
Si è scritto qua e là che con Peter von Kant (2022), François Ozon rifà Fassbinder, solo perché si ispira alla pièce Le lacrime amare di Petra von Kant (1971) e al bellissimo film che ne aveva tratto lo stesso Rainer Werner Fassbinder (1972). Ma a me sembra che in realtà Ozon, come era già accaduto 23 anni fa con Gocce d'acqua su pietre roventi, non abbia rifatto nessuno ma abbia fatto semplicemente un nuovo Ozon. Lo mostrano il linguaggio, il découpage, la fluidità di un film che sembra durare poco più di mezz'ora tanto è serrato, spasmodico. Sappiamo dai biografi, dai commentatori e dall'entourage del regista che Fassbinder aveva dissimulato sé stesso nella stilista Petra von Kant e il proprio tormentato amore per Günther Kaufmann in quello che la protagonista della pièce vive per Karin, travestendo l'omosessualità maschile in lesbismo, in un gioco di maschere. Ad un primo livello, certo, Ozon ha tolto la maschera femminile a von Kant per mostrare la fisionomia di Fassbinder che vi si celava e così la stilista di successo diventa un regista di successo (il che, nel 1972, Fassbinder non era ancora; e infatti nel film di Ozon ci sono riferimenti al progetto abortito con Romy Schneider, che risale a 6-7 anni dopo, quando ormai Fassbinder era Fassbinder) e Peter von Kant una sorta di ritratto del geniale autore di In un anno con 13 lune, che si ispira, più ancora che a Petra von Kant, allo splendido, impietoso autoritratto dello stesso Fassbinder nel suo episodio di Germania in autunno. La performance di Dénis Menochet è magistrale perché non si riduce a calco, a imitazione della mimica e della fisicità di Fassbinder ma lo incarna, ne decanta – reinventandola – quella rabbiosa, virulenta fragilità che l'attore-regista metteva in mostra con tanto coraggio, spregiudicatezza e sprezzo di qualsiasi decoro in quei venticinque minuti.

Ma questi elementi biografici, in fondo, importano fino ad un certo punto. Quello che conta, a mio parere, è che Ozon abbia saputo impossessarsi del testo e della biografia di Fassbinder per fare un film forte, impietoso, sincero, sulla chimica autodistruttiva del possesso di un corpo amato, possesso scambiato per amore, con tutte le correnti informi di isteria, rancore, furore (anche verso i malcapitati terzi, come la diva Isabelle Adjani e la madre Hannah Schygulla, che passano di lì per caso) violenza, disperazione, infantilismo, egocentrismo ferito etc. etc. E a margine di questo, Ozon ha disegnato una riuscita silhouette dell'amore esclusivamente masochista (vedi Karl, ispirato a Marlene, che deriva il proprio piacere dal farsi trattare come uno scendiletto).
Un bel contrappunto caricaturale, rispetto a Menochet, è dato dalla presenza autoderisoria di Adjani e dall'intensità materna della Schygulla (che era l'amante Karin nel film del 1972) e molto efficace l'ambientazione in uno spazio che corrispondeva alle cucine di un orfanatrofio a Ivry sur Seine, riadattato con la scenografa Katia Wyszkop. Ultima nota: bisogna sapere che Ozon teneva così tanto a questo progetto che l'ha prodotto lui stesso: «Mi ha permesso di parlare di Fassbinder – e per effetto specchio, anche di me stesso. Si trattava di tradire Fassbinder per trovarlo meglio e ritrovarmi in una storia universale di passione amorosa, più che mai d'attualità, mettendo in discussione il rapporto di dominio, influenza e sottomissione nella creazione, il rapporto musa/pigmalione».
Roberto Chiesi
Peter von Kant
Lingua originale: francese e tedesco
Paese di produzione: Francia, Belgio
Anno: 2022
Durata: 85'
Rapporto: 2,35 : 1
Regia: François Ozon
Soggetto: liberamente tratto da Le lacrime amare di Petra von Kant, di Rainer Werner Fassbinder
Sceneggiatura: François Ozon
Produzione: FOZ con France 2 Cinéma, Playtime, Scope Pictures e la partecipazione di Canal+, Ciné+, France Télévisions, Cofinova 17, Indéfilms 10, La Banque Postale Image 14, Palatine Étoile 18, Cinéaxe 3, Cinémage 16 e Centre national du cinéma et de l'image animée
Distribuzione in italiano: Academy Two
Fotografia: Manuel Dacosse
Montaggio: Laure Gardette
Musiche: Clément Ducol
Scenografia: Katia Wyszkop
Costumi: Pascaline Chavanne
Parrucchiere: Franck-Pascal Alquinet
Trucco: Nathalie Tabareau-Vieuille
Interpreti e personaggi
Denis Ménochet: Peter von Kant
Isabelle Adjani: Sidonie von Gassenab
Khalil Gharbia: Amir Ben Salem
Hanna Schygulla: Rosemarie von Kant
Stefan Crepon: Karl
Aminthe Audiard: Gabriele von Kant
Margit Carstensen: Petra von Kant (voce) (scene d'archivio)
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