
Amante da sempre della filosofia – un mio metodo personale anche per imparare le tabelline -, immagino, ancora oggi, che sia possibile ed interessante applicare alla Città i più disparati concetti di filosofia pura, che interferiscono sempre con lo spazio fisico.
Per esempio l’idea sociale-politica di Platone della città greca, la Polis – accezione di Città ideale più che reale – nella sua Repubblica, in cui suddivide la Polis in tre classi. A capo supremo i filosofi, classe aurea (governanti-filosofi), quindi la classe argentea i guardiani-guerrieri, dediti alla vita militare e alle guerre per conquistar schiavi e tesori, quindi la classe bronzea il popolo. In corrispondenza astratta tre parti dell’anima: razionale, irascibile, concupiscibile. Gli schiavi non erano una ulteriore classe e il loro compito era quello di lavorare, per lasciare più tempo libero alle tre classi, che dovevano pensare, guerreggiare, partecipare alla vita civile collettiva.
Questa immagine di Platone aveva incuriosito la mia fantasia di ragazzo, con immagini pastellate della Città greca ideale, soprattutto Atene, la mia preferita. I filosofi passeggiavano dappertutto e per l’intera giornata, in luoghi ameni surreali, e lungo il “peritato” (passeggio peripatetico didattico) del Liceo sotto l’Acropoli massima. I guerrieri facevano un rumore assordante di ferraglia, di spade, di scudi, sotto gli elmi piumati, pronti alla prossima guerra, per aumentare bottino e schiavi, ed avere più tempo libero, per pensare e morire in guerra continua.
La pace greca? Intervallo breve tra una guerra e l’altra.
E il popolo che lasciava le proprie residenze domestiche alle donne – considerate libere, ma non inserite nella vita politica della Polis. La vita della donna incentrata solo nel gineceo della casa.
Gli uomini per gironzolare in tondo e largo nei luoghi pubblici, soprattutto l’Agorà, ubicati nei luoghi giusti, dove brulicava e bruciava la vita quotidiana. Insieme alla religione dei tanti Dei, giusto quanti servivano. Gli Dei della giustizia, e, quindi dell’asservimento al potere, quindi del piacere nell’unica prospettiva di vita che i Greci possedevano (niente aldilà).
I luoghi di raduno, gli edifici di culto e di cultura, di tempo libero e di esercizio civile, facevano girare vorticosamente a spirale le residenze relegate quasi in sordina, dentro maglie ortogonali anonime, che sembravano deformate dai flussi principali. Per una vita civile urbana a bocca aperta, ascoltando i filosofi.
Non solo un’organizzazione sociale-politica ragionata, ma anche fantasía urbana associata, che faceva “vedere” tutto quello che i loro “Filosofi” dicevano con passione. Parole che trasformavano in pietra i concetti filosofici impalpabili. Eterotopie anche queste, come pratiche reali-concettuali. Terminologie difficili per cose facili, che però, per essere percepite appieno, devono essere scoperte, seguendo la mappa del tesoro. Mi chiedo oggi se l’ozio gironzolante dei Filosofi greci (erano in tanti perché avevano tanto tempo a disposizione) non fosse quello che ha prodotto il pensiero eterotopico in assoluto, donato al popolo greco, e alle civiltà successive, con la capacità inconscia di immaginare Città centrifughe, come la vita umana, priva della prospettiva di eternità.
I miti greci sono stati le prime dislocazioni mentali tradotte in Eterotopie, catene inaspettate di spazi, pensieri e parole, realtà-fantasia e simboli al tempo stesso. Specie di parabole ante litteram.
Oggi, invece, i miti sono solo esaltazione di personaggi ed eventi eccezionali senza simboli astratti.
Poi d’incanto al modello organico della “Repubblica” di Platone ho associato il “mito” (?) di Atlantide, Città ideale, da Platone stesso successivamente descritta (quasi un’esigenza per dare visibilità urbana alle teorie della “Repubblica”) nei dialoghi di Timeo e Crizia.
