
Il 21 giugno di ogni anno in più di 120 nazioni nel mondo si celebra il solstizio d’estate con la Festa della Musica.
Nata in Francia nel 1982 su iniziativa del Ministero della cultura francese, la Festa si è rapidamente diffusa in Europa e nel mondo accentuando sempre più il proprio valore sociale e la propria funzione di promozione e diffusione delle musiche senza distinzione di generi e di occasione di integrazione e aggregazione.
Il Teatro Franco Parenti, nel magnifico spazio all’aperto dei suoi Bagni Misteriosi (ottenuto grazie alla sapiente ristrutturazione del Centro Balneare Caimi chiuso nel 2007 e oggi restituito alla città di Milano con due grandi piscine e una serie di spazi multifunzionali), ha voluto celebrare la Festa della Musica di quest’anno con un concerto dalle grandi ambizioni intitolato Da Bach a Bowie.
Presenti sul palco: l’orchestra d’archi I virtuosi italiani diretti dal compositore e arrangiatore Paolo Silvestri, da anni impegnato a sperimentare e coniugare differenti linguaggi musicali; il poliedrico trombettista Paolo Fresu, musicista tra i più apprezzati per la capacità di calare l’inconfondibile timbro del suo strumento nei mondi sonori più disparati; la cantante e vocalista Petra Magoni, eclettica interprete di musica colta e contemporanea dalle sorprendenti doti canore.
Programma e artisti facevano legittimamente confidare in una serata di grande musica. Purtroppo così non è stato. Personalmente non amo le contaminazioni fra i vari generi musicali e non ritengo che per affermare l’universalità del linguaggio musicale sia necessario mischiare la musica classica con il jazz o reinterpretare in chiave jazzistica (o pseudo tale) le romanze dell’opera lirica. Tanto meno ritengo che questo sia il modo migliore per avvicinare il pubblico alla musica. Penso, al contrario, che si finisca così per rendere, molto spesso, un cattivo servizio sia al pubblico, sia alla musica, con la pretesa di attualizzare o di rendere contemporaneo, e quindi suppostamente più accessibile, ciò che attuale e contemporaneo non è.
E che potrebbe (anzi dovrebbe) essere apprezzato comunque, magari attraverso un processo, adeguatamente spiegato e illustrato, di contestualizzazione.
Ovviamente ci sono eccezioni. Basterà citare, a titolo di esempio, la rivisitazione delle Variazioni Goldberg di Bach effettuata da Uri Caine. Il pianista e compositore statunitense ha riletto, rielaborato e in parte ricreato la famosa composizione bachiana suddividendola in 70 quadri sonori che, partendo dagli spartiti originali, spaziano con grande coraggio, con fenomenale inventiva e perfino con una buona dose di ironia tra un’infinità di generi musicali, dal jazz al blues, dal gospel al ragtime, dal valzer al tango, dal kletzmer all’elettronica. Il tutto con l’apporto sempre estremamente creativo di musicisti di varia estrazione e con formazioni sempre diverse e originali.
Ma il concerto organizzato dalla Società del Quartetto di Milano, con i citati Fresu, Magoni e Virtuosi Italiani come protagonisti, è rimasto lontano anni luce dal luminoso esempio di Uri Caine ed è risultato molto deludente, sostanzialmente banale e scontato e del tutto privo di emozione.
Nella prima parte, nobilitata dall’Aria sulla quarta corda tratta dal secondo movimento della Suite orchestrale n.3 di Bach, un Fresu decisamente sottotono non è riuscito a coinvolgere gli spettatori né con l’esposizione tematica piuttosto scolastica, né con le parti improvvisate sullo scarno accompagnamento degli archi e i due momenti all’interno di ogni brano (il primo fedele alla partitura, il secondo improvvisato con velleità vagamente jazzistiche) sono apparsi del tutto scollegati senza riuscire a creare alcun impatto emotivo.
Nella seconda parte, che pure ha mantenuto la medesima procedura espositiva (tema e parte improvvisata dalla tromba di Fresu) ci sono stati momenti più interessanti grazie alla valenza melodica delle arie belliniane tratte dall’opera Norma del compositore siciliano (Casta diva, Qual cor tradisti, Oh! Rimembranza!). Ma anche in questo caso niente di nuovo né particolarmente originale e risultato finale complessivamente modesto.
L’ultima parte infine ha visto la partecipazione di Petra Magoni e l’apporto della sua interessante vocalità nell’esecuzione di tre brani di David Bowie, icona del pop (o meglio del glam rock) e considerato uno degli artisti musicali più originali e influenti del secolo scorso: This is not America, brano composto e interpretato in collaborazione con Pat Metheny e facente parte della colonna sonora del film Il gioco del falco (The falcon and the snowman) diretto nel 1985 da John Schlesinger; Life on Mars?, brano iconico di Bowie pubblicato nel 1973 come quarta traccia dell’album Hunky Dory; Heroes, altra celeberrima composizione del Duca Bianco scritta nel 1977 insieme ai musicisti Brian Eno e Robert Fripp.
La Magoni ne ha offerto un’interpretazione molto sopra le righe (come spesso le accade) lasciandosi andare a vocalizzi virtuosistici del tutto fuori luogo e contesto. Il pubblico, nonostante i tentativi di coinvolgimento da parte della cantante toscana, è rimasto piuttosto freddo e si è limitato ad applausi di circostanza.
Un concerto mal riuscito, forse anche mal pensato, che ha tradito le aspettative degli appassionati e che ha sostanzialmente annoiato gli spettatori.
GianLuigi Bozzi
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