Il bosco Pando modello di sostenibilità e resilienza

disegno Eustacchio Franco Antonucci 2023
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Pando è il nome di un tipo di bosco assai originale, solo di recente indagato, foresta di Fishlake nello Utah (USA), con un’estensione di circa 42 ettari. È un “macro-individuo” vegetale unitario, composto da alberi “polloni vegetali”, facenti parte dello stesso corpo-bosco. È il più grande essere vivente (boschivo), esistente sul pianeta Terra. Un bosco-organismo che genera alberi vegetativi (originati) da una stessa gigantesca massa radicale (genet), del tipo pioppi giganti tremuli di colore tendente al giallo chiaro, e foglie leggere che tremano facilmente alla più flebile brezza.

Pando deriva dal verbo latino transitivo “estendere”. Il Pando/bosco appartiene ai più antichi mega-organismi vegetali al mondo, con un’età di circa 80.000 anni, ragion per cui la sua sostenibilità potenziale acquista una prospettiva interessante per dimensione e lunga durabilità, ad effetto diretto; gli edifici a cappotto è, invece, un esempio ad effetto indiretto, contingente, sia pure con logica effetti successivi moltiplicati. L’effetto Pando/bosco sta, quindi, decisamente dentro macro-benefici ad effetto completo: unitarietà, estensione, durata. Non certo per sogni di immortalità, ma come più lungimiranti e sicuri lasciti alle generazioni successive, con una più salda consistenza del mondo che a loro lasciamo. Perché si caratterizzano in contesti viventi, non tecnologici, non artificiosi. Vicini alla nostra essenza umana-naturale essenziale, che ha la prerogativa della vita che cresce “espandendosi”.

Il modello Pando potrà fare la pari con altri e già noti esempi simili, quali i “micro-apparati radicali estensivi” di alcune piante da genet unitario, quindi costituenti mini mono-gruppo Il principio è sempre quello di una sostenibilità a tessuto. In termini di superfici, linee, nodi ed interi contesti naturali che vivono crescendo. Senza annullare quelli tecnologici, sui quali stiamo concentrando sforzi e costi notevoli e a condizione che siano aggregabili e non contro Natura.

Non ci soffermano più di tanto sugli aspetti e dettagli scientifici, rimandando a materie specifiche, quanto, piuttosto, evidenziando l’aspetto “filosofico”, veramente generale, di una sostenibilità viva, non ferma, senza distrazioni da benessere contingente. Viceversa con comportamenti proattivi, contando sul processo della moltiplicazione degli effetti, più che sulla loro specificità.
Si propone una “Sostenibilità di Natura”, non ancora del tutto indagata, perché spesso concentrata nel ristretto ambito eco-ambientalista, che deve essere riportato, invece, dentro la sfera del sistema climatico globale, cioè della essenza planetaria totale, di tipo naturale assoluto, che è la faccia stessa del pianeta. Senza annessi connessi, in realtà separati. Non scivolando in un “sostenibile di moda”, solo per illuderci della salvezza.
Difese possibili, micro e macro, affrontando alla pari i cataclismi climatici globali, che incombono e che si scatenano “a cascata”. Natura contro Natura. Riportando il tutto, invece, in una sinergia naturale unica, dentro se stessa. Scongiurando le complementarietà spesso incongruenti, segmentate in discipline e dai saperi plurimi, che diventano essi stessi progressivamente autonomi. Contando, anche o soprattutto su azioni/reazioni alternative, derivate dalla “Natura buona”, diventata “cattiva” anche o solo per nostra colpa. “Natura buona” contro “Natura cattiva”. Eliminando, così, la vera “contraddizione” del nostro contemporaneo confuso.

Natura che si sta anche vendicando, forse perché sminuita da una eccessiva divinazione di Scienza e Tecnologia, che corrono più velocemente delle nostre vocazioni umane, con “virtualizzazioni” sempre più astratte. Finendo per sottacere la nostra stessa razionalità umana, pur volendo restare, comunque, ancora dentro la Natura reale, tangibile. Altra contraddizione contemporanea, quando siamo tentati di lasciare la nostra culla naturale per raggiungere un treno tecnologico virtuale ancora senza certezze.

La Natura può rilevarci ancora una miriade di segreti sconosciuti, e che aspettano solo di essere (ri)scoperti, con un principio inverso a quello del “consumo a perdere”. Il caso della scoperta del bosco Pando è, in questo, una occasione inaspettata ed eclatante, non necessariamente alternativa alla amata Tecnologia. “Mega-potenze” che si sommano, contro le “mega-sciagure”. L’Eden originario è stato dimenticato: a noi umani affidato come ricchezza da governare e non da sprecare come ripostiglio delle cianfrusaglie. Ritornando alla Natura dell’Umano e viceversa. Qualsiasi altro espediente artificiale attuale è, del resto, ancora fragile. Viceversa una nuova sintonia con la sapienza e potenza della Natura ri-appacificata sarà una sorpresa.