Le due cose sembravano diverse, ma per me, semplice tifoso, inesperto, di Grecia antica, Atlantide era la descrizione figurata perfetta della “Repubblica”. E di qualsiasi utopia urbana successiva.
Atlantide, subito dopo le colonne d’Ercole era una grande isola, quanto la Libia e l’Asia messi insieme (?). Poi una serie di isole sempre più lontane verso un “immenso mare” (Oceano Atlantico?), e sempre più lontano una lontana terra (l’America di Platone?).
L’Oceano Atlantico, regno di Atlante figlio di Poseidone, che, poi, in un giorno e una notte aveva fatto sprofondare l’isola di Atlantide, perché questa si era permessa di voler conquistare Atene (!). La mega-eruzione del Vulcano Thera (Santorini) ha solo ammantato di drammaticità concatenata l’immagine di due momenti coincidenti e separati al tempo stesso. Due miti lontani e vicini, come le fiabe che, quando ero bambino, erano e sono diventate vere. Eterna Eterotopia di Atlantide.
Ho sempre figurato, fin dai primi anni di Liceo, Platone come un cantastorie di similitudini ideali. Un gioco di specchi continui. Divini ed umani, perché gli Dei di allora erano semi-uomini e donne che si toglievano i loro sfizi bizzarri, con burle e magie. E gli uomini e donne che imitavano.
Qualche tempo fa queste mie immagini lontane, si sono re-incontrate, per caso, con alcune letture di Michel Focault, “Archeologo dei saperi”, lo strutturalista post-strutturalista, capace di legare e separare al tempo stesso, parole ed immagini.
In seguito in fisiologia le Eterotopie sono state usate per spiegare il meccanismo da cui hanno origine gli stimoli dell’attività funzionale, per esempio del “cuore”, centro di vita, in tutti i sensi.
Oppure in botanica, con fenomeni di salto della crescita indotta.
Ufficialmente la letteratura filosofica moderna dice anche che le Eterotopie di Foucault introducono i concetti di spazio storico fino a quello contemporaneo, sia attraverso meccanismi fisici spaziali (Spazi aumentati), sia in relazione agli apparati collettivi. In ultimo arrivando al concetto di “potere”, che modella da remoto, con volontà e forza circoscritte, le realtà infinite, multi-dimensionali complesse. La rappresentanza politica è solo la separazione eterotopica. Estrema sintesi di potere delocalizzato, quando si curva il solo spazio urbanistico di una Città a figure non pertinenti alla natura originaria dei “luoghi” e delle persone.
Per esempio il tentativo di omologare la forma delle città pregresse alla figura della Città globale. Città l’una somigliante alle altre. Eterotopie urbane di globalismo imperante. Distorcente.
Del resto sono proprio le Città i siti di “esercizio” del potere.
Diversamente le Eterotopia dovrebbero essere il meccanismo che collega tra loro luoghi apparente incompatibili, mantenendo identità (congruenza eterotopica).
In particolare nel leggere il libro sulle Eterotopie di Focault ho rivisto in modo più chiaro le mie trascorse reminiscenze di connessioni e salti mentali, che credevo strani o semplicemente misteriosi. Comunque più forti di me, tanto da suggestionarmi ancora, vedendo sempre doppio. E ho ricollegato tutto come dentro un gioco personale.
Le eterotopie di Focault sono per me naturali e più semplici “contaminazioni” di spazi, di luoghi e di tempi anche temporali, che si confrontano e si legano con incomprensibili meccanismi, congruenze od anche dissonanze, in termini sempre essenzialmente reali, per ampliare le immagini e le parole. In linea di massima spontanei, e, per questo, ancor più misteriosi, che la nostra mente è, comunque, capace di riconoscere, consapevolmente o non.
