggiori cambiamenti in peggio si concentrano in alcune aree del Paese: nella pianura Padana, nella parte lombarda e veneta e lungo la direttrice della via Emilia, come su tutta la costa adriatica, in particolare in alcuni tratti del litorale romagnolo, marchigiano e pugliese.
Il primato della dissipazione della risorsa suolo in termini assoluti spetta alla Lombardia, con oltre 290mila ettari di territorio artificializzati (il 13,5% del suolo consumato in Italia è in questa regione).
Gli incrementi maggiori, in termini di consumo di suolo netto avvenuto nell'ultimo anno, riguardano ancora una volta la Lombardia (con 908 ettari in più) ed il Veneto (+739 ettari), insieme alla Puglia (+718 ettari), l'Emilia-Romagna (+635) ed il Piemonte (+617).
In effetti non sono molti i territori che possano apparire “virtuosi”, se non qualche piccolo Comune, talvolta persino inaspettato,
come, tra i comuni grandi con più di 50 mila abitanti, Ercolano in Campania (solo 0,2 ettari consumati in più nel 2022), tra i comuni medi, Montale in Toscana (0 ettari in più) e, tra i comuni con meno di 10.000 abitanti, San Martino Siccomario in Lombardia (0,2 ettari in meno). Tuttavia, è doveroso citare che, tra i capoluoghi delle città metropolitane, risparmiano suolo Genova, Reggio Calabria e Firenze.
Abbiamo già illustrato, in un precedente articolo, come una delle maggiori cause di tale continua aggressione alle aree ancora verdi del Paese dipenda dall'espansione anarchica ed all'apparenza inarrestabile, della logistica e della grande distribuzione.
Ma la lettura del Rapporto ci fa comprendere come le cause del fenomeno siano assai più vaste e complesse. Ad iniziare da quelle che riguardano l'ambito urbano con il suolo cittadino che diventa sempre più caldo, soprattutto nei periodi estivi. Non basta darne la colpa genericamente al “cambiamento climatico” o cercare consolazione, come, in TV, è stato affermato da qualche bello spirito del ciuffo, nel fatto che «in fondo, in estate, ha sempre fatto caldo».
Le ragioni di un ambiente sempre meno vivibile e della trasformazione di qualsiasi temporale in una “bomba d'acqua” che allaga interi quartieri, stanno, a ben guardare, proprio nel consumo di suolo che, nel 2022, accelera arrivando alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo. Così le città diventano sempre più calde: nei principali centri urbani italiani, la temperatura cresce all'aumentare della densità delle coperture artificiali, raggiungendo nei giorni più caldi valori compresi tra 43 e 46 °C nelle aree più sature e seguendo andamenti diversi a seconda delle caratteristiche del territorio circostante. In media, la differenza di temperatura del suolo nelle aree urbane di pianura rispetto al resto del territorio, dove peraltro non fa certamente fresco, è di 4°C d'estate con massime di 6°C a Firenze e di oltre 8°C a Milano.
Più protetto e meno sicuro è il territorio, più sembra “logico” cementarlo.
Come si può leggere nella tabella che riportiamo, la perdita di suolo e di tutti i servizi ecosistemici che fornisce, compresa appunto la capacità di assorbire l'acqua, non conosce battute d'arresto: il 13% del consumo di suolo totale (circa 900 ettari) ricade nelle aree a pericolosità idraulica media, quelle, come nel caso di molte aree lombarde, liguri, romagnole o dell'alta toscana, in cui le alluvioni non possono certo essere considerate evento eccezionale e dove, nonostante ciò il 9,3% di territorio è ormai impermeabilizzato: un valore sensibilmente superiore alla media nazionale (con un aumento medio percentuale dello 0,33%).
Né, c'era da aspettarselo, stanno meglio le aree a pericolosità sismica alta o molta alta. È in queste aree, infatti che si è concentrato, nel 2022, il 35% del nuovo consumo di suolo, con una ulteriore cementificazione di 2.500 ettari, cosa che rende risibili tutte le ricorrenti giaculatorie su come assicurare “l'ordinata evacuazione” di territori in cui da mesi si manifestano sciami sismici che potrebbero stare a significare l'attivarsi di ben maggiori fenomeni, connessi alla natura vulcanica dei luoghi.