La comunità dei boschi e delle foreste
Emulare la Natura attraverso la similitudine della società umana alla “Comunità degli Alberi” dentro boschi e foreste. Gli alberi amici, con un loro patto di pace infinita, scoprono che nell’essere gruppo emerge una superiore “potenza” collettiva. Maggiore sinergia e difesa, uno per tutti, tutti per uno. Come gli stormi di uccelli o delle “nuvole di mare” dei pesci piccoli contro i pesci grandi, che non riescono a prevalere contro il gruppo roteante. I “gruppi” dei boschi e delle foreste insegnano nuovi comportamenti sociali-naturali perfetti, non belligeranti, dove diventa più sicura una difesa globale. Noi Umani siamo, invece, ancora divisi dalla nostra lotta di supremazia razionale, acuita solo da Scienza e Tecnologia. Esiste invece un’intelligenza della Natura che sta nella sua estrema “semplicità”, che nasconde conoscenza e sapienza antica. Scopriamo di recente che la Natura applica, dall’origine dei suoi tempi, un suo Internet misterioso, consistente nella fotosintesi, nel contempo, scambiando informazioni con un appropriato linguaggio al limite, o dentro, una sua teoria quantistica, Intelligenza natural-digitale. Se poi andiamo sul piano emozionale scopriamo che la similitudine con la Natura si può giocare, anche questa, alla pari. La Natura sente, vede, soffre, gioisce.

Una superiore similitudine umana futura con le comunità naturali è quello della “Comunità globale”, planetaria. La Natura già lo è: siamo noi che la confiniamo di continuo.
L’esempio della comunità dei boschi e delle foreste è, del resto, proponibile anche alla scala Città. Con una nuova visione organica urbana unitaria, tipo “Natural/City”. Non più prevalenza di temi sezionati in competizione, bensì unione urbana di intenti e di saperi.
Uno degli esempi migliori è il verde urbano, spesso mitizzato in eccesso, poi volgarizzato in vario modo, fino al parossismo retorico della suggestiva ed equivoca moda della Foresta urbana. Un riferimento terminologico eclatante, che, invece di intendere “alberi ovunque”, potrebbe ingenerare ansia di perderci (ultima esagerazione la “giungla urbana”. Massimizzazione di verde e di alberi, sì, ma con una mentalità progettuale, ed ovviamente nuova. Il verde diventa nuovo sistema primario di progettazione della Città e non solo strumento complementare, come ancora è oggi. Non strumento utile alla resilienza, ma Resilienza stessa. È necessario, al proposito, un vero ribaltamento di priorità urbane, a favore del Verde primario in senso assoluto.
La riscossa dell’Urbanistica in crisi sta anche “oltre” gli stessi tecnicismi della “integrazione”, altro termine abusato come simbolo senza fondo. La semplificazione della Natura, invece, sta nelle correlazioni non negli incastri forzati. Una “integrazione”, allora, con significato nuovo e più profondo. Il che vuol dire che tutta l’architettura urbana, dalle abitazioni agli edifici pubblici, alle strade, al verde, debba ri-definirsi come un unicum, affinché tutti gli elementi urbani dialoghino all’unisono con la comunità urbana, diventando una sola voce e coro di città. Facendo “parlare” tra loro tutte strutture (infrastrutture) della Città e del Territorio: le strade come nuovi sistemi-reticolo dialoganti, legati ai canali sociali. Gli edifici che si guardano e si parlano, pur essendo tra loro diversi, ma ricongiunti “dolcemente” da qualcosa di morbido, come il verde, che si adatta e restituisce una forma continua alla Città. Il verde, in questo, diventa determinante, perché è l’elemento più “flessibile”, disponibile a connettere, cucire, mediare, e quindi “integrare” nel nuovo significato giusto. Il verde declinato in senso in senso “vegetativo globale” attivo, non solo come serbatoio di ricambio ossigeno-CO2, quindi di microclimi urbani, di difesa globale (resilienza), ma, soprattutto, come nuovo parametro progettuale. Di città e di territorio.

La riscossa dell’Urbanistica in crisi sta anche oltre gli stessi tecnicismi, quindi in una nuova cultura globale. Che si strucca al naturale. Ammorbidendo i toni, le emergenze soliste, tagliando i sibili laterali, i rumori di fondo…Riconducendo il tutto alle “reciprocità”, più soffici delle “linee”, delle “aree” e dei “solidi” poli-vocali assonanti, come una simil “sinfonia” musicale, che rimpasta, al tempo stesso, i singoli strumenti e tutto. In tal caso una sinfonia verde che riflette i singoli suoni in nuove appropriate sale da concerto, – i nuovi luoghi urbani -, assecondando alla voce umana del tenore che conduce  i “canti urbani”. Come fanno gli alberi dei boschi e foreste, al ritmo dei turbinii dei venti e dei tornado.

