
È nelle librerie italiane da poco più di un mese, Perdersi, pubblicato in Francia nel 2001, avvincente racconto scritto in forma diaristica da Annie Ernaux, insignita del Premio Nobel per la letteratura 2022, [1] «per il coraggio e l'acutezza clinica con cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale».
Il diario proposto – sulla scia di un impianto letterario autobiografico anche nelle precedenti opere sviluppato in modo raffinato e convincente [2] – ripercorre senza censure, un intenso periodo, dal Settembre del 1988 all'Aprile del 1990, nel quale una donna appunta quanto accade e, con particolare slancio descrittivo, elabora il legame che auspica di stabilire incondizionatamente con un più giovane di lei uomo, un diplomatico dell'URSS che opera a Parigi, conosciuto durante un viaggio in Russia.
L'enfasi è sulla libido, sull'apparentemente insondabile attrattiva sessuale, tuttavia idonea, nel prosieguo del ménage, a rivelare alla donna, nel mentre scrive pagine che si rincorrono rimembrando l'espressione dinamica dell'istintività degli amanti, d'essere «una comparsa» nella propria stessa vita, d'essere subalterna all'uomo, distante e quasi ignoto, “doppio” nelle sue incombenze politiche di carriera e di marito, nondimeno acutamente agognato.
Il libro [3], oltre a risultare gradevolmente scorrevole con pagine che si susseguono pregne di suspense, è in grado d'accendere, sorprendentemente, un dibattito serio sull'attuale, sopraggiunta “globale” rappresentazione della condizione femminile, interpellando soprattutto le donne lettrici, quasi costringendole a “prendere posizione”, fino a coinvolgerle negli aspetti metaletterari ed extraletterari, filosofico-politici.
Perché questa attenzione onnicomprensiva ? Innanzitutto, perché l'autrice è schietta nel racconto, quindi suscita curiosità, viste le prevalenti vigenti convenzioni narratologiche alquanto paludate e prevedibili; a pagina 14 di Perdersi, infatti, scrive: «Nessuna prudenza da parte mia, nessun pudore, e anche, finalmente, nessun dubbio. Un cerchio si chiude, commetto gli stessi errori di una volta, e non sono più errori. Nient'altro che bellezza, passione, desiderio».
Non è irrisorio il rischio di banalizzare morbosamente la vis motrix erotica – essendo diffuse, per il tramite di massmedia differenti, molteplici stereotipate forme espressive, comunicative, artistiche e meramente spettacolari contemporanee mediante le quali viene declinato l'impetus – quando, confusamente, il suo ruolo-valore non trova, sul campo del relativo dibattito culturale, una stabile, affidabile, non anacronistica interpretazione.
La protagonista che scrive il diario è la stessa scrittrice che narra, giorno dopo giorno, avvenimenti privati generati dal contesto pubblico culturale entro il quale si muove ed afferma, esperienza dopo esperienza, il suo talento e il suo modo d'essere, costruendo relazioni, anche impegnative e carnali. Sono vicende intime, estrapolate da un caparbio, diuturno registrare, sulle pagine del diario, quanto ha luogo, circostanze da alcuni considerate scabrose – ritenute addirittura frutto avariato d'una «oscena ossessione erotica di una scrittrice impegnata», esempio di scrittura esplicita che «condensa tutto ciò che una donna emancipata non dovrebbe essere e fare. Visto dalla maestra dell'autobiografismo, il tema della dipendenza affettiva è più disturbante che istruttivo», come un recensore ha sentenziato [4] – vissute con impeto liberatorio e, tuttavia, in modo struggente e poeticamente levigato, offerte, con minuziose descrizioni, a chi si dedica alla lettura di Perdersi.
Ernaux ammette la piena e disarmata, conseguentemente disarmante, disponibilità al godimento, al perdersi con appagamento profondo. Mirabilmente comunica l'inoltrarsi in una breccia autodiagnostica, con sofferenza e forza, socchiusa e fieramente dichiarata, nei quaderni del «diario corrispondenti all'anno della [sua] passione per S. […] una figura dell'assoluto, di ciò che suscita il terrore senza nome» (Perdersi, pag. 11), dentro un febbrile perimetro emotivo proprio di un incontenibile desiderio che «[la] spinge alle lacrime, [ad avvertire] una fame assoluta di lui […] che [la] colma di piacere e al quale non [ha] più voglia di rimproverare una mancanza di intellettualismo» (Perdersi, pag. 18).
