
A che cosa pensa un’attrice mollemente adagiata su una poltrona bordeaux mentre il pubblico entra lentamente in sala? A che cosa pensava Federica Carruba Toscano immobile con il suo viso da madonna e le linee morbide del suo corpo? Sapeva di essere esposta agli sguardi degli spettatori, sapeva che avremmo indagato il suo corpo, le sue espressioni, la sua intimità. Era un momento sospeso, il pubblico si accomodava e lei era immersa nel suo mondo, un po’ come il portiere prima del calcio di rigore. Che cosa le passava nell’anima, nel cervello, nel cuore, nelle ossa, nel sangue?
Federica Carruba Toscano nei panni di Penelope attendeva, sensuale. E io non saprò mai nulla di quel momento feroce che precede l’inizio.
La scenografia era semplice. Le pale di alcuni ventilatori in acciaio, di diversa altezza, giravano lentamente riflettendo le luci di scena, proiettando su un fondale nero i loro riflessi argentei. La musica dei tamburi faceva da sottofondo senza essere invadente, senza coprire la recitazione. Penelope compiva un viaggio antico, un viaggio che perennemente si rinnova, il viaggio del femminile. È un viaggio riattualizzato quello che la regista e drammaturga Martina Badiluzzi fa compiere al suo personaggio.
Penelope è alle prese con un ipotetico maschile, bello come un vanesio eroe guerresco. È ironica in questo, prima asseconda la vanità evitando di palesare la propria intelligenza. Poi rompe gli schemi, non vuole farsi carico delle debolezze dell’altro, non vuole riempire i silenzi per proteggere l’altro dalla propria inadeguatezza. Non è un personaggio al femminile tutto donante. Sfida le convenzioni. Nel contempo Penelope sfida il gioco della memoria, con coraggio rievoca il padre. Combatte contro i fantasmi legati alla figura paterna, orco orribile, Polifemo “che mangia i bambini”.

La protagonista si confronta con il maschile, condividendone rituali e aspettative. Ma improvvisamente il gioco diventa incubo. La partecipazione ai giochi dei maschi fratelli si altera. Penelope da compagna diventa vittima. Federica Carruba Toscano sottolinea con precisione da entomologo i passaggi che trasformano le azioni in violenza. In questo è ben sostenuta da una scrittura e da una drammaturgia asciutta, essenziale.
L’interpretazione è appassionata e appassionante. L’attrice riesce a dare voce ai passaggi ironici, a quelli sussurrati, a quelli gridati in cui il pathos si sprigiona in un urlo che si appiccica alle viscere degli spettatori, senza lasciare scampo. La recitazione è sicura e sensuale, lascia però intravedere qualche smagliatura nella dizione, con qualche inflessione non proprio teatrale.
Indovinata la scelta di puntare su una scenografia spoglia, su colori neutri, su costumi di scena semplici per dare priorità al testo e all’interpretazione.
È stata una piacevole sorpresa verificare che, contrariamente a quanto accade abitualmente, al Teatro I del Mattatoio c’era una grande partecipazione di pubblico giovanile. Da Napoli erano arrivati una decina di neo diplomati dell’Accademia del teatro Bellini. Ho chiesto loro se non erano spaventati dal futuro, considerato che la situazione del teatro in Italia non è certo tra le migliori. La risposta di Carlo Di Maro è stata lapidaria. “Il nostro è un fuoco che non si può spegnere”.
Mattatoio – Roma
Roma Europa Festival
12 e 13 novembre 2022
Penelope
Regia e drammaturgia: Martina Badiluzzi
Con: Federica Carruba Toscano
Progetto sonoro: Samuele Cestola
Disegno luci e scene: Fabrizio Cicero
Costumi: Rossana Gea Cavallo
Consulenza artistica: Giorgia Buttarazzi
Aiuto regia: Arianna Pozzoli
Ufficio stampa: Marta Scandorza
Curatore del progetto: Corrado Russo
Produttore generale: Pietro Monteverdi
Una produzione: Oscenica
In coproduzione con: Romaeuropa Festival, Primavera dei Teatri, Scena Verticale, Pergine Festival
Con il supporto di: La Corte Ospitale, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Carrozzerie n.o.t., Teatro del Grillo
Fotografia di Guido Mencari Photography
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