Peter Stein e Maddalena Crippa: Il compleanno di Harold Pinter

Alessandro Sampaoli Maddalena Crippa Alessandro Averone Emilia Scatigno e Gianluigi Fogacci in Il Compleanno
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Avere Peter Stein a Milano è un evento. La città ha risposto in modo adeguato. Il teatro era pieno, rumoroso, vitale. C’erano giornalisti, gente di teatro, gente comune, la Milano bene. Ma c’erano pochi giovani. Erano tutti in attesa de Il compleanno di Harold Pinter nella versione del maestro Peter Stein. Prima dell’inizio Stein era seduto al bar circondato da amici, regale nella sua presenza imbiancata dagli anni. Mi ero preparato anche fisicamente all’evento, riposando il pomeriggio. Temevo di non reggere tre ore di spettacolo. Eppure magia delle magie Stein è riuscito a far scorrere quelle quasi tre ore in modo fluido, senza inciampi.

Sul palco c’erano attori di gran classe. Maddalena Crippa è una certezza, colonna portante del teatro, insieme diva e amichevole interlocutrice, splendida attrice. Gianluigi Fogacci era al meglio della forma. Ma a sorprendermi è stato soprattutto Alessandro Averone, totalmente nella parte, totalmente e splendidamente folle nell’interpretare Stanley, anima dannata in cerca della libertà che alla fine come ne Il processo di Franz Kafka sarà condannato. Non è importante e non si sa bene da chi. Il testo non lo spiega. Lo condannano dei mafiosi? Lo condannano dei preti? Non lo sappiamo, ma quello che appare chiaro è che Stanley rappresenta il desiderio di ribellione in una società che ai tentativi di libertà si oppone.

Peter Stein
Peter Stein

Stein con Pinter mette in scena i dilemmi della nostra società. Lo fa con un’operazione filologicamente e artisticamente ineccepibile, accurata, che mette in luce snodi e svincoli del lavoro di Harold Pinter, la sua complessità, senza per questo annoiare lo spettatore con inutili giravolte e artifici scenici che poco o nulla hanno a che vedere con l’opera, e che a volte artisti e registi mettono in campo esclusivamente per celebrare se stessi.

Opera complessa Il compleanno di Pinter che attinge a piene mani dalle dimensioni claustrofobiche di Kafka e al teatro dell’assurdo. Venata di un sottile fatalismo che sembra alludere all’impossibilità per ognuno di noi di sfuggire al proprio passato. Stanley infatti verrà raggiunto da visi, emozioni e fatti, che sembrava essersi lasciato alle spalle e che ancora lo terrorizzano.

Peter Stein fa ancora una volta centro. Sul palco si vede una compagine di attori e attrici meravigliosamente affiatati, di una qualità interpretativa da lasciare a bocca aperta. È il metodo Stein. Il regista nella sua idea di teatro collettivo raduna gli attori per settimane nello stesso luogo, nello stesso ambiente per una vita comunitaria in cui domande, contraddizioni, proposte, trovano spazio e risposte, per poi confluire nell’opera teatrale in preparazione.

A spettacolo concluso ho incrociato Enza Pineda. Le ho ribadito che quest’anno la programmazione del teatro Menotti, di cui lei è presidente, è tra le migliori che si possano avere a Milano. Non è la prima volta che glielo dico, e ogni volta sembra fare le fusa come un grosso gatto sornione.

Stanley invece non è un gatto sornione. È arrabbiato, tenta di scappare dalla menzogna di Meg che, insieme al marito Petey, gestisce la pensione in cui abita. Meg e Petey vivono una vita in cui non c’è nessun confronto, nessuno scontro con la realtà. La realtà sembra ignorata. Meg è una donna che vive in un suo mondo di apparenze. Personaggio rimbambito, magistralmente interpretato da Maddalena Crippa, Meg è esclusivamente interessata alle sue colazioni, al rapporto di seduzione con uno Stanley recalcitrante. Petey sembra esclusivamente impegnato a leggere il giornale, le buone notizie che questo riporta. Si tratta di vite che scorrono senza colpo ferire, senza la capacità di accostarsi ad altro che non siano spente routine. Sono personaggi che fanno da specchio alla nostra inettitudine, alla nostra incapacità di prendere posizione, di parteggiare.