Leggendo il libro di 252 pagine, si nota una sincera ed accentuata messa in valore del “sentire”, non del sentimento, e dell'irrazionale che alloggia in ciascun essere umano, la dimensione “repressa” volendo usare il lessico freudiano. Tale misura del legame instaurato da Annie con S. – quest'ultimo «[…] dotato, probabilmente per necessità, di una naturale doppiezza […]» (Perdersi, pag. 19) -, prende il sopravvento, non necessariamente in modo nocivo per sé o per gli altri, in una rinnovata e personale, femminile, supremazia del dionisiaco nietzschiano sulla razionalità socratica del “conosci te stesso”.
Una decisa presa di distanza dal “logico” argomentato riconoscersi in primo luogo nelle rappresentazioni mentali che inquadrano quello che si è, ossia esseri che riflettono, nondimeno perdendo i contatti con la natura ibrida, comprendente la fisicità, l'érōs primordiale, per cui, inesorabilmente, un abisso separerà la “verità” personale dalla velleitaria aspirazione al “divino”, ad un “dover essere” figlio d'una costruzione culturale storicamente determinata. È proprio il sapere, la conoscenza, che permette all'uomo di conoscere se stesso e quindi di conoscere qual è il modo più adatto per vivere in modo soddisfacente oppure c'è un modo alternativo per consentire al desiderio – lo stato di tensione emotiva maschile e femminile che porta a cercare di raggiungere l'oggetto del proprio interesse o del proprio amore – d'essere praticato?
Come scrive Anna Loretoni, nell'incipit dell'articolo La libertà nel pensiero delle donne: autonomia e relazione, «lungo il versante che nelle società contemporanee vede profilarsi usi e abusi del concetto di libertà, va annoverata anche la questione relativa ai molti attacchi alla libertà nella sfera sessuale e riproduttiva delle donne» [5], anche la narrativa di Annie Ernaux, collocandosi in questo alveo di consapevolezza, sembra fare un salto in avanti nel rivelare l'importanza d'intraprendere la strada dello «sconvolgimento e impeto», con arguibili riferimenti al movimento culturale e letterario preromantico tedesco della seconda metà del Settecento, caratterizzato dall'opposizione all'intellettualismo illuministico.
In questa prospettiva metaletteraria ed extraletteraria, le pagine di diario di Annie Ernaux sono dirompenti nel senso autentico di un'esplosione di “verità”, d'una consapevole proposizione circa la libertà individuale declinata nelle molteplici diversità che abitano i modi d'essere donna. Nel riferire di sé, la scrittrice osa liberarsi dai costrutti, anche dagli impacci dell'ordine sia simbolico [6] che concretamente relazionale dato e si dona, come “corpo pensato” [7] (perché «i corpi parlanti hanno una parola corporea»), oltreché pensante [8] suggerendo atteggiamenti d'una complessiva rieducazione erotico-sentimentale a partire da convulsi – ma accertate come emerse e consapevoli esigenze – processi psicologici. Il diario stesso pubblicato è uno strumento, anzi, “lo” strumento atto a scandagliare con efficacia la passione, a commisurarla al mondo dei rapporti sociali necessitanti. Esplorare l'altro, esplorarsi non può che coinvolgere la sfera della corporeità e l'intero habiat esperienziale delle loro relazioni predilette perché ogni corpo è un corpo estraneo, segnato dall'irriducibile diversità e unicità, che inevitabilmente s'offre all'investigazione e alla bramosia dell'altro.
In Perdersi si ravvisa l'eco della “filosofia della differenza”, colta agli albori, quando Adriana Cavarero così imposta l'essenziale indagine sul vincolo dialettico maschile-femminile: «[…] la donna è l'universale uomo con “in più” il sesso femminile. Sappiamo bene come questa aggiunta non potenzi l'universale, ma anzi lo depotenzi: infatti il “di più” è piuttosto, e coerentemente, un “di meno”, ossia il neutro universale uomo meno il sesso maschile che è appunto il reale contenuto e la vera genesi di tale universalizazione […]» [9].
