
In Norvegia si sono svolte le prime elezioni dominate dal dibattito sulla questione ambientale, suk riscaldamento globale e con discussioni accese sul futuro che dovrà avere l’industria estrattiva (petrolio e gas) che dominano l’economia del paese.
Come previsto dai sondaggi e dagli opinionisti alla vigilia, il Partito laburista (A) di Jonas Gahr Støre ha vinto le elezioni con oltre il 26% anche se in leggero calo rispetto alle elezioni precedenti. È l’opposizione ad aver prevalso sulla coalizione di governo guidata dalla Prima ministra conservatrice e leader del partito Destra (Høyre-H), Erna Solberg che lascerà a breve la guida dell’esecutivo.
L’affluenza alle urne nei due giorni di elezioni (12 e 13 settembre) è stata del 77%.
Dopo vent’anni in Nord Europa (Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia) i socialdemocratici saranno contemporaneamente al governo.
Nonostante una pressante campagna elettorale spesso diretta a chiedere di fermare le esplorazioni e la produzione entro il 2035, il Partito dei Verdi non è riuscito a superare lo sbarramento (3,9%), mentre il Partito rosso (Rødt-R) nato dall’unione di diversi partiti nel 2007, per la prima volta, entrerà in Parlamento (Storting) con 8 seggi con il 4,7% dei voti.
Lo sbarramento al 4% ha tenuto fuori molti partiti ma ne restano ancora sette e sarà necessario un governo di coalizione. Støre sarà il nuovo primo ministro e ha già iniziato i contatti, in particolare, con il Partito centrista (SP) e il partito della Sinistra socialista (SV) che insieme avrebbero una maggioranza con 89 seggi sui169 totali.
Le differenze tra loro non sono marginali, anche se più marcate tra gli ultimi, infatti SP ha dichiarato più volte che non è intenzionato a far parte di un governo insieme alla sinistra socialista che, invece, si è impegnato a non collaborare a meno che le sue richieste cardine non siano soddisfatte. I possibili alleati «non sono d’accordo su questioni che vanno dalla politica energetica alla proprietà privata e alle relazioni con l’UE, con il principale pomo della discordia che probabilmente sarà la velocità di qualsiasi transizione dai combustibili fossili nel più grande produttore dell’Europa occidentale» [1].
Nel caso delle relazioni con l’UE mentre il Partito laburista spinge per l’adesione della Norvegia al trattato sullo Spazio economico europeo mentre centro e sinistra sono contrari.
In campagna elettorale Støre, con l’intenzione di diminuire le disuguaglianze, ha annunciato sgravi fiscali per i percettori di redditi medi e bassi e contestualmente un aumento del 20% per i redditi elevati e un aumento della patrimoniale. E nemmeno qui c’è unità di vedute. Sulla transizione ecologica saranno probabilmente tempi e modalità a fare la differenza.
Come dicevamo all’inizio sono state le elezioni che hanno avuto come fulcro della discussione il cambiamento climatico e le decisioni da prendere circa il ruolo che dovrà avere l’industria estrattiva, in termini di esplorazioni e di produzioni nel futuro per assicurare una vera transizione ecologica.
Tutti i partiti principali non sono affatto per il blocco nel breve di qualunque esplorazione, forse questo governo lo impedirà solo per alcune aree più problematiche, e nemmeno per una veloce chiusura della produzione di petrolio e gas. Negli anni grazie a petrolio e gas la Norvegia ha migliorato di molto l’esistenza dei propri cittadini e ha immesso risorse finanziarie nel fondo sovrano, creato nel 1996, il cui valore di mercato è di 1.200 miliardi di euro; è azionista di molte compagnie petrolifere e di altri produttori di energia da fonti rinnovabili.
Anche se il paese «si autodefinisce il principale sostenitore mondiale dell’uso di auto elettriche e i suoi fiumi soddisfano gran parte del suo fabbisogno energetico nazionale, rimane il principale stato di combustibili fossili dell’Europa occidentale. La Norvegia è il terzo esportatore di gas al mondo, dopo Russia e Qatar, e i combustibili fossili rappresentano circa la metà delle sue esportazioni di merci.
Le autorità internazionali hanno invitato la Norvegia a seguire la vicina Danimarca, che mira a porre fine alla produzione di combustibili fossili entro il 2050 e sta interrompendo l’esplorazione di nuove riserve» [2].
Gli attivisti ambientali sono tutti convinti che con i piani di dismissione lenta non si raggiungeranno gli obiettivi previsti per provare ad fermare il riscaldamento globale. E del resto « i laburisti hanno sostenuto il libro bianco sull’energia del governo conservatore presentato a giugno, che scommetteva sull’idrogeno e sull’eolico offshore per la transizione energetica della Norvegia, lasciando che le aziende petrolifere e del gas continuassero l’estrazione fino al 2050 e oltre» [3].
Pasquale Esposito
[1] John Henley, Norway’s left-leaning parties begin talks to form a government, https://www.theguardian.com/world/2021/sep/14/norway-left-leaning-parties-talks-government-coalition, 14 settembre 2021
[2] Charlie Duxbury, Elezioni norvegesi destinate a vincere il big oil, https://www.politico.eu/article/norwegian-election-big-win-oil-industry-norway-green-party/, 7 settembre 2021
[3] Nerijus Adomaitis, Climate change in election spotlight in oil giant Norway, https://www.reuters.com/business/sustainable-business/climate-change-election-spotlight-oil-giant-norway-2021-08-31/, 31 agosto 2021
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