I personaggi sul palco sono delineati e caratterizzati con precisione. La giovane attrice Emilia Scatigno mette al servizio del personaggio Lulu una perizia in grado di renderne il candore e la sciocca ingenuità. Gianluigi Fogacci dà vita a un Goldberg ricco di sfumature, ambiguo, sottilmente violento. È accompagnato da Mc Cann interrpretato da Alessandro Sampaoli, che nella propria recitazione mette una fisicità inquietante, intimidatoria nei confronti del povero Stanley che alla fine dello spettacolo sarà scortato via, per una fine che possiamo presumere ma che non conosciamo, una fine sicuramente funesta.

Quello di Pinter è un testo che lascia senza speranza. Sembra quasi reclamare e stimolare la ribellione, ma accampagna questa spinta alla consapevolezza che la sconfitta è o sembra essere dietro l’angolo.

Maddalena Crippa e Alessandro Averone in Il compleanno
Maddalena Crippa e Alessandro Averone in Il compleanno. Foto Tommaso Le Pera

A sipario chiuso con Alessandro Averone e Maddalena Crippa.

Alessandro Averone a fine spettacolo si rilassava sulla porta del teatro, intrattenendosi con gli estimatori, disponibile e accogliente. Gli ho rivolto qualche domanda.
Chi è Peter Stein? Come è andata un mese e mezzo  con lui a San Pancrazio dove vi siete ritrovati per le prove?
Non hai mai l’impressione di avere davanti una persona che ha una verità che gli viene dall’alto e tu sei un povero cretino. È una persona che crea insieme a te, ovviamente ha il linguaggio scenico, una sapienza, un talento e uno studio dietro, delle competenze, e una capacità di lettura dei soggetti, dei sottotesti, dei testi, che senti di essere in mani super fidate. Lui ti richiede di creare il personaggio insieme. Chiede a te delle proposte sulle quali lui lavora, e ti accompagna. Quindi, alla fine la creazione di un personaggio è sempre condivisa. Non sei mai partecipe di qualche cosa che non è tuo. Per me è il modo migliore di lavorare.
Nell’intervista che mi concesse due anni fa disse “Io metto in scena i libri perché voglio capirli”. Tu cosa hai capito da questo testo?
Ho capito una cosa che mi rende ancora più fiero di interpretarlo. È un testo di denuncia molto forte contro qualsiasi tipo di sistema coercitivo che cerca di levarci la personalità, di omologarci. È una metafora della nostra società. Siamo in un momento in cui sono usati strumenti per convincerci, per plasmarci di cui non ci rendiamo neanche pienamente conto. Questo è molto presente nel testo. Oltre al piacere di fare un personaggio che amo tantissimo, perché è folle, perché ha una ribellione, c’è il sentire che questo lavoro ha un valore civile.
Mi stai dando una chiave di lettura importante perché ho fatto fatica a capire il testo.
Il testo è è complicato. Il fatto di vederlo in scena, di vedere delle dinamiche ti aiuta. Molte parti rimangono anche un po’ oscure. Perché non c’è una necessità di spiegarle del tutto. Vedi concretamente cosa succede quando una persona è vittima di un potere.
Lo spettacolo dura quasi tre ore. Come ti prepari fisicamente per questo tour de force?
Diciamo che anche a causa dell’avanzare dell’età mi scaldo fisicamente, perché altrimenti con la schiena mi ritrovo un po’ a terra. Però emotivamente devo dire che il lavoro con i compagni è talmente bello che ci si aiuta, ci si scalda in scena. Il fatto di iniziare lo spettacolo insieme porta a temperature anche un po’ scomode che però sono anche molto belle.
Vuoi dire qualcosa ai lettori e agli spettatori?
Venite a vederlo perché è un bello spettacolo.
Mi sono guardato attorno e ho visto solo persone di una certa età. È un limite del teatro quello di non riuscire a richiamare i giovani?
Dipende anche dal lavoro che si riesce a fare su un territorio con un teatro. Io penso che sia molto importante riuscire ad avere un’identità forte come struttura, e di questi tempi è difficile. Bisogna cercare di educare la gente, di portarla a teatro, in maniera tale che il teatro sia un posto che li riguarda, che parla di cose loro. Nel pubblico più giovane c’è una disabitudine.

