
Le previsioni sull'andamento delle economie nella UE devono tener conto di una certa dose di fluidità a causa innanzitutto dell'andamento della pandemia dentro e fuori l'Europa. Inoltre come ha spiegato Paolo Gentiloni commissario europeo all'Economia, nel commentare le previsioni autunnali della UE, bisognerà tener d'occhio altri due fattori. Il primo è l'andamento dell'inflazione che è in aumento – nell'area dell'euro a settembre ha raggiunto il massimo da dieci anni a questa parte con un +3,4% – a causa dei costi dell'energia; il secondo è quello delle problematiche connesse alla catena di approvvigionamento che sta creando fibrillazioni in diversi settori produttivi.
Va aggiunto, paese per paese ed in particolare per l'Italia data l'entità delle risorse messe a disposizione, il tema della tenuta dei tempi dichiarati sugli obiettivi del Recovery Fund.
Fatta questa doverosa premessa, nel 2021, l'Europa registrerà un tasso di crescita del 5%, 4,3% e 2,5% rispettivamente nel 2021, 2022 e 2023. I tassi di crescita dell'area dell'euro saranno uguali a quelli dell'UE nel 2021 e nel 2022 e del 2,4% nel 2023.
Secondo le autorità di Bruxelles, in Europa “la domanda interna è destinata a continuare a guidare questa espansione. I miglioramenti nei mercati del lavoro e un previsto calo del risparmio dovrebbero contribuire a un ritmo sostenuto della spesa dei consumatori“.
A guidare questa classifica sarà l'Irlanda che ha già recuperato la crisi del 2020 con un +14,6% nel 2021 seguita dall'Estonia (+9) e dalla Croazia (+8,1), mentre agli ultimi tre posti per la crescita quest'anno troviamo rispettivamente Finlandia (+3,4), Repubblica ceca (+3) e Germania (+2,7).
L'Italia crescerà quest'anno ad un +6,2% ben oltre la media europea e nella primavera è previsto il ritorno al periodo pre-pandemia.
Nelle previsioni si parla anche del tasso di disoccupazione che nell'area Euro passerà dal 7,9% (2021) al 7,3% (2023) mentre nella UE passa dal 7,1% al 6,5%.

In Italia è tutto un declamare la correttezza delle scelte e un'ulteriore immissione di fiducia per il governo Draghi ed in particolare nella persona del Presidente del Consiglio che sembra essere oramai l'unico politico per ogni dove e per ogni tempo. Questione elezione del Capo dello Stato a parte.
Quello che ci preme dopo questa carrellata di numeri, in particolare per la politica economica italiana, è una domanda: ma la crescita in quale direzione va e per fare cosa? In favore di una drastica riduzione della disuguaglianza? Di una politica sociale che aiuti le esistenze dei più deboli? Di una effettiva riconversione produttiva per combattere l'emergenza ambientale? Di investimenti che vadano oltre il terreno perso da qualche anno nella sanità, istruzione e ricerca?
Il professor Roberto Artoni su Sbilanciamoci ha esaminato il senso della Legge di Bilancio – che deve essere ancora approvata – presentata dal governo Draghi e le sue conclusioni sono che “la crescita del sistema può derivare solo da un'espansione della capacità produttiva ad opera essenzialmente degli operatori privati, che devono essere opportunamente incentivati e tutelati nei confronti di prelievi tributari e contributivi penalizzanti. […]. Il mercato del lavoro deve essere reso quanto possibile flessibile, circoscrivendo la rigidità attribuibile al ruolo di sindacati. La pressione fiscale deve contrarsi rispetto agli elevati livelli fin qui raggiunti; nella composizione delle entrate le imposte personali devono essere limitate per i loro effetti sulla propensione individuale all'offerta di lavoro e sulla remunerazione netta delle iniziative lato sensu imprenditoriali. Infine, la spesa sociale, in cui la componente assistenziale si ritiene essere dominante, deve essere controllata nella sua dinamica, presupposto per l'equilibrio dei conti pubblici. I mercati finanziari internazionali liberamente funzionanti sono poi essenziale meccanismo di controllo della correttezza delle scelte pubbliche e private” [1].
Sarà sfuggito, ma con il disegno legge sulla concorrenza, approvato in tutta fretta per ottemperare alle richieste collegate al PNRR, la politica di fondo del governo Draghi si esplicita chiaramente. Infatti spiega Alessandro Volpi su Altra Economia che l'articolo 6 del disegno “porta a sistema e rafforza le volontà, a lungo coltivate, di privatizzazione dei servizi pubblici locali. Tale articolo stabilisce infatti, senza mezzi termini, due principi molto pericolosi. Il primo afferma che i Comuni sono di fatto privati della competenza di tutti i servizi pubblici locali, trasferiti in blocco, con un'inversione persino del dettato costituzionale, allo Stato che li gestisce – questo il secondo principio – utilizzando esclusivamente il mercato. Dall'acqua ai trasporti, a tutto ciò che ha rilevanza economica, secondo l'articolo 6, è previsto l'obbligo di un trasferimento di gestione ai privati, con alcune norme specifiche destinate a mettere in discussione persino la natura pubblica della proprietà delle reti. In parte questo tentativo era già stato avviato dal Governo Monti in seguito alla famosa “lettera” della Commissione europea, e ora torna ancora più esplicito con il Governo Draghi” [2].
Senza dover adesso aprire il capitolo delle pensioni per ribadire che la responsabilità di un eventuale buco del futuro non può assolutamente attribuirsi ai pensionandi ed ai pensionati come invece nella realtà il sistema di salari di fame e di un mercato del lavoro violato e sconvolto stabilisce attraverso il fare della precarietà un valore.
Pasquale Esposito
[1] Roberto Artoni, Il “modello” dietro la legge di bilancio del governo Draghi, 3 novembre 2021
[2] Alessandro Volpi, L'assalto del Governo Draghi ai servizi pubblici locali, 10 Novembre 2021
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