I corpi non smettono mai di esperire, provando gioia e soffrendo, tramite il tatto, il linguaggio, l'amore, il sesso, il “con” e il “tra” del nostro essere-in-comune. Quella del pensiero di Jean-Luc Nancy e del diaristico resoconto di Annie Ernaux è una coincidente concezione del “corpo pensato”, anzi, una vera e propria ontologia corporea, in cui gli esseri viventi vengono a collimare con il loro corpo, con il loro essenziale essere corpi [10].
Se nel Diario del seduttore, di Søren A. Kierkegaard (20 Febbraio 1843), la catarsi coincide nella sua strategia basata sul disorientamento dell'amata, che sarà costretta a smarrirsi e infine a perdersi, Annie Ernaux declina il “perdersi” con la manifestazione senza riserve della più autentica femminilità, non più appartata, segregata, coartata in forme estetico-sociali, bensì nitidamente ed anche aspramente mostrate, nonostante l'esito incerto di queste pratiche, senza curarsi di un orizzonte che potrebbe prefigurarsi come anomia. In questa guisa, la scrittrice francese dimostra d'essere capace di compiuta autonomia, di quell'essere sufficienti a se stessi, ma ciò per cui e in cui ella basta a se stessa non è più una “proiezione”, decidendo di far godere un uomo con ogni parte del suo corpo. Si conviene, solitamente, sul fatto che è sempre augurabile che una donna abbia la libertà, ma non sempre si ritiene ipocritamente auspicabile l'occasione di servirsene. Annie Ernaux sostiene, nel suo esporre che è un esporsi, che la libertà è servizio senza asservimento, come l'ipotesi antropologica che pone l'inizio della civiltà umana nell'atto del prendersi cura, vicendevolmente, secondo la propria indole, e in modo sublime perché generoso.
Va ricordato che la “libertà” è stata al centro della riflessione femminista, e più in generale degli studi di genere, a partire dal femminismo della seconda ondata, legato all'introduzione del concetto di genere all'interno delle agende di ricerca delle diverse discipline e alla riflessione intorno alla differenza sessuale [11]. La critica femminista ha inteso quindi affrontare la contraddizione tra eguaglianza formale e disuguaglianza reale, per spiegare e trasformare una realtà così distante dalla legge scritta. È proprio nella distanza tra le enunciazioni di principio e la realtà della condizione delle donne, che vengono a costituirsi il linguaggio e la pratica delle differenze di genere. dualità di genere, ritenendo falsamente “neutra” la nozione di “genere umano”, nella quale, in realtà, vedono l'omologazione del sesso femminile a quello maschile, diretta a conservare, anche dietro le affermazioni della “universalità dei diritti”, le condizioni reali di svantaggio del sesso femminile e di subordinazione della donna all'uomo. La sottolineatura teorica della differenza di genere ha portato il pensiero femminile a riconoscere la differenza come valore [12].
Dunque, oltre all'indiscutibile qualità letteraria, alimentata da un lessico incisivo, fotografico, di “Perdersi” di Annie Ernaux va apprezzato il riuscito tentativo di fuoriuscita dallo stereotipo, a quarantasei anni da Delta of Venus [13]. Il linguaggio del testo è intriso di tutti gli idiomi delle contraddittorie forme di vita e se ne appropria con pronunciamenti chiari ripetuti dall'autrice nella ritualità introspettiva della scrittura diaristica, con una avidità di comprensione, mai dissennata, anzi selettiva e raffinata; essa, dai contenuti immanenti all'animo riesce a trascendere, a socializzare il percorso interiore con evidenti segni di uno straordinario impegno, quasi violento a testimonianza di un travaglio, linguistico-formale è evidente, ma anche psicologico, dell'autrice, confermando l'alto pregio del suo percorso letterario.