Con Maddalena Crippa mi sono trattenuto più a lungo. Era da tempo che desideravo incontrarla. Per un improvviso malessere tempo fa ero dovuto scappare da teatro ma questa volta ce l’ho fatta.
C’è una domanda con cui abbiamo iniziato la nostra conoscenza. Pensavo di non fartela, ma considerato che sono passati due anni dalla prima intervista, e che noi siamo in costante cambiamento, te la ripropongo. Chi è Maddalena Crippa dopo due anni di Covid e di pandemia?
Chi sono? Sono una donna di sessantacinque anni che in questo momento è molto felice dell’opportunità che ha avuto di un lavoro così profondo, così bello e soprattutto di ritornare a Milano, perché io sono molto legata a Milano. È tanto che mancavo. Sono felice nonostante il periodo molto difficile per tutti. Perché è un periodo in cui non si può stare tranquilli. C’è una minaccia costante intorno a noi, basta vedere il clima. Non è qualcosa che può tranquillizzarti o farti felice il fatto che vai fuori con la maglietta a maniche corte a fine ottobre. Perché qualcosa è compromesso veramente nel clima. E poi la guerra, e poi i prezzi. E poi… In particolar modo sento fortissima una minaccia alla cultura, specialmente in Italia. Io non guardo mai la televisione. Mi è capitato di accenderla e rimanere basita da quello che viene fuori, come volgarità, come bruttezza. È come se tutto fosse spinto in basso. E in qualche modo il testo che noi facciamo, parla di questa omologazione totale nella nostra società.
Chi è Stanley?
Stanley è un ribelle, qualcuno che comunque in qualche modo non si piega. Stanley è uno che lotta fino alla fine per non entrare in questa omologazione assoluta.
Alla fine è sopraffatto.
Certo che è sopraffatto. Alla fine lo portano via, forse non lo ammazzano. Ma certo la sua ribellione o la sua originalità o la sua particolarità è completamente eliminata, azzoppata.
Non è un puro Stanley. In una delle scene tenta di abusare della giovane Lulu. Ha luci e ombre.
Ma certo che ha luci e ombre. Chi dice che Stanley è un puro? Nessuno.
Tentavo di trovare le giuste coordinate di quello che ho visto.
Hai avuto la possibilità di scoprire un autore e di capire un testo dall’inizio alla fine. Questa è una cosa che oggi è quasi impossibile.
Credo che abbiate avuto la straordinaria capacità di rendere il testo accattivante, di renderlo vivo, di renderlo pulsante. Non è semplicemente un’operazione intellettuale, è anche una operazione piena di pathos, di capacità di comunicare.
Per questo è importante che la gente veda questo lavoro. Perché è un lavoro che non si fa più. E questa è la grandezza di Peter [Peter Stein il regista, ndr], che sta al servizio di Harold Pinter, e lo sa rendere parola per parola. Lo rende trasparente, lo rende vivo. È un lavoro sugli attori. Perché è un gioco di pingpong, di tennis, di botta, di reazione, di risposta. È precisissimo.
Sono convinto di quello che stai dicendo. In mano a un altro regista questa pièce sarebbe stata di una noia mortale. Non con Peter Stein.