Talvolta mi sembra, invece, che “ragione” ed “umanità” siano cose diverse… strillano non cantano. Il bosco Pando rientra nel tema, allargando e innovando, in ragione del suo fuori scala nella sua unità vegetativa, comprendente alberi, arbusti, cespugli, piante. Proponendo “sinergia” smisurata unica, durabilità ed altro da scoprire. Dal “sistema multiplo” dei tanti boschi/ e foreste si passa così alla continuità del mega-sistema unitario del Pando, che dispone, evidentemente, per scala maggiore e non solo, di reti diffusive più lunghe. Ovviamente occorre verificare le condizioni particolari per “riprodurre” tanti boschi Pando come quello in America, per poterli esportare ovunque del mondo. Con il sogno di popolare l’intero pianeta di tanti “giganti buoni” naturali, che ci regaleranno una maggiore sostenibilità naturale senza strappi. Piccole e giganti resilienze per parallele, piccole-grandi, sostenibilità che promettano un più sicuro ritorno contestuale, verso una “saggezza” antica-futura di Natura, pari alla sua forza vendicativa. Una forza che possiamo ribaltare ri-entrando nella “potenza buona” della stessa Natura, a scala planetaria. Ammettendo che le sue “reti”, sono più lunghe delle nostre, fino ad irradiare la superficie del Pianeta per intero, quindi entrando dentro di esso e salendo verso il cielo.
Utopia? Forse. Ma come si fa immaginare tranquillo il nostro futuro prossimo solo in termini di total-digitale o di “parossismo virtuale” o di altro ancora, che tanto reali non sono? Rischiando di interpretare la Natura essa stessa un assurdo “parossismo naturale” al negativo (implosione planetaria)? Anche nel ricorso al modello Pando esiste, ovviamente e meglio, il riferimento alla Città, trasferendo l’intera città in un unico DNA urbano, Organismo sincrono dinamico, che “dialoga” con gli organi vitali in una nuova socialità armonizzante.

Il modello micelio
Un altro esempio (e di tanti altri infiniti esempi) può essere rappresentato dal regno dei funghi, e del loro speciale apparato vegetativo comune, costituito da un intricato reticolo di filamenti estesi, chiamato micelio (sotto-bosco di alberi, boschi, foreste e non solo). È una rete interconnessa estesa senza limiti, dotata di una grande resistenza alla sopravvivenza contro ogni avversità, visto che è questa la risorsa vitale che è passata indenne attraverso i grandi cataclismi dei primordi preistorici, rigenerando e ri-colonizzando, sempre, l’intero pianeta fino a noi (e ai prossimi cataclismi). È un campione assoluto di resilienza e sostenibilità di capacità inusitate. Ancora ignorato.
Il micelio è oggetto di recenti ricerche, sia pure di ancora limitate applicazioni edilizie, quali quella dei mattoni di funghi (ed altri bio-componenti edilizi vivi), coltivati in appositi stampi, come se fossero piante da crescere in 4/5 gg, misti ad altri componenti naturali, e/o residui agricoli per eventuale biodegradabilità finale e/o recupero in riciclo.

L’originalità del sistema “micelio” sta, in particolare e in generale, nella sua “sostenibilità viva”, come se i composti da “micelio” potessero rigenerarsi, e continuare a vivere, anche in forme nuove. Esempio edilizio con mattoni di micelio è la torre circolare Hy-Fi di fronte al MoMa di New York dell’architetto David Benjamin.
Tutto questo dice che è necessario ripensare, in modo anche diverso, al concetto generale di sostenibilità come processo ampliato, anche naturale evolutivo senza limiti. Non solo sostenibilità circoscritta e contingente, ma trasversale e totale al tempo stesso, inserendo tutti gli artifizi e risorse a disposizione su ogni lato. Un sostenibilità globale planetaria, non unidirezionata, quindi oltre il solo razionale. Sostenibilità globale, anche filosofica, che “pensa” come sempre. È la Filosofia che inizia (o riprende) a vivere dentro la Natura. Un finale appropriato, per superare le contrapposizioni e le nostre guerre vecchie e nuove.

Tutti i modelli naturali posseggono, del resto, una analogia disarmante con tutto questo. La loro evidenza è la “semplicità” estrema. Basta tentare di comprenderla. Questo è il principale paradigma esistenziale del prossimo futuro. Una specie di grande scudo e non solo. La conclusione più fantasiosa potrebbe essere quella di immaginare una nuova immensa ed unica “corteccia vegetativa” planetaria impenetrabile, che aggiungiamo alla attuale crosta terrestre. Poi una seconda corteccia, e così via. Una difesa di “Natura sopra Natura”, a sovrapporre.
Un racconto romanzato in campo fantascientifico? Perché no? Ne abbiamo bisogno.

Eustacchio Franco Antonucci

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