Non è nelle intenzioni dello scrivente introdursi in un “discorso tra donne”, ma, conclusivamente, non può esimersi dal dichiarare il parziale disaccordo con quanto esposto in una approfondita recensione di Federica Gregoratto [14] che sostiene, motivatamente, l'idea che ci «sono delle ragioni per cui moltissime donne continuano a stare in relazioni abusive, disfunzionali, o semplicemente deludenti» in affinità con quanto detto da Manon Garcia, in Sottomessa non si nasce, lo si diventa (nottetempo, 2023), lavoro dedicato a uno degli aspetti più significativi della vita quotidiana delle donne nelle società patriarcali. Gregoratto incalza l'autrice di Perdersi affermando che il libro «ha l'ingenua arroganza, e dunque la pretesa di verità, di un filmino porno amatoriale, girato nel corso di un anno», interpretando «il desiderio sessuale – testimoniato con vero trasporto, a nostro giudizio, da Annie Ernaux – [come uno stazionare] sul confine del nulla, e la scrittura dice di questo confine, o dello spazio tra eros e morte», come se «il bisogno fondamentale di unione, il terrore dell'abbandono» non siano “fatti” femminili, bensì sciatteria descrittiva, una sorta di «autopunizione, allo stesso tempo inflitta alle lettrici e ai lettori». Ripiegando su se stessa, Gregoratto ammette, attingendo a Platone, Hegel, Lacan, che il desiderio «si nutre di un'assenza, non si può desiderare quello che abbiamo, e già siamo. L'essenza del desiderio è una non-essenza, è assenza», affidando alla scrittura il compito di “sublimare”, in senso psicoanalitico, il desiderio. Dimenticando che l'opera è strutturata come un diario, Gregoratto insegue un messaggio che, a nostro avviso, non può esserci, in quelle specifiche pagine, Gregoratto cerca il “sociale”, il “politico”, il “mondo esterno” e pare non ravvisarli. «Il desiderio disperato e impossibile di Ernaux la fa aggrappare ad una figura che non c'è più, e forse non è mai stata», scrive Gregoratto.
Notiamo invece, una radicalità politica nell'assenza di interlocuzione significativa con S. al quale la scrittrice francese dedica riferimenti sommari al vissuto ed alla personalità. Inoltre, il donarsi della donna “femminista e scrittrice” nella forma di assoggettamento ed ubbidienza è l'apoteosi dell'attuale sconfitta delle figure maschili che sorvolano, vanno altrove, annegano nelle coazioni a ripetere, cristallizzandosi, non evolvendo insieme alle figure femminili.
È, per quanto espresso, un'opera che andrebbe proposta a tutte le adolescenti, poiché risulta influenzata da intuibili fattori di sensibilità, abilità d'auto indagine, cultura a tutto tondo, frutto maturo di una complessa fusione o coesistenza di linguaggi ed esperienze, in un desertico panorama sociale che ha anestetizzato le persone in età evolutiva. Perché, infine, è necessario “perdersi”, non solo per eventualmente “ritrovarsi”, ma soprattutto per la valenza morale del “pensarsi”.
Giovanni Dursi
Annie Ernaux
Perdersi
traduzione Lorenzo Flabbi
L'orma, 2023
pagine 252
€ 21,00
[1] Annie Ernaux è nata a Lillebonne nel 1940 ed è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell'autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettrici e lettori. Tra le più interessanti intellettuali del panorama letterario contemporaneo, attenta indagatrice di temi autobiografici e dotata di una competenza disarmante nell'analizzare – con una prosa scarna e scevra da soggettivismi che è una delle sue cifre stilistiche – i temi della perdita, dei vincoli familiari e della difficoltà dei processi di crescita individuale e sociale. Nel 2022 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura. Ha esordito con il romanzo Les armoires vides (1974; trad. it. 1996), cui ha fatto seguito una vasta e raffinata produzione dove i temi intimisti si alternano e si intrecciano a potenti sintesi storiche e sociologiche, all'interno della quale occorre citare almeno La femme gelée (1981; trad. it. 2021), La place (1983; trad. it. 2014), Une femme (1988; trad. it. Una vita di donna, 1988), Je ne suis pas sortie de ma nuit (1997; trad. it. 1998), La honte (1997; trad. it. 2018), L'événement (2000; trad. it. 2019), Se perdre (2001; trad. it. 2023), Les années (2008; trad. it. 2015, Premio Strega Europeo 2016), L'autre fille (2011; trad. it. 2016), Regarde les lumières mon amour (2014; trad. it. 2022) e Mémoire de fille (2016; trad. it. 2017); è del 2022 anche la pubblicazione del racconto Le jeune homme (trad. it. 2022).
