
Il Messico continua ad affrontare molte e dolorose contraddizioni e per approfondire le tematiche connesse abbiamo intervistato Orsetta Bellani.
È giornalista e scrittrice e vive da molti anni in Messico. Ha scritto reportage per riviste e quotidiani non solo italiani, in particolare si occupa di movimenti sociali, diritti umani e della violenza nel continente latinoamericano. Tra le pubblicazioni di Orsetta Bellani ricordiamo Indios senza re. Conversazioni con gli zapatisti su autonomia e resistenza (Edizioni La Fiaccola, II edizione 2019 – pagine 124).
Lei è giornalista e scrittrice ed è da tempo schierata, non solo a parole, con i movimenti sociali, in difesa dei diritti e delle minoranze in America Latina e altrove. Quando e come ha iniziato ad occuparsene? Come svolge il suo lavoro sul campo? E si è mai sentita in pericolo viste le vessazioni e le violenze che le comunità indigene spesso subiscono?
Sono arrivata in Messico nel 2009, ero già stata in America Latina ma solo per periodi brevi. Dal 2009 la mia presenza è stata quasi costante, sia in Messico che in altri paesi dell’America Latina. Sono arrivata per collaborare con una ONG e col tempo ho iniziato a collaborare con periodici messicani, italiani, dello Stato spagnolo. Il Messico è un paese molto pericoloso per i giornalisti e per questo non lavoriamo individualmente, ma collettivamente. Normalmente si viaggia con altri colleghi e si fa in modo di avere contatti locali, persone del posto che ci accolgono e in qualche modo ci fanno sentire protetti. Lavorare con i colleghi non è solo importante per la sicurezza, s’impara molto lavorando con altre persone.
Era il 26 settembre del 2014 quando ci fu la sparizione forzata dei 43 studenti nello Stato di Guerrero. In un articolo su Altraeconomia, che invito vivamente a leggere anche per l’umanità che fluisce dal suo racconto, ha scritto che le verità, quella dello Stato e quella delle inchieste indipendenti vanno in direzioni diverse. La prima sembra piena di contraddizioni e soprattutto sembra voler nascondere a tutti i costi, torture incluse, la presenza di uomini dello stato al momento del rapimento. È recente la notizia dell’arresto del capitano José Martínez Crespo, accusato di criminalità organizzata, omicidio e sparizione forzata, è il primo detenuto nella prigione militare per la scomparsa dei 43 studenti. Sta cambiando qualcosa? A che punto siamo? Inoltre perché non si riesce a sconfiggere la piaga dei desaparecidos che, come lei scrive, sono 73.000?
È un problema molto complesso e se non si riesce a risolverlo evidentemente è perché non c’è una volontà politica reale. L’impunità sta alla base del fatto che la gente in Messico continua ad essere uccisa o desaparecida: più del 99% dei casi sono impuniti, chi commette un delitto sa che non verrà sanzionato e per questo si sente libero di farlo nuovamente.
Per quanto riguarda Ayotzinapa, sta cambiando qualcosa da quando è diventato presidente Andrés Manuel López Obrador, che da subito ha creato una Commissione della verità e una procura speciale per indagare sul caso. Ci sono stati dei nuovi sviluppi nelle indagini e come lei dice è stato arrestato un militare, ma i 43 studenti non sono ancora stati trovati e siamo lontani da conoscere la verità sul caso Ayotzinapa, ancor di più ad avere giustizia. In generale, quello che sta facendo il governo di Obrador è cercare di risolvere alcuni casi emblematici e molto mediatici, come quello di Ayotzinapa o il massacro della famiglia mormona LeBarón; ma le violazioni dei diritti umani sono un problema endemico che non viene affrontato integralmente e spesso addirittura viene negato con superficialità. All’inizio di settembre il presidente è riuscito ad affermare che non ci sono più massacri nel paese, quando basta aprire un giornale per sapere che non è così.
Complimenti anche per il reportage tra gli indigeni del Chiapas apparso su “il venerdì”. L’ennesima dimostrazione di quanti danni possa fare una multinazionale come la Coca Cola insieme alle responsabilità dei politici messicani, “senatori e deputati sono passati dal Congresso agli uffici della Coca-Cola e viceversa” e candidati presidenziali le cui campagne elettorali sono state finanziate dalla multinazionale di Atlanta. Mi sembra che siamo fermi a secoli addietro. Quanto queste commistioni sono diffuse in altre parti del Messico? È il modello economico strettamente interconnesso a quello americano, gli accordi commerciali con il Nord America?
Le commistioni riguardano tutto il Messico. Basti pensare a Vicente Fox, che prima di essere Presidente della Repubblica era stato CEO della Coca Cola. L’economia messicana è fortemente legata a quella statunitense e lo si è visto anche durante le elezioni di inizio novembre quando il peso messicano è stata la moneta al mondo più svalutata in quelle ore rispetto al dollaro.