Non lo so di una noia. Ma questo è un lavoro che non fa più nessuno. Perché la maggior parte delle persone di teatro oggi hanno delle idee e invece di scrivere un testo per esprimere le loro idee, prendono un testo di Pinter e lo piegano alla loro idea. Qui non c’è un’idea di Stein. Qui c’è uno Stein che serve, che sa servire Pinter, perché ne ha i mezzi. Se no non lo fai. Perché dobbiamo fare Pinter? Però se fai Pinter deve uscire Pinter, la forza di Pinter. Io pure da ignorante quale sono non l’avevo mai fatto, non lo conoscevo, e non sospettavo che fosse questo. Perché poi, un testo teatrale se tu lo leggi ne hai una comprensione al cinquanta per cento. Lo capisci al cento per cento solo quando lo metti in scena. Ma come lo metti in scena? Stein lo presenta integralmente. C’è una cura incredibile anche nella traduzione, un rispetto. Non è tagliato niente, zero.
Possiamo dire che sia il trionfo del metodo Stein che si mette al servizio dell’opera teatrale, che vi raggruppa con la sua idea di teatro collettivo per un lungo periodo tutti insieme, a fare comunità, per trovare l’amalgama giusta prima di entrare in scena.
Ma certo. Sì. Perché tutti noi avevamo già lavorato con lui. C’era solo una debuttante ed era Emilia Scatigno, la Lulu. Alessandro Sampaoli che interpreta Mc Cann non aveva già fatto uno spettacolo ma aveva fatto il corso. Aveva fatto a San Pancrazio il corso di un mese su Pinter.
Per circa un mese e mezzo siete stati tutti a San Pancrazio per le prove, attori e regista, in una sorta di ritiro comunitario.
Per cui tutti quanti conoscevano Peter, conoscevano il suo modo. È stato veramente un modo di lavoro splendido.
Ho trovato eccezionale Alessandro Averone nella parte di Stanley. D’altronde è raro trovare un gruppo teatrale così affiatato, così potente sul palco. La full immersion a San Pancrazio si vede, ha dato ottimi risultati.
Questo sì. Sì, perché se tu vuoi parlare a una comunità di persone l’esperienza della comunità la devi fare, se no di che cosa parli alle persone? Per questo, oltre al dato artistico che è importante, è altrettanto importante il lato umano. È davvero raro che ci sia questa armonia, un’armonia che è stata resa possibile da San Pancrazio, dove c’è una vita insieme dalla mattina alla sera. Praticamente non c’è nessuno che va a casa, si sta tutti lì. C’è una condivisione reale, un aiuto reale, un ascolto, un racconto, una conoscenza.
Arrivando a teatro ho sentito sussurrare “ma sai Peter Stein ha maltrattato i giornalisti”. Allora mi sono andato a rileggere alcuni passi del libro intervista a Stein scritto da FogacciUn’altra prospettiva”. Stein parlando di sé dice “la mia proverbiale aggressività e litigiosità”. A fine spettacolo ho incontrato Alessandro Averone che a proposito di Stein ha usato alter parole “È una persona delicatissima, attenta, capace di ascoltare, ti guida. È un vero maestro. Chi è Peter Stein?
È un grande regista, un uomo che ha avuto un’infanzia… se tu hai letto il libro, forse lo puoi capire.
Un’infanzia difficile.
Un’infanzia sicuramente difficile. Lui ha fatto la fame, è stato in sanatorio, ha visto morire la gente per strada, è fuggito. Ha un carattere difficile. Certo non è né diplomatico né accomodante. Per cui è vero l’uno e l’altro. Lui è delicato, generoso, umanissimo. E può essere anche… Se lui ti colpisce verbalmente è una cosa che te la ricordi per tutta la vita.
Ogni nostra esperienza porta qualcosa di nuovo, una nuova comprensione. D’altronde lo dice anche Stein “Un testo teatrale lo metto in scena perché voglio capire attraverso gli attori che sono il mio strumento”. Tu che cosa hai capito? Hai capito qualcosa di nuovo? O hai semplicemente riconfermato vecchie idee?