Vorremmo ricordare qui che, come ha recentemente denunciato il sindaco di Bacoli, Josi Gerardo Della Ragione: «i piani vanno resi efficaci realizzando le opere pubbliche che permettono di migliorare le vie di fuga che esistono, ma vanno necessariamente potenziate. Faccio un esempio che riguarda il nostro territorio: la principale via di fuga per una parte dei cittadini di Bacoli e della vicina Monte di Procida è Torre Gaveta. Esiste una stradina di tre metri, ma dovrebbe essere portata almeno a sette metri. I fondi li abbiamo ottenuti, il progetto da 20 milioni di euro è stato redatto, la ditta individuata, la Regione Campania ha preparato i tavoli per le autorizzazioni, però devono partire i lavori». Quello che tuttavia il sindaco non può dire, visto che enon ne porta certamente le responsabilità, è che nell'area flegrea, nei decenni passati, si è realizzata un'enorme colata di cemento abusiva che non solo ha letteralmente “seppellito” intere aree archeologiche di eccezionale valore, ma rende oggi pressoché impossibile qualsiasi operazione di recupero del territorio in un'ottica di prevenzione o, almeno, di mitigazione dei rischi.
E che dire, se non che di certo “masochismo ambientale” non si può che morire, del dato, sempre solo relativo al 2022, che il 7,5% (quasi 530 ettari) del nuovo consumo di suolo risulta essere avvenuto in aree a pericolosità da frana, come se le drammatiche esperienze del passato, da Sarno a Ischia o allo stesso Appennino ligure o quello romagnolo, non avessero avuto alcuna capacità di insegnarci qualcosa.
Le proposte dell'ISPRA
Di fronte a questa situazione drammatica sembra quindi una sostanziale predica al vento quella di Salvatore La Porta, Presidente dell'ISPRA, nella sua introduzione al Rapporto 2023.
«L'azzeramento del consumo netto di suolo è un obiettivo necessario anche per il raggiungimento dei target previsti dall'Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile, dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e dal Piano per la Transizione Ecologica. Lo stop al consumo di suolo dovrebbe avvenire sia minimizzando gli interventi di artificializzazione, sia aumentando il ripristino naturale delle aree più compro-messe, quali gli ambiti urbani e le coste, ed è considerato una misura chiave anche per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Arrestare il consumo di suolo nel nostro Paese permetterebbe di fornire un contributo fondamentale per affrontare le grandi sfide poste dai cambiamenti climatici, dal dissesto idrogeologico, dall'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo, dal diffuso degrado del territorio, del paesaggio e dell'ecosistema, dalla perdita di biodiversità».
L'obiettivo di azzeramento del consumo di suolo netto, ovvero il bilancio alla pari tra il consumo di suolo e l'aumento di superfici agricole, naturali e seminaturali dovuto a interventi di recupero, demolizione, de-impermeabilizzazione, rinaturalizzazione, ricorda il Rapporto, deve essere visto anche come un motore di rigenerazione e ridisegno del tessuto urbano e come un'opportunità per la riqualificazione edilizia, urbana e territoriale, che deve essere raggiunto attraverso la contemporanea messa in opera di tutte le azioni possibili Per mettersi in linea con gli obiettivi a livello nazionale, europeo e globale. Per giungere a questo risultato, come ricorda ancora il Presidente Laporta nella sua introduzione, «anche in considerazione della disomogeneità delle azioni sul territorio, sarebbe importante arrivare all'approvazione di una legge nazionale sul consumo di suolo in conformità agli indirizzi europei, che affermi i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso, sostenendo con misure positive il futuro dell'edilizia e la tutela e la valorizzazione dell'attività agricola».