Talvolta il risultato delle Eterotopie è quello di compensare, di neutralizzare o di purificare. Ma per me non è mai annullare. Ogni Eterotopia rimane, con l’obiettivo di amalgamarsi strettamente al resto e non ci possiamo fare più niente.
Nel mio personale mondo della fantasia urbanistica, cioè fatta di “spazi” e di “luoghi” gioco ora alle Eterotopie, come interrelazioni quasi mistiche tra gli spazi lunghi e larghi (vie e piazze), che si congiungono e si dipartono, che si incrociano confondendosi. E, anche quando non lo fanno, si materializzano in altro. Si ampliano anche come voglio io, di colpo o gradualmente, come nei film dove la scena si srotola pian piano, veloce veloce, dentro la Città-scenario, in continuità-diversità.
Nella mia città, Foggia, vedo, per esempio, quello che aveva descritto il grande Giuseppe Ungaretti, quando era venuto a Foggia come inviato del suo giornale, e aveva sintetizzato la principale peculiarità della città nella sua “forza”, insita in alcuni suoi spazi caratteristici, che si dilatavano – ancora oggi è così-, anche quando l’attenzione è concentrata tutta nel Nodo-piazza.
Rivedo oggi questo concetto in alcuni spazi pubblici del centro cittadino, concepiti come una raggiera e spirale dinamica rotante, larga e lunga, che va oltre la piazza stessa, e che mi fa immaginare, anche senza vedere, quello che c’è più dietro, alla fine dei raggi-strada. Quartieri lontani e la loro forma. Solo le periferie moderne contraddicono questa regola.
Superiamo, allora i significati monospaziali, con usi ridotti all’essenziale (funzionali) della città moderna, come ha fatto l’Urbanistica razionale. Tutto chiaro, tutto univoco, tutto a portata di mano immediata. Il resto non è primario, se non per esigenze episodiche, eccezionali, voluttuarie, che una volta svolte, vengono smantellate e portate altrove.
La Città fissa e la Città itinerante perché relativa. Come si faceva una volta, ed ancora si fa, con le Mostre e le Fiere anche internazionali, che si esaltano anche con la grande Architettura iconica, effimera. Esaurita la loro apparenza (immagini non inserite nella vita reale effettiva) evaporano.
La propaganda pubblicitaria è solo una successione di scene ed effluvi, per altri segnali in successione ossessionante, distruggendo ogni messaggio precedente.
La teoria delle Eterotopie di Michel Focault ha tracciato alcune possibilità espressive nuove tra gli architetti e gli urbanisti, esaltando la pluridimensionalità e plurisignificanza, che si incastrano nello spazio urbano vissuto, come una brezza invisibile. Moltiplicandolo, ampliandolo, con significati ed immagini tipo specchiato, iridescente. Ovvero con significati ulteriori, anche distorcenti.
Il presente è ancora abbastanza relegato a sole “quinte” rigide, che potrebbero, invece, essere recuperate in modo mobile.
Anche con gioco di luci parallele, come oggi è possibile fare con effetti su palazzi e monumenti con il videopainting, videomapping. Dipingere sulle facciate, trasformandole in enormi fogli, sui quali proiettare fantasie, che sfondano il significato della realtà massiccia, che de-stilizzano le facciate stesse, con nuova l’andArte filmica. La fantasia non ha più stile. Come le Eterotopie. Che stanno sempre in mezzo a noi, con ogni mezzo e forma. Passata, presente con un futuro irraggiungibile.
Lo specchio è l’Eterotopia classica di Focault. Ciascuno di noi ha esperienza dello specchio, dove osserviamo la nostra realtà con quella specchiata invertita. Possiamo anche fare smorfie o cercare di apparire più belli, comunque sdoppiamo la nostra realtà, vedendola anche come vorremmo.
