
Terminati in maniera concitata i giorni dell'elezione del 13mo Presidente della Repubblica, il mondo dell'informazione e non solo, sta riavvolgendo il nastro cercando di mettere a fuoco le fasi salienti di quel rito che rappresenta senza dubbio la celebrazione e l'esaltazione più importante di tutte le liturgie repubblicane.
A questo punto sarebbe il caso di annotare una serie di considerazioni per contribuire ad una riflessione sulla politica e sui partiti.
La politica è morta.
Questa è la frase che ho sentito dire da molti, ma non da tutti, evidentemente scioccati dai “caroselli dei partiti” che hanno caratterizzato la rielezione di Sergio Mattarella.
Dire che la politica sia stata affossata in cinque giorni, è una gigantesca panzana. La politica non è morta. La politica non muore, semplicemente perché non può morire finché ci saranno due esseri umani su questa terra.
Se proprio vogliamo parlare di cadaveri, gli unici presenti sulla scena sono i partiti cioè quelle strutture alle quali da più di 100 anni deleghiamo con regole costruite ad arte, la nostra rappresentanza e, globalmente, le aspirazioni di una nazione.
Non solo i partiti hanno fallito agli occhi dei cittadini – ovviamente sempre più disinteressati alle sterili manovre dell'odierno risiko politico – ma è urgente che prendano atto dell'inutilità della loro azioni, e quindi, interrogarsi su come ripensare la loro esistenza nel quadro istituzionale.
Il punto, quindi, è questo: è pensabile un equilibrio del sistema politico e delle garanzie costituzionali senza quelle strutture? Può una democrazia rimanere in piedi privandosi di una parte degli organi che la compongono? In più; in che modo potrà essere salvaguardato il principio fondamentale della rappresentanza popolare – base ineludibile di ogni sistema parlamentare – strumento necessario alla formazione di un esecutivo?
E quindi quale corpo istituzionale o comunque facente parte della società civile potrà sostituire materialmente il “blocco partiti”? Chi potrà avviare le azioni necessarie per questa sostituzione – senza dimenticare il ‘come' farlo – rimanendo in ambito costituzionale?
I dubbi sulla necessità di tenere in vita i partiti politici vengono esplicitati, possiamo dire per la prima volta in forma compiuta, verso la prima metà degli anni '40 del Novecento dalla filosofa Simone Weil con un libro scritto nel 1943 e pubblicato nel 1950 in Francia per poi essere ripreso in Italia nell'anno successivo dalla rivista di cultura “Comunità” diretta da Adriano Olivetti.
Le riflessioni della filosofa si sostanziano, possiamo dire, in una furia iconoclasta contro ogni partito e contro l'idea stessa di partito “Un partito politico è una macchina per fabbricare una passione collettiva” e quindi “fine primo e ultimo di ogni partito politico è il suo potenziamento senza limite alcuno” e come conseguenza della presenza di questi elementi, per la Weil qualsiasi partito doveva apparire “totalitario in nuce e nell'aspirazione” [1].
È evidente che le taglienti considerazioni della Weil non possono riferirsi ai partiti odierni bensì a quelle formazioni totalitarie che avevano condotto l'Europa alla catastrofe della Seconda Guerra mondiale e più specificatamente ai partiti comunisti di ispirazione staliniana.
Quasi in contemporanea con l'uscita del libro della Weil è Adriano Olivetti con il suo “L'ordine politico delle comunità” [2] a delineare un progetto di sviluppo istituzionale, che ovviamente non vede i partiti presenti sotto nessuna forma, che coniughi le aspettative del nuovo corpo sociale, uscito dalla guerra, con le moderne tecnologie e il rinnovato sistema economico in un nuovo piano bilanciato che tenga salvi i criteri dell'efficienza con l'offerta di garanzie di libertà.
Quindi la visione olivettiana di un nuovo assetto istituzionale la si può considerare come una “terza via” che non costringe a scegliere fra Socialismo e Liberalismo. Ma il pensiero di Olivetti va oltre il problema partiti/non partiti, pensando addirittura ad un nuovo assetto istituzionale di più ampio respiro attraverso la costruzione delle “Comunità”, appunto, che come dimensioni si pongono a livello intermedio fra il Comune e la Provincia, raggruppando in ognuna di loro l'aspetto economico, amministrativo e politico.
Insomma ogni “Comunità” si caratterizza per essere una specie di diaframma fra l'individuo e lo Stato, anticipando se vogliamo, il concetto di un federalismo avanzato che si sviluppa attraverso la partecipazione di aggregazioni professionali – che non vanno confusi con il sistema corporativo – in sostituzione dei partiti ed ogni rappresentante di quegli ordini sarà in carica fino al termine della sua vita lavorativa [3].
Per quanto utopistico ma sicuramente originale, il progetto di riforma istituzionale di Olivetti è il primo tentativo di sostituire la spina dorsale dello Stato, rappresentata dai partiti, con i solidi corpi intermedi e le categorie produttive.
Ho citato i punti salienti del pensiero della Weil e di Olivetti per mostrare come l'avversione ai partiti si sia articolata su prospettive fra loro molto diverse mirando, specialmente nel pensiero dell'industriale di Ivrea, ad assottigliare la distanza fra i “mezzi” e i “fini” per giungere ad un equilibrio tale nel quale sarà la società civile e non i partiti a creare lo Stato.
Seppur affascinanti e di indubbio valore propositivo, queste idee marcano in maniera evidente la loro appartenenza ad un periodo storico molto lontano rispetto al tenore della polemica odierna contro i partiti; tuttavia non se ne è persa la scia se ancora nel 2012 esce in libreria un pamphlet a firma del senatore Willer Bordon, scomparso prematuramente nel 2015, dal titolo “Manifesto per l'abolizione dei partiti politici” [4].
Nel suo provocatorio lavoro, l'ex senatore denuncia il rapporto ormai lacerato fra cittadini e ceto politico denunciando la pericolosa conseguenza del sorgere di oscure derive populistiche, ma tutto ciò non deve farci credere che la democrazia sia impossibile senza i partiti. Su questo punto Bordon è molto chiaro quando afferma: ”I partiti, questi partiti… sono spesso dei conglomerati delle posizioni politiche più distanti, riunite unicamente dall'esigenza di difendere uno spazio di potere. I partiti, questi partiti, sono quindi inevitabilmente non autoriformabili” [5].
Ma va posto in chiaro che l'avversione per i partiti non è a tutto tondo bensì solo per “questi partiti”, cioè quelli esistenti al suo tempo, che devono essere soppressi per ripensare le forme di organizzazione della politica che dovranno essere adeguate allo sviluppo della società.
La soluzione, proposta da Bordon, è quella della creazione di un nuovo edificio comune capace di valorizzare la trasparenza offerta dalla piattaforma informatica, il Web e il mondo dei social network.
Idee non molto diverse da quelle fatte proprie in seguito da Grillo e Casaleggio, trasformate in un brand di successo, che vengono presentate come la summa di tutti gli sforzi e delle aspirazioni che avevano preso corpo nel corso degli anni '90, nella convinzione legittima che davvero si potessero eliminare quelle dannose metastasi che avevano caratterizzato i partiti politici – nonché buona parte della Storia italiana, aggiungo – permettendo il trionfo dell'idea che si possono perseguire singoli obiettivi politici attraverso il lavoro di individui liberi da condizionamenti ