
L'articolo 40 della Costituzione riconosce il diritto di sciopero, esercitato nell'ambito delle Leggi che lo regolano [1]. Negli ultimi anni non era capitato mai. Il 17 Novembre 2023 l'adesione allo sciopero generale proclamato da quasi tutte le organizzazioni sindacali, ha un sapore gustoso, da pregiato vino novello, perché autenticamente “politico”
Il significato politico dell'astensione dal lavoro alla quale sono chiamati i cittadini italiani – come, del resto, è accaduto di recente in altri Paesi europei – riguarda la sopravvivenza della pòlis, quell'ordine giuridico-amministrativo fortemente unitario della società italiana che i coalizzati partiti di “destra” stanno compromettendo, facendo precipitare il Paese in un baratro degenerativo d'inaccettabile ampliamento delle disuguaglianza e di reiterato arbitrio classista, foriero d'inevitabili conflitti distruttivi.
Si tratta di un pronunciamento contestativo di massa relativo alle specifiche attività svolte dal Governo Meloni, al modo autocratico di governare, all'insieme dei provvedimenti economico-sociali con cui cerca di raggiungere determinati scopi discriminatori e prevaricatori, sia per quanto riguarda i problemi di carattere interno (antidemocratica gestione del bilancio statale, smantellamento di diritti acquisiti e del Welfare universalistico, difesa preminente di interessi lobbistici e corporativi amalgamati da un'amorale concezione cameratesca e familistica del potere), sia per ciò che riguarda la politica estera (la sconfessione dell'articolo 11 della Costituzione e la consistente “distrazione” di denaro pubblico per usi diversi dal previsto, ad esempio, il cambio di destinazione dei fondi PNRR provenienti dall'UE al bilancio della quale l'Italia partecipa con 18,1 miliardi di euro, questi i versamenti 2021 a titolo di risorse proprie, è bene ricordarlo).
Il Governo Meloni senza un'opposizione parlamentare in grado di contrastarne la protervia, anacronisticamente ed in modo miope e sfacciato, al contempo, mette in scena l'ultima stantia rappresentazione d'una legittimazione elettorale, peraltro inesistente nei numeri dei voti ottenuti alle Elezioni politiche 2022 con un'esigua maggioranza di aventi diritto che si è recata alle urne, negli stessi termini del “rex legibus solutus” [2] del potere assoluto dei sovrani, al quale, è bene ricordarlo, tra il 17° e la fine del 18° secolo, processi rivoluzionari posero fine dando origine a regimi liberali e parlamentari, caratterizzati dalla divisione dei poteri, dal sistema rappresentativo-parlamentare, dalle libertà civili e politiche.
Le ragioni dello sciopero si possono leggere con attenzione nel “pacchetto lavoro” nella Legge di Bilancio 2024 e nel collegato fiscale che perpetra la costellazione di misure per l'occupazione oltremodo flessibile e precaria. Inoltre decide un fantomatico taglio del cuneo fiscale-contributivo a termine, non “strutturale”, senza interventi permanenti su salari e stipendi irrimediabilmente erosi dall'inflazione, istituisce nuovi “bonus mamme” in busta paga, ma le stesse sono penalizzate in quanto donne da irritanti balzelli che generano aumenti di spesa per prodotti di prima necessità, propone il potenziamento dei “fringe benefit” (“compensi in natura”) negando corrispettivi in denaro, procrastina il rinnovo dei contratti dei diversi settori del pubblico impiego, effettua il taglio alle pensioni dei dipendenti pubblici garantendo pensioni di indigenza ad una platea di migliaia di lavoratori, appartenenti, in particolare, ai settori istruzione e sanità, pur in presenza di qualche marcia indietro.
È, forse, il caso – anche nell'eventualità d'essere un “unicum” storico – di andare oltre la scadenza di fine anno per l'approvazione di questa Legge di Bilancio; infatti, la Costituzione prevede il limite del successivo 30 Aprile, da autorizzare con Legge apposita che conceda l'esercizio provvisorio del bilancio, in attesa che accada qualcosa: la caduta nella polvere di questo Governo?
Lo sciopero si configura dunque, con tutta evidenza, politico, perché è una prima azione utile per contrastare le scellerate politiche economico-sociali del Governo (salari, CCNL, precariato, riforma delle pensioni, tagli al Welfare universalistico), per difendere le pubbliche amministrazioni e tutelare i servizi pubblici essenziali per tutti i cittadini, ed anche per tutelare dall'attentato in corso, la Costituzione vigente, che risulterebbe minata dalla “autonomia differenziata” a matrice leghista e dalle derive plebiscitarie annunciate da pericolose modifiche costituzionali.
In secondo luogo, è politico perché occasione per rideterminare una soggettività combattiva, resistente e determinata che esprima capacità mobilitative delle coscienze e “valore” rivendicativo e programmatico, indicando le alternative alle politiche iperliberiste ed eterodirette veicolate dall'attuale Governo, palesando “autonomia” nello scrivere le priorità – smontando, ad esempio, le nocive velleità espresse dall'ipotesi di costruzione del Ponte sullo Stretto – dell'agenda politica del popolo italiano così emancipandosi definitivamente dall'autoreferenzialità del sistema dei partiti.
Giovanni Dursi
[1] Nel 1990 è intervenuta la Legge n. 146/1990 per regolamentare lo sciopero nei soli servizi pubblici essenziali.
[2] Il concetto di assolutismo deriva dalla formula “rex legibus solutus”, “il re è sciolto dal vincolo delle leggi”. Poiché il re stesso è rappresentante di Dio, fonte della legge, il sovrano è insieme legislatore e giudice supremo. In “democrazia”, ciò non è e non deve essere permesso.
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