Per l'ISPRA ai dovrebbero porre il “saldo zero di consumo di suolo” e, considerando i limiti dei processi di recupero, l'”azzeramento del consumo di suolo” al centro delle politiche e dei programmi di rigenerazione, come un motore per la riqualificazione edilizia, urbana e territoriale.
«La rigenerazione – ricorda il Rapporto – può funzionare solo se parallelamente si ferma il consumo e si rende così economica-mente vantaggioso intervenire sull'esistente, diversa-mente, stenterà soprattutto nelle aree a bassa rendita fondiaria e immobiliare a meno di non favorire negativi processi di gentrificazione. A tal fine sarà necessario intervenire anche attraverso strumenti di incentivazione e disincentivazione efficaci per Amministrazioni e privati che stimolino il recupero, la riqualificazione e la rigenerazione assicurando il mantenimento (o l'incremento) della permeabilità e della copertura non artificiale del suolo, dei servizi ecosistemici e lo sviluppo di nuove infrastrutture verdi […]. Negli strumenti urbanistici di livello comunale dovrà essere integrata la “gerarchia del consumo di suolo”, come definita dalla nuova strategia europea per il suolo per il 2030 e dare assoluta priorità, quindi, al riutilizzo di aree già costruite e impermeabilizzate, evitando nuove costruzioni e impermeabilizzazioni su suoli vegetati o permeabili, indirizzando i Comuni verso la revisione degli strumenti urbanistici in riduzione. Si dovrebbe considerare, infine, l'opportunità di inserire un termine di decadenza delle previsioni di piano non attuate riprendendo, magari l'esempio dell'art. 18 della Legge Regionale 11/2004 del Veneto che, al comma 7, prevede che “decorsi cinque anni dall'entrata in vigore del piano decadono le previsioni relative alle aree di trasformazione o espansione soggette a strumenti attuativi non approvati […]” e che, al comma 9, prevede che “l'approvazione del piano e delle sue varianti comporta la decadenza dei piani urbanistici attuativi (PUA) vigenti limitatamente alle parti con esso incompatibili espressamente indicate, salvo che i relativi lavori siano oggetto di convenzione urbanistica già sottoscritta ed efficace».
Consumo di suolo, ruolo dei media e opinione pubblica
Particolarmente preoccupante, a consuntivo, appare il modo come il sistema dei media, abbia contribuito a diffondere i contenuti del Rapporto e soprattutto a farne l'oggetto per una riflessione che andasse al di là delle “brevi di cronaca”. Ma evidentemente tale volontà di approfondimento stenta a farsi strada in un'opinione pubblica continuamente bombardata da vere proprie campagne di distrazioni di massa.
I media, ed in particolare quelli italiani, sempre più attenti alle piccole beghe locali, non approfondiscono quasi mai come proprio il consumo dissennato del suolo sia alla base di numerosi tra i più drammatici eventi cui abbiamo assistito in questi ultimi decenni.
È così sempre più difficile per l'opinione pubblica comprendere come molte delle guerre di questi anni, e certamente l'esplodere degli imponenti quanto inarrestabili fenomeni migratori, abbiano alla base la lotta per l'accaparramento di risorse sempre più preziose e sempre più scarse, ad iniziare dall'acqua potabile, come nel caso delle imponenti dighe costruite dalla Turchia sull'alto corso del Tigri che tolgono acqua a tutta la Mesopotamia o dal Sudan nell'alto Nilo che rischia di alterare irreversibilmente il millenario ciclo agricolo egiziano; lo sfruttamento del territorio e delle sue risorse naturali, ad iniziare da quello delle foreste amazzoniche e del Borneo indonesiano; la desertificazione di aree sempre più estese, condannate a monocolture intensive che ne alterano irreversibilmente la fertilità, com'è stato per il Mare di Aral, il più grande bacino lacuale dell'Asia centrale, o, infine, il degrado ei l livello drammatico di inquinamento di aree umide fragilissime, come quelle dei grandi delta fluviali, dal Niger, al Gange fino al delta del Tigri.