Sono trascorsi poco più di due anni dall’elezione di Andrés Manuel López Obrador alla presidenza del Messico. Che bilancio ne può fare? Al momento ci sono quasi un milione di contagiati e quasi 98.000 morti per Covid-19 e, forse, i numeri sono inferiori alla realtà come sostiene il Times. Non mi sembra che il governo sia immune da critiche. Come viene affrontata dal governo la pandemia? Quali le risposte della popolazione?
Nei primi mesi ci sono state delle tensioni istituzionali perché il ministero della Salute inviava messaggi molto chiari sul fatto che si dovesse restare a casa e sulla necessità di adottare tutte le misure necessarie, mentre il presidente invitava la gente ad andare nei ristoranti. Non c’è mai stata una quarantena obbligatoria ma, parlando della risposta della popolazione, nei primi due o tre mesi mi sono stupita del numero delle persone che non uscivano e rispettavano le consegne nonostante non ci fossero degli obblighi precisi. In seguito tutti abbiamo iniziato a fare una vita più normale, arriva un momento in cui è necessario muoversi per lavorare ed avere un minimo di vita sociale.
Per quanto riguarda i numeri, l’esperienza personale mi suggerisce che il contagio e le morti non sono correttamente dimensionati dalle istituzioni messicane. La maggior parte delle persone che vivono nelle zone rurali e isolate spesso sono molto lontane dagli ospedali, per cui non ci vanno e non appaiono nelle statistiche. E anche nelle città di tamponi se ne fanno molto pochi, sono cari e poche persone sono disposte a pagarlo. Quindi non so quanto il sistema di semaforo, che in Messico funziona dall’ inizio della pandemia ed è simile a quello implementato in Italia da qualche settimana, rifletta la realtà.
Lei vive in Messico, uno dei paesi più violenti al mondo, ma sono le donne a subirne le conseguenze peggiori, anche in situazioni di lockdown. Può darcene un quadro collegandone le cause? Chi sta facendo qualcosa per cambiare il verso di questa realtà?
In Messico ogni giorno vengono uccise 10 donne e le cause ovviamente sono complesse, ma possiamo sicuramente citare la presenza di un machismo molto radicato nella società e l’impunità che come dicevo riguarda il 99% dei delitti. A questo machismo, soprattutto negli ultimi anni, risponde un movimento femminista molto forte, ben organizzato e che va crescendo sempre di più. Un movimento che coinvolge anche persone molto giovani, ragazzine ed adolescenti. Le manifestazioni femministe sono molto partecipate non solo nella capitale, ma anche nelle zone di provincia, in piccole città come quella in cui vivo. Il Messico segue un’onda globale che riguarda tutta l’America Latina e il resto del mondo. Sappiamo che per sconfiggere il patriarcato è necessario stringere alleanze con le donne di tutto il mondo, noi donne abbiamo molto chiaro che la nostra rivoluzione è e sarà internazionalista.
Il Messico ha relazioni speciali con gli Stati Uniti. La leadership politica ed economica come ha letto la vittoria di Biden? Lei cosa ne pensa e secondo la sua esperienza cambierà qualcosa in America Latina?
Dubito fortemente che la presidenza di Biden cambi nella sostanza l’atteggiamento degli Stati Uniti verso l’America Latina. Da sempre gli Stati Uniti trattano l’America Latina come il loro “cortile di casa”, anche durante i governi democratici. Immagino che Biden non farà proclami razzisti come quelli di Trump, ma non penso ci sarà un cambiamento sostanziale nella politica statunitense verso l’America Latina, anche nei confronti dei migranti. Va ricordato che Biden era vicepresidente all’epoca di Obama quando sono stati espulsi dal paese due milioni e mezzo di persone.
Un’ultima domanda. Lo scrittore Premio Nobel della Letteratura 2010, Mario Vargas Llosa, ritiene che nel recente processo di destituzione del presidente Martín Vizcarra il Congresso abbia violato la Costituzione. In tanti hanno manifestato perplessità e contrarietà, fino a definirlo un colpo di stato. Lei che ne pensa? Ci sono rischi per la tenuta del paese anche in considerazione di una grave crisi economica (-12,5% del Pil nel 2020) e di una crisi sanitaria per il coronavirus che l’ha colpito duramente?
Il Perù è un paese molto instabile politicamente, sono vari anni che è scosso da scandali di corruzione che toccano i vertici più alti dello Stato. Le vicende degli ultimi giorni sono sicuramente molto preoccupanti, È stato imposto un presidente che dopo pochissimi giorni ha dovuto dimettersi a causa delle forti proteste popolari che sono state represse brutalmente. Ci sono stati due morti e abbiamo visto dei video di persone picchiate dalla polizia mentre stavano sedute guardando le manifestazioni. Come nel caso prima citato dei movimenti femministi, anche le manifestazioni in Perù sono molto partecipate soprattutto da ragazzi e ragazze, adolescenti. La cosa colpisce positivamente, siamo abituati a considerare le nuove generazioni come superficiali, legate a futili modelli di vita, attente solo ai social e senza impegno politico; vediamo invece come sono loro più di ogni altro a lottare in prima fila per un cambiamento.
Pasquale Esposito
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