
Ottimo Massimo Grand Band è un disco che ha una sua autonomia di spartito ma mantiene saldamente i piedi ancorati nella storia jazzistica delle grandi orchestre.
Già l'originalità del nome della band ci fa intuire che si può innovare, esplorare nuove dimensioni musicali, senza mai uscire però dal solco della tradizione. Partendo dal nome, per esempio; Ottimo Massimo, infatti, è un cane; un bassotto, per essere più precisi.
Ma non un cane qualunque. È il cane di Cosimo Rondò di Piovasco, meglio conosciuto come il “Barone Rampante” di Italo Calvino, con il quale instaura un rapporto speciale; e speciale è altrettanto il progetto che sviluppa il musicista e compositore Andrea De Martini, anche lui sanremese come il grande scrittore, e cioè registrare la sua musica con una compagine orchestrale sulla scia di quella costituita dal grande arrangiatore Ernie Wilkins nel 1979 in Danimarca, la celebre “Almost Big Band”, (“Quasi una Big Band”), che infatti composta da soli 12 elementi era in grado di sviluppare un tessuto musicale pari a quello di una vera big band di 16 musicisti, grazie proprio ai sapienti arrangiamenti del suo leader.
Perché un'orchestra, una big band, sebbene sia composta da più elementi che si esprimono con strumenti diversi, è lei stessa uno strumento che, in un unico suono fatto dall'intreccio delle varie sezioni che insieme, appunto, le danno vita, creano la voce distintiva della compagine.

I 12 elementi della “Ottimo Massimo Grand Band” la loro voce ce la fanno conoscere subito, già con il primo brano, “Colle Muse Ceneri”, creando un'atmosfera ellingtoniana inconfondibile che apre il primo tema del pezzo; una composizione fatta di pensieri musicali all'apparenza staccati fra di loro, tant'è che il secondo tema si apre con un possente accenno di jazz-samba dove spicca il timbro vellutato del trombone di Stefano Calcagno.
La Band sa perfettamente quali sensazioni creare e lo dimostra con il brano “Poco distante”, dove in un'atmosfera avvolgente si evidenzia il sax soprano di Pietro Tonolo, l'ospite d'onore della Band, che ci accompagna al “solo” del pianista Gianluca Tagliazucchi, sorretto con maestria dalle sezioni ottoni e anche in un impasto nel quale è facile capire come i musicisti si nutrano vicendevolmente delle diverse sensibilità musicali dando luogo ad una specie di “call and response”, colonna portante del blues.
D'altronde nelle big band l'“ascolto” reciproco delle sezioni, favorisce e lancia le “improvvisazioni” dei musicisti cioè di quella pratica estremamente rigorosa che si distacca dalla rigida partitura scritta creando un apparente rovescio della medaglia perché in realtà vengono a porsi come momenti indispensabili uno per l'altro.
Di questa tecnica ce ne danno un pratico esempio con “A night at the cave”, dove con un “riff” compatto a tempo di jazz-samba ci portano al “solo” di sax tenore di Pietro Tonolo – affermato saxofonista con militanza nelle big band di Gil Evans, Chet Baker, nonché collaboratore in lavori insieme a Lee Konitz, Enrico Rava, Paul Motian – accompagnato da un bel controcanto degli ottoni. Questa alternanza fra partitura scritta e improvvisazione si esalta poi in un “solo” di piano, contrappuntato dai piatti discreti della batteria di Rodolfo Cervetto che ci lascia poi imbrigliare nelle note suadenti del trombone di Stefano Calcagno che chiude questo bel pezzo accompagnato dal “tutti” dell'orchestra.
La “Ottimo Massimo Grand Band” con quel suo manifesto attaccamento anche culturale al mondo delle big band della tradizione, ce lo vuole ricordare strada facendo ed ecco una chicca ne “Il Tema di Zlatko” che si apre con il sax soprano, che non posso non pensare abbia reso omaggio con la sua voce appena soffiata, al grande Paul Gonsalves il sax tenorista che suonò ininterrottamente nell'orchestra di Duke Ellington dal 1950 al 1974, anno poi della sua morte. È sì un riconoscimento al musicista ma è anche una dichiarazione di indissolubile continuità con i suoni di quell'orchestra mitica, alla quale rende omaggio anche l'improvvisazione di Pietro Tonolo al sax soprano.