Molte strade urbane commerciali sono ricche di negozi con vetri-specchio, che, quando non sono fortemente illuminati dall’interno, ci specchiano abbagliandoci, come duplicazione civettuola quando passeggiamo. Un modo alla fine che amplia gli spazi esterni, anche psicologicamente. E la sera i locali fortemente illuminati fanno un analogo effetto invertito.
Più specchi, l’uno dietro o accanto l’altro, ci spostano, ci ruotano, e sappiamo che siamo più tridimensionali che mai. Lo sanno bene le donne che sono le Artiste degli specchi, e per questo diventeranno le artefici perfette delle Eterotopie, con queste facilitando la loro antica battaglia.
Quando prevarrà “l’ecommerce a domicilio” e i negozi-strada scompariranno, diventando buchi – o che altro? -, la città sarà più porosa, ma senza stimoli (?). E le aree pedonali e le ZTL?
O quando le automobili diventeranno “droni saltellanti”, lasciando nuovamente libere le strade, cosa faremo di questi spazi senza vetrine-negozi? Ritorneremo a vagare dentro i boschi.
I “non luoghi” spiazzanti dei “centri commerciali” li lasciamo alla teoria urbana di Marc Augé.
E poi altri macro luoghi e contro-spazi, architettonici e urbanistici, che sdoppiano la nostra esistenza, cultura e storia; nodi duri della nostra esistenza, in realtà fluidi, se guardiamo meglio.
La “Città dei Morti”, dove la vita si scontra in modo estremo, con la “presenza” reale, ma diversa, di persone che non è vero che non ci sono più. Sono lì presenti e ci guardano dalle loro foto sorridenti, con storie di vita passata. Quanti luoghi hanno visitato in vita, quante immagini nel loro girovagare, quante parole dette? Tutto rimbomba tra vita e morte.
So poco di mio padre che per lavoro era sempre via e tornava a casa stanco. Vorrei il video completo della sua vita vissuta e che, invece, tremendamente ignoro.
I musei dove la storia ritorna. I siti archeologici che ci portano lungo i tracciati di città che ci appaiono pullulanti di vita elementare. Le biblioteche, dove una folla di libri ci sovrasta e ci trascina altrove, lasciando segni indelebili nel nostro subconscio.
Gli alberghi e le residenze periodiche, per una vita in scatola. Le case degli sfollati per terremoto. Dice Focault anche le carceri, dove in angusti alveari si ri-crea miele di vita residua. I teatri, dove corriamo lungo storie fantasiose, anche irreali, e voliamo. Anche la musica dei mega concerti, illuminando la nostra memoria con lampi di luce diffusa di palco e di telefonini oscillanti a ritmo. Sdoppiamento magico di solo sette note incrociate.
Le feste, dove catturiamo sprazzi di felicità, che vorremmo vivere tutti i giorni in spensieratezza. Soprattutto gli spettacoli nelle scene di piazze di città. Eteronomie più manifeste, anche se, poi, svaniscono in una sola serata, lasciano la mattina dopo cartacce e i biglietti ormai inutili. Gli edifici sorridono ancora per qualche giorno. Gli spettacoli e la musica di piazza entra negli intonaci e si attacca come manifesti che non si sverniciano, come un ricordo incastrato nelle mura della città.
Paradossalmente è Eterotopia anche il mondo misterioso del linguaggio e la struttura immaginifica che sta dietro. “Sospensione” massima, dove l’Eterotopia trova il suo migliore terreno. Dice Focault “punto cieco da cui promanano le cose e le parole, nel momento in cui si portano verso il loro punto d’incontro“.
La Geografia, il massimo di Eterotopia, quando si vuole in modo complesso, mettere in relazione “spazi” e “luoghi”. Pensiamo di aver raggiunto il meglio con l’aeromap, che ci fa sentire più tranquilli perché “vediamo” una realtà vera, anche se da satellite semi-alieno.
