
Non più di qualche giorno fa, da Ulan Bator capitale della Mongolia, Papa Francesco con a fianco il presidente della Mongolia Ukhnaagiin Khürelsükh, ha elogiato il paese «anche per la vostra determinazione a fermare la proliferazione nucleare e a presentarsi al mondo come paese senza armi nucleari. La Mongolia non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale» [1].
Secondo il Nuclear Weapons Ban Monitor, pubblicato a febbraio 2023, dalla norvegese Norsk Folkehjelp le nove potenze nucleari ufficiali e non ufficiali detenevano 9.576 testate nucleari pronte all'uso e il cui potenziale distruttivo equivale ad oltre 135.000 bombe di Hiroshima. Non ci vuole molto a capire, soprattutto dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia che ha riportato una guerra di lunga durata e di posizione in Europa, dell'enorme rischio distruttivo che incombe sul Pianeta.
Eppure le diplomazie e i governi potrebbero fare molto di più vista l'entrata in vigore del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW). Il TPNW è entrato in vigore nel 2021 ed è stato firmato da 92 Stati e ratificato da 68 di essi. Il Trattato rende illegale, per qualunque nazione che lo sottoscriva, l'uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la produzione, la fabbricazione, l'acquisizione, il possesso, il possesso, l'immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l'installazione o il dispiegamento di armi nucleari. Non solo è vietato incoraggiare o indurre qualcuno ad impegnarsi in una delle attività proibite [2].
Non basta protestare e accusare giustamente la Russia di aver sospeso la sua partecipazione al trattato New START, l'ultimo accordo di controllo degli armamenti nucleari ancora in vigore tra Russia e USA. Non è sufficiente contrastare a parole la retorica nucleare di Mosca e le sue decisioni di posizionare armi nucleari in Bielorussia [3]. Non si può solo gridare al pericolo della Cina che continua ad armarsi anche con testate nucleari.
Non si può a sostenere che gli armamenti atomici da entrambe le parti azzerano i rischi dell'olocausto e del suo utilizzo. Come se i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki non fossero mai avvenuti. Come se i test nucleari che hanno provocato vittime, dolore e devastazioni ambientali non fossero mai avvenuti. Come scrive sul suo sito la Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari (Ican), , insignita nel 2017 del premio Nobel per la Pace per il ruolo di primo piano ricoperto nel sostegno e ottenimento del TPNW: «le armi nucleari sono le armi più disumane e indiscriminate mai create. Violano il diritto internazionale, causano gravi danni ambientali, minano la sicurezza nazionale e globale e distolgono vaste risorse pubbliche dal soddisfare i bisogni umani. Devono essere eliminati urgentemente».
Ancora a luglio scorso la NATO nella riunione di Vilnius, come spiega Carlo Trezza, opponeva un «duro linguaggio nei confronti del TPNW» e questo fin dagli anni delle trattative per arrivare al trattato. La NATO, spiega sempre Trezza, «nonostante i cambiamenti epocali avvenuti dal 2021 ad oggi, la Nato non ha ritenuto di aggiornare il suo linguaggio anche se le obiezioni che essa formulò due anni orsono sono in gran parte superate. Non è stato il TPNW ad aver posto a rischio la pace e la sicurezza internazionale, né esso ha acquisito, come paventato allora, lo status di norma consuetudinaria. […]. Tutti riconoscono oggi che la priorità numero uno è quella di ridurre il rischio dell'uso dell'arma nucleare e di condannare la minaccia del suo uso. Il mantenimento di un'ostilità dogmatica contro un accordo che trova un ragguardevole sostegno tra membri della comunità internazionale mal si concilia con la ricerca di appoggi nei confronti delle sanzioni promosse dai paesi atlantici nei confronti della Federazione russa a seguito dell'aggressione dell'Ucraina. A Vilnius si sarebbe potuto aggiustare il tiro sul TPNW: ci si è limitati a sfondare una porta aperta. Un risultato analogo è emerso dal recente vertice G7 che per essersi tenuto simbolicamente nella città martire di Hiroshima ha condotto a risultati in campo nucleare decisamente deludenti» [4].
Le cose sul fronte della proliferazione nucleare vanno decisamente peggio se si guarda agli Stati Uniti ed in particolare alla attuale politica del presidente Joe Biden. A spiegarcelo è Alan J. Kuperman che, sottolineando la necessità di avviare per tempo politiche per la non proliferazione delle armi nucleari, critica l'amministrazione Biden per aver adottato misure che la fornitura dei materiali fissili necessari alla preparazione delle armi nucleari che «favorirebbero la proliferazione sia del plutonio che dell'uranio [materiali utili alla fabbricazione delle armi nucleari, ndr] per uso militare». Si tratta, secondo l'autore, di quattro provvedimenti:
- finanziamento di aziende USA che « come Oklo che vogliono riprocessare il combustibile usato dei reattori – in primo luogo come si ottiene il plutonio, separandolo dalle scorie nucleari – e poi implementare la sua tecnologia di riciclaggio del combustibile “ su scala globale”»;
- sussidio di 2 miliardi di dollari a «Bill Gates (attualmente la quinta persona più ricca del mondo) per sviluppare reattori nucleari “veloci” esotici, originariamente progettati esplicitamente per aumentare le forniture di plutonio. Terrapower, la start-up per l'energia nucleare di Gates, promette di non usarli in questo modo, ma i reattori sono così costosi che i paesi che li importano potrebbero citare l'economia per giustificare la loro trasformazione in fabbriche di plutonio»;
- costruzione di un reattore di ricerca civile che «combustibile HEU di tipo militare, minacciando così di minare decenni di progressi nella delegittimazione di questo pericoloso combustibile a livello globale»;
- esportazione di uranio ad uso militare in quantità sufficiente «per centinaia di bombe nucleari – per alimentare i prossimi sottomarini australiani a propulsione nucleare SSN-AUKUS. Questo annuncio ha già spinto almeno un altro paese, l'Iran, a suggerire che anch'esso potrebbe produrre HEU per il carburante navale, una nota porta di servizio alle armi nucleari» [5].
Se la diplomazia vuole fare passi in avanti nel blocco della proliferazione delle armi nucleari bisogna fare passi concreti in questa direzione, con le parole e con i fatti anche perché l'ora dell'apocalisse nucleare è troppo vicina.
Pasquale Esposito
[1] Stefania Falasca, Il Papa in Mongolia: sul mondo regni l'assenza di conflitti, 2 settembre 2023.
[2] Il Trattato TPNW: strada maestra contro la minaccia distruttiva delle armi nucleari, 7 settembre 2023.
[3] «In una nota di ricerca del mese scorso, la Federation of American Scientists ha dichiarato di non aver ancora trovato prove visive che indichino in modo definitivo la presenza di un impianto di armi nucleari attivo sul territorio bielorusso. Il suo ricercatore nucleare di punta, Hans Kristensen, ha affermato che la Central Intelligence Agency degli Stati Uniti ha rilevato una visita all'inizio dell'anno da parte di un alto ufficiale russo a una struttura a Osipovichi per un potenziale aggiornamento del deposito di armi nucleari», cfr. Lukashenko: “Ho il veto sull'uso delle armi nucleari russe in Bielorussia”, 7 luglio 2023.
[4] Carlo Trezza, L'occasione mancata della Nato sulla proibizione delle armi nucleari, 19 Luglio 2023
[5] Alan J. Kuperman, Biden's horse-trading on nuclear technology and fuels is an unprecedented proliferation risk, 7 settembre 2023
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