Olimpiadi di Rio, leader guaranì denuncia il lato oscuro dei Giochi

Brasile bandiera
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Il 2016 sarà un anno memorabile per gli appassionati di sport. Ci siamo appena seduti sui divani, bibita ghiacciata in una mano e trombetta nell’altra, pronti a tifare per la nazionale di calcio impegnata agli Europei di Francia, che già guardiamo alle Olimpiadi di agosto a Rio. Quest’estate che tarda ad arrivare, con l’anticiclone che  promette visite ma disattende le attese, con un avvio che non pone buone basi per una stagione ampiamente soleggiata,  potrebbe comunque essere ricordata negli annali se ci regalerà qualche medaglia di metallo prezioso. E così, tutti presi a seguire i risultai delle partite nei vari gironi, le squalifiche e le possibili formazioni in campo, non ci siamo accorti che un uomo, da solo, ha attraversato l’oceano per parlare al mondo del suo popolo e dei sui diritti.

Tonico Benites è un leader guarani, antropologo e coordinatore dell’associazione Aty Guasu [1]. I Guarani sono un popolo indigeno sudamericano che è stato tra i primi ad essere contattato dai colonizzatori europei più di 500 anni fa. Oggi vive tra Paraguay, Bolivia, Argentina e Brasile e d è proprio in quest’ultima nazione che ne risiedono più di 47 mila rappresentanti, l’etnia più popolosa. Ed è proprio sull’onda delle Olimpiadi che vi si terranno che Benites ha raggiunto il nostro continente, i suoi colonizzatori, per portare l’attenzione dell’opinione pubblica su quello che non si vede, da lui stesso definito  “il lato oscuro del Brasile” al quotidiano The Guardian [2], perché offuscato dalle luci sfavillanti dei giochi olimpici alle porte e dalle strategie del governo e del Presidente brasiliano. Benites è stato in Irlanda, a Bruxelles ed a Londra per denunciare il genocidio di cui è vittima il suo popolo, per rivelare che, come per lo stadio Maracanà in occasione dei Mondiali 2014, le arene sportive che ospiteranno le competizioni sono costruite sui terreni strappati agli indigeni così come gli allevamenti e le piantagioni industriali di soia, canna da zucchero e biocarburanti che arricchiscono solo una parte della popolazione brasiliana. La sua parte, la sua gente, si è vista togliere il 95% delle terre ed è stata emarginata in riserve sovraffollate dove è decimata da malnutrizione, malattie e un altissimo tasso di suicidi tra i giovani, stanchi di attendere un cambiamento che non accenna ad arrivare.

Durante la sua campagna di informazione e sensibilizzazione per il ritorno dei Guarani alla terra ancestrale, dove è supportato da Front Line Defenders e Survival International, Benites ha ricevuto minacce di morte e subito ripetute molestie da parte dei sicari al soldo soprattutto della lobby agricola brasiliana. Il Congresso del Brasile sta infatti discutendo un emendamento costituzionale, noto come PEC 215, che darebbe ai proprietari terrieri l’opportunità di bloccare il riconoscimento di nuovi territori indigeni e smembrare quelli già esistenti, minando definitivamente i diritti territoriali indigeni e la sopravvivenza delle tribù che dalla terra dipendono.
Anche Victoria Tauli-Corpuz, Relatrice Speciale Onu per i Diritti dei Popoli Indigeni recentemente recatasi in visita alle popolazioni Guarani, ha denunciato la grave situazione in cui versano gli indigeni vittime di un atroce etnocidio. La relatrice ha posto l’attenzione anche sull’inadeguatezza del  governo e del Presidente ad Interim Michel Temer nella gestione del caos politico in cui versa attualmente il Brasile, dove negli ultimi anni si è registrato un significativo e preoccupante aumento di casi di uso eccessivo della forza verso tutte le minoranze. Dall’inizio del mese di maggio infatti la polizia ha ucciso almeno 11 persone per sedare proteste di piazza, in larga parte pacifiche. Lo scorso anno, sempre la polizia ha compiuto quasi un quinto degli omicidi avvenuti a Rio de Janeiro e nessuno dei responsabili è stato sottoposto ad indagini e portato in giudizio. “Le forze di polizia tendono a considerare i manifestanti alla stregua di nemici pubblici” ha dichiarato Atila Roque, direttore generale di Amnesty International Brasile. La maggior parte delle vittime erano giovani delle favelas e di altre aree emarginate.

In Brasile vivevano oltre 10 milioni di indiani quando i primi colonizzatori europei “scoprirono” il paese nel 1500. Oggi si contano meno di 10 mila rappresentanti e 1.500 sono le tribù “estinte”. E questo è solo un capitolo del più grande olocausto della storia.
In occasione delle Olimpiadi Survivor International ha lanciato la campagna internazionale “Fermiamo il Genocidio in Brasile” (per contribuire: https://www.survival.it/ con tre obbiettivi principali: porre fine alle violenze e al furto della terra dei Guarani, fare pressione sul Brasile affinché blocchi il  PEC 215 e protegga la terra dei Kawahiva, una delle tribù incontattate più minacciate del pianeta.
Federica Crociani

[1] https://www.facebook.com/aty.guasu/
[2] https://www.theguardian.com/environment/2016/may/18/brazils-guarani-indians-killing-themselves-over-loss-of-ancestral-land

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