Pianeta Terra sul punto del non ritorno? L’umanità in pericolo?

desertificazione , siccità, riscaldamento globale

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È inutile girarci intorno: l'umanità e l' nel giro di qualche decennio verranno radicalmente sconvolti. “La vita sulla terra può riprendersi dai grandi cambiamenti climatici evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi“, osserva il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) in un suo rapporto, “ma l'umanità non può“.

Troppo poco è stato fatto affinché si combattesse seriamente il cambiamento climatico, l' del pianeta, la distruzione sistematica di ogni genere di specie. Si sono presi accordi, vedi quello di Parigi, sempre al ribasso e spesso non rispettati o come gli USA di Trump rigettati.

Lo scenario di quello che accadrà lo si legge nella bozza del principale organismo internazionale di valutazione dei cambiamenti climatici, l'IPCC, formato da due organismi delle ONU: l'Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente. Ne è venuta in possesso la France Presse e alcuni contenuti sono stati pubblicati da media internazionali come The Guardian e France24.

Il rapporto parla di “impatti irreversibili sui sistemi umani”, per cui la vita sul Pianeta nel giro di qualche decennio non sarà più la stessa. Il limite lo varcheremo, secondo il rapporto, con 2 gradi centigradi in più di temperatura. Le stime sono: 420 milioni di persone in più che saranno costrette a vivere con ondate di caldo estremo e fino a 80 milioni di individui in più che rischieranno la fame. Le aree più colpite, nemmeno a dirlo, saranno quelle dell'Africa subsahariana e dell'Asia meridionale e sudorientale; come spiega il rapporto a pagare di più saranno “i meno responsabili del ” . Se si dovesse giungere ad un +3 gradi anche in Europa gli individui ad alto rischio di mortalità saranno tre volte superiori a ora.

I “punti di non ritorno” [1] cioè quelle condizioni nelle quali non c'è più spazio per agire e arrestare la catastrofe. L'aumento oltre misura delle temperature innescano reazioni a catena non più controllabili devastando la vita. È il caso dello scioglimento delle calotte polari che oltre all'innalzamento del livello dei mari provoca la dispersione del gas metano trattenuto nel terreno congelato che a sua volta aumenta la temperatura.
Anche l'Amazzonia con la sua foresta è sull'orlo di un punto di non ritorno, e lo si scrive da tempo. Perché il nefasto combinato della deforestazione e delle politiche del presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, «potrebbe spingere pericolosamente la foresta pluviale amazzonica a un irreversibile “punto di svolta” entro due anni, ha detto un eminente economista [Monica de Bolle, ndr]. Dopo questo punto la foresta pluviale non avrebbe abbastanza pioggia da sostenersi e inizierebbe lentamente a degradarsi in una savana più secca, rilasciando miliardi di tonnellate di carbonio nell'atmosfera, il che avrebbe esacerbato il riscaldamento globale e sconvolto il tempo in tutto il Sud America». [2]

Come andiamo dicendo da tempo andrebbe cambiato modello di produzione e sviluppo. Ora. E non sappiamo se basterà.
Pasquale Esposito

[1] A proposito di punti di svolta è interessante leggere Michael Marshall, The tipping points at the heart of the climate crisis, https://www.theguardian.com/science/2020/sep/19/the-tipping-points-at-the-heart-of-the-climate-crisis, 19 settembre 2020
[2] Dom Phillps, Amazon rainforest ‘close to irreversible tipping point', https://www.theguardian.com/environment/2019/oct/23/amazon-rainforest-close-to-irreversible-tipping-point, 23 ottobre 2019

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