[2] È avvilente leggere articoli irrispettosi e di scarsa padronanza della materia, quali quello di Mariarosa Mancuso, Annie Ernaux, tanta autobiografia e un cuore messo a nudo, anche troppo, su Il Foglio quotidiano online, 6 Ottobre 2022.
[3] Annie Ernaux, Perdersi, traduzione di Lorenzo Flabbi, L'ORMA Editore, 2023.
[4] Cfr. Jonathan Bazzi, “Perdersi”, di Annie Ernaux: l'oscena ossessione erotica di una scrittrice impegnata, su Domani online, 16 Ottobre 2023.
[5] Cit. La libertà nel pensiero delle donne: autonomia e relazione, Pandora Rivista online, 13 Aprile 2023.
[6] Rif. Luisa Muraro, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, 1991.
[7] Rif. Francesca Recchia Luciani, Jean-Luc Nancy, a cura di Massimo Recalcati, Feltrinelli, 2022.
[8] Rif. Tood Mabel E., Il corpo pensante. Equilibrio e dinamica del movimento umano, 1937, curatori Basile S. e Scorrano S., Gremese Editore, 2017.
[9] Cit. Adriana Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, in AA VV, Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, 1991, La tartaruga, 2003, pagina 48. È doveroso fare riferimento alla preziosa attività svolta dalla comunità filosofica femminile, Diotima, che opera da anni presso l'Università degli Studi di Verona; dalla Presentazione del web site riportiamo passaggi significativi: «“Fare Diotima” significa attività le più varie e altrettanto essenziali: la cura per le relazioni, innanzitutto, che è la sostanza della nostra pratica filosofica e politica, e il continuo sforzo di portare a parola ciò che siamo, ciò che facciamo, agiamo e patiamo singolarmente e con altre e altri, il mondo in cui siamo e siamo intricate nella condizione e in forza della differenza sessuale che ci segna. Il taglio della differenza che abbiamo assunto e quel che ha prodotto è stato messo sotto il titolo di “il pensiero della differenza sessuale”, che in effetti è il titolo del nostro primo libro, ma per noi che siamo andate facendolo è stato piuttosto un “pensare della differenza sessuale”, non un chiuso castello di teorie, ma un luogo simbolico dove si sono trovate parole e sono andati formulandosi discorsi che ci rispondevano finché aprivano il senso della nostra esperienza e del mondo, non quando viceversa pretendevano di conchiuderlo».
[10] Rif. op. cit. Jean-Luc Nancy e Perdersi.
[11] Si veda V. Held, Etica femminista. Trasformazioni della coscienza e famiglia post-patriarcale, Feltrinelli, 1997, e op. cit. La libertà nel pensiero delle donne: autonomia e relazione.
[12]Il punto di vista femminista, nel momento in cui viene a delinearsi nell'orizzonte politico-culturale dei paesi dell'Occidente, può contare su alcune importanti riflessioni e prese di posizione dei decenni precedenti, che esprimono un'istanza di emancipazione che va oltre la semplice eguaglianza. Due nomi emergono su tutti, quelli delle scrittrici Virginia Woolf (1882-1941), autrice tra l'altro di Una stanza tutta per sé e Le tre ghinee e Simone de Beauvoir (1908-1986), autrice tra l'altro di Il secondo sesso (1949).
[13] Il delta di Venere è un libro scritto da Anaïs Nin composto da racconti erotici, pubblicato nel 1977. Con traduzione di Delfina Vezzoli, edito da Bompiani nel 2017.
[14] Federica Gregoratto, Desiderare il fantasma. Sul femminismo ‘negativo' di Annie Ernaux in Perdersi, per la Rubrica L'amore ai tempi del neoliberalismo sul web site “Le parole le cose². Letteratura e realtà”, 15 Novembre 2023
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