Ma no. Io adesso sono oltre. Nel senso che sono molto felice e soddisfatta di questa esperienza e di stare al servizio. Per me questo è più importante del protagonismo. Questa dimensione di lavoro per me è quella giusta, è quella vera. Per cui non è necessario essere Medea tutte le volte che fai teatro. Va benissimo fare Meg insieme a tutti questi miei colleghi, portare il mio apporto dentro un ensemble. Questo è un lavoro di questo livello.
Sei stata una Meg straordinaria, questa donna svampita, assolutamente non aderente alla realtà, un po’ rimbambita.
Totalmente. [Ride di gusto]. È stata anche una grande liberazione per me.
Certo passare da Medea.
A questo punto della mia carriera l’ego è caduto, per cui non me ne frega niente. Io all’inizio non sono assolutamente truccata proprio zero, e va bene così. C’è bisogno di questo? E questo è quello che si fa. Poi io di ruoli comici non è che ne abbia fatti tremila nella mia vita.
Tu sei una delle grandi del teatro italiano. [A queste parole si schernisce. Io continuo con la domanda] Chi potrebbe essere una erede di Maddalena Crippa?
Arianna Scommegna.
[
Lo dice senza esitazioni. Così come non ce ne sono nella mia risposta] Sono perfettamente d’accordo con te.
Ecco. Quella c’ha tutto.
Ci sono tante brave attrici, ma io di Arianna Scommegna sono innamorato. Trovo abbia una marcia in più. È favolosa quando è in scena. Ed è di una simpatia rara anche fuori dalla scena.
Sì. Proprio per questo ti parlo di lei. Lei è proprio duplice, è un’artista che ha tutti i mezzi e le frecce al suo arco, in più ha anche un’umanità straordinaria. Siamo proprio amiche. Lei è stata a Pancrazio per Il ritorno a casa di Pinter in cui ha lavorato con Peter. Però era venuta già prima anche con suo figlio alle nostre Pasque.
Sono perfettamente d’accordo con te. Sul teatro potremmo anche avere delle idee diverse, ma sulla Scommegna assolutamente no. Hai nuovi progetti finita questa tournée con Stein a Milano? Tra l’altro complimenti al Menotti per essere riusciti a portarvi a Milano.
Infatti, chapeau a Emilio Russo e Enza Pineda, insomma complimenti al Menotti. Non è facile trovare chi investe in un progetto del genere oggi. Tornerò a Milano perché faccio una cosa con l’Orchestra Verdi e la compositrice Silvia Colasanti. Facciamo Le Eroidi. Il libretto è tratto da queste eroine. Poi sarò al Gerolamo a fare una lettura del testo integrale di Josep Maria Miró, questo catalano molto bravo, “Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti”.
Il Gerolamo è piccolo. Passi dai grandi ai piccoli teatri.
È un po’ come se fossi nata al Gerolamo. Dopo il Campiello feci uno spettacolo al Gerolamo, Italiani si muore. Era un collage molto bello.

Gianfranco Falcone

Teatro Menotti – Milano
27 ottobre| 13 novembre
durata: 100 minuti I e II atto – 15 minuti intervallo – 30 minuti III atto

Il compleanno
di Harold Pinter
Traduzione di Alessandra Serra
Regia di Peter Stein
Assistente alla regia Carlo Bellamio
Scene Ferdinand Woegerbauer
Costumi Anna Maria Heinreich
Luci Andrea Violato
Assistente alla produzione Cecilia Negro
Produzione Tieffe Teatro Milano/TSV-Teatro Nazionale/Viola Produzioni srl

con
Meg Maddalena Crippa
Stanley Alessandro Averone
Goldberg Gianluigi Fogacci
Petey Fernando Maraghini
Mc Cann Alessandro Sampaoli
Lulu Emilia Scatigno

 

 

 

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