Una città delle Eterotopie urbane perenni è Napoli, ovviamente. Scenario infinito di teatralità viva che non finisce mai. Napoli si sdoppia, si tripla e i suoi attori sono gli stessi Napoletani. Avete notato che il Centro di Napoli verace, pur essendo densa, eppure sembra dilatarsi e con mille sfaccettature? Napoli è l’esempio inimitabile di Città eterotopata. Spazi e tempi ininterrotti.
La città di Roma ha la sua Eterotopia nella immensa e preziosa monumentalità antica – Città dentro la “Città eterna”. In un continuo suo ruolo teatrale storico di Caput mundi. A Roma gli attori sono i turisti a giro continuo, che creano echi lontani. Per i Romani distratti Eterotopie dovute.
Anche Milano ha le sue Eterotopie, che sono quelle degli affari lontani. Una città che guarda all’Europa e al Mondo.
Le Eterotopie rimangano costanti dentro le proprie Città, a condizione di mutare la natura di Città.
Una città che si amplia su se stessa, non si distacca facilmente da essa, costruendo la sua storia come protesi successive.
Da uno specchio non ci possiamo allontanare, altrimenti la nostra immagine scompare.
Queste osservazioni spingono a considerare una diversa angolazione e dilatazione delle città, nel rendendole a-dimensionali in senso astratto. Materializzando, duplicate, le proprie metafore.
Immagino la città come una serie di spazi, di volumi, di facciate, fotocopiati all’opposto e foto ritocco, per maggiore effetto di profondità, altezza, larghezza. Tracciando percorsi noti e trascurati. Un modo, anche psicologico, per “aumentare” il senso della vita della di Comunità.
Del resto lo stesso Focault (scomparso nel 1984) rimarrebbe spiazzato da certi rivoluzionari mondi derivati dal “digitale”. Il “reale” che si scontra con il “virtuale”, specchiandosi in esso, “in tempo reale”, portandoci in luoghi dove vorremmo essere, come se ci fossimo sul serio.
Fino alla ultima novità duale del metaverso. Basta creare il nostro “Avatar” ed entrare in un mondo duale alternativo, con scelte di vita alternative, anche ignorando il mondo reale. Per creare illusorio senso di “libertà alternativa”.
Il problema vero è se possiamo vivere contemporaneamente in due modi e mondi, guardandoci come in uno specchio allo stesso momento. O se l’uno esclude l’altro. Oltretutto chiusi da un visore opprimente. Il metaverso è solo una evasione effimera? L’Eterotopia, invece, è stare comunque nella realtà, sia pure aumentata, contestuale e non escludente.
In effetti quello che viene fuori da tutto questo è il nuovo eccesso di fantasia: come possiamo progettare una nuova Città pluri-virtuale, senza portarla in disparati mondi tangenti?
Ritorneremmo all’utopia astratta, che è il contrario dell’Eterotopia tendente alla realtà concatenate.
In modo analogo Salvador Rueda, Urbanista, astrae la Città contemporanea, portandola dentro immaginari “Sistemi eco-sostenibili” a parte, distinguendo in modo relativo la Città dura (Barcellona storica) da quella eco-sostenibile futura, come se fosse in un’altra realtà. A meno che l’astrazione di Salvador Rueda non sia, essa stessa, un’Eterotopia di due realtà che si congiungono comunque nel loro specchio. Eterotopia, quindi, onnicomprensiva, e non solo sotto l’unico aspetto eco-ambientale, pur giusto, che finirebbe in un altro modo razionale di inquadrare l’Urbanistica.
E così tanti altri tentativi recenti, per strappare la Città dalla deriva di un suo destino razionale.
Penso, in conclusione, che una nuova dose di fantasia (leggi “creatività’”), possa aggiustare tutto. Fantasia nuova di rivalutazione futura di Città e di territorio. Fantasia, del resto, che ha sempre aiutato il progresso di qualsiasi Civiltà. Con l’invenzione sua “ruota” speciale per correre. In questo sollecitata dalla fantasia della Filosofia.
Eustacchio Franco Antonucci
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