In breve, è ormai chiaro che questo album può essere visto – ed ascoltato – come una cavalcata nel mondo e nelle sonorità delle big band fatta con un prodotto di pregio, confezionato da musicisti dalle spiccate qualità timbriche e in possesso della giusta disciplina orchestrale, in evidenza specialmente nelle parti scritte dei sottofondi e dei controcanti.
Un'ulteriore e più appropriata dimostrazione di questa mia sensazione la si può avere ascoltando “La scoperta del Panachè”, brano di forza ritmica che ci regala un attacco direi da big band anni '50 – alla Stan Kenton, per intenderci – in un saliscendi di temi che si intersecano rincorrendosi a vicenda. L'orchestra non si scompone mai e offre al tenore di Tonolo e ai tamburi di Rodolfo Cervetto – stupendo l'uso del timpano, strumento valorizzato da Gene Krupa ma mai sfruttato più di tanto dai batteristi – un impareggiabile confronto al quale si accoda la chitarra di Lorenzo Girola che ci conduce al gran finale.
Stessa coinvolgente atmosfera, questa volta più soffusa e più ellingtoniana, in “For Ail” dove il tema è aperto dal sax alto di Claudio Chiara che ci regala poi uno stupendo solo. La tromba di Giampaolo Casati silenziata dalla sordina gli fa da controcanto fino ad afferrare l'idea musicale stessa del sax alto per svilupparla con destrezza e delicatezza, grazie anche al preciso intreccio di sottofondo delle voci delle sezioni ance e ottoni.
Da questo pezzo in poi, sembra che “Ottimo Massimo Grand Band” inserisca una marcia in più dandocene concreta dimostrazione con il brano “Otellik”, dove i 13 ragazzi sono ispirati e trascinati ancora una volta dal “drive” del batterista Cervetto che ci prepara all'ascolto del solo, al sax tenore, di Stefano Riggi i cui riferimenti melodici sembrano ammiccare al celebre brano di Ellington “Take the A train”. Bello l'arrangiamento per il puntuale stacco di batteria tutto tamburi che conclude il brano.
Ma forse l'anima della band lascia il suo segno nel brano “Dodo”, una composizione dedicata al contrabbassista e compositore Dodo Goya nato a Sanremo e morto nel 2017, al quale il compositore Andrea De Martini non poteva rinunciare per ricordare una carriera sviluppata accanto ai mostri sacri del jazz mondiale come Gerry Mulligan, Chet Baker, Mal Waldron. Ma le dediche forse non finiscono qui perché Simone Garino al clarinetto sembra omaggiare, adottando lo stesso linguaggio espressivo come mi è parso intuire, Buddy De Franco, per anni side man nelle grandi orchestre poi leader di un terzetto con il pianista Oscar Peterson, e unico musicista ad aver suonato il clarinetto nel “Bebop”. Chiude il pezzo il basso elettrico di Dino Cerruti, quasi come un estremo saluto.
Di musica, di jazz, si può scrivere, si può parlare, ci si può perfino schierare, ma prima di fare tutto ciò bisogna ascoltare e, per quanto mi riguarda, la big band per quanto complesso possa essere, è l'unico “strumento” che ci può aprire la strada alla comprensione delle varie forme espressive.
Quindi un grazie alla “Zanetti Records” per la pubblicazione del cd, ad Andrea De Martini per le composizioni, a Gianpaolo Casati per gli arrangiamenti e a Pietro Tonolo che ha regalato alla “Ottimo Massimo Grand Band” tutta la sua esperienza.
Stefano Ferrarese
genere: jazz
Ottimo Massimo
Ottimo Massimo Grand Band
etichetta: Zanetti records
data uscita: 22 febbraio 2021
brani: 10
durata: 01:12:00
album: singolo
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