Alla difficoltà ad orientarsi dell'opinione pubblica contribuiscono ancor di più gli scandalosi silenzi della quasi totalità degli esponenti politici e la complicità di un sistema dei media che ad essi, quotidianamente, offre microfoni e palcoscenici per chiacchierare di tutto, tranne di quello che invece dovrebbe essere pane quotidiano di governanti ed amministratori pubblici, ovvero la sfida di approntare i sempre più urgenti strumenti necessari per affrontare fenomeni critici che mettono addirittura a rischio la vivibilità di vaste aree del Paese che pure quei politici ha scelti e votati.
Nessuno stupore, quindi, se, a pochi dalla sua presentazione, il Rapporto dell'ISPRA appaia l'ennesimo documento destinato ad invecchiare nei polverosi archivi della cattiva coscienza nazionale, come, prima di lui, hanno avuto in sorte i Rapporti sulla crescente diffusione della povertà, soprattutto giovanile; quelli sulla crescita dei divari territoriali; della diffusione sempre più massiccia di un sostanziale analfabetismo e sullo scarto sempre più grave tra modalità della formazione ed esigenze del mondo del lavoro.
Il progetto ABRESO
Eppure, c'è chi ancora si sforza di fornire elementi di riflessione e di crescita della consapevolezza nell'opinione pubblica più ampia. È decisivo ed urgente coinvolgere in tali riflessioni quanta più parte di quell'opinione pubblica che la grande stampa non informa con continuità e con l'approfondimento necessario o che è portata a pensare che le conseguenze dei cambiamenti avverranno ad una scala temporale che, in fondo, potrà non riguardarli.
Ci sembra quindi assai utile segnalare il lavoro che l'Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Cnr (Ircres-Cnr) conduce, nell'ambito del Progetto ABRESO, un progetto internazionale che mira a
«determinare gli effetti effettivi e percepiti delle transizioni di uso del suolo sulla funzione della cosiddetta “Zona Critica”, nel contesto dell'abbandono del suolo. I cambiamenti gestionali e socio-culturali del paesaggio e del suolo creano infatti transizioni, alterando le proprietà dei bacini idrografici (qualità del suolo e dell'acqua e i relativi servizi ecosistemici) in un modo che le parti interessate potrebbero non comprendere o apprezzare. Tuttavia, i cambiamenti riguardano gli stakeholder, ciò che vogliono preservare o modificare e le loro opinioni sulle strategie di gestione del territorio.
Proprio a tal fine il progetto interdisciplinare ABRESO, accanto alle analisi svolte dal punto di vista geologico e biologico, utilizzando dati satellitari e raccolti su siti di studio, ha inteso mettere a disposizione dei cittadini un questionario[1] attraverso il quale misurare comprendere e confrontare le percezioni sull'uso del suolo in cinque Paesi: Francia, Italia, Taiwan, Giappone e Stati Uniti. Attraverso alcune domande: dall'indicazione del luogo dove il cittadino vive e/o lavora – assunto come riferimento – si vogliono conoscere e misurare le percezioni e preferenze per i vari tipi di uso del suolo di questi luoghi, il tutto accompagnato da alcune domande su cosa rappresenti per chi partecipa al questionario la natura, oltre che alcuni dati anagrafici, rigidamente protetti e non divulgabili, utili a comprendere le caratteristiche dei compilatori.
Scopo ultimo è quello di fornire una sorta di “termometro”, che insieme alla concreta misurazione dei cambiamenti in corso, consenta di misurare quanto vi sia, nell'opinione pubblica più vasta, la coscienza di quanto il consumo del suolo giochi in questioni decisive per la propria vita e per la salute dell'ambiente in cui si vive e/o si lavora, ma anche sulle conseguenze economiche e sociali determinate dalla trasformazione dei terreni da prato/pascolo a bosco/foresta e terreno agricolo (e viceversa)».
Ci piacerebbe pensare che molti, tra i nostri lettori, vorranno farsi parte attiva nel diffonderne la conoscenza e nell'aumentare la quantità di cittadini che a tale questionario vorranno rispondere.
Mauro Sarrecchia
[1] https://forms.gle/BWCMf8as9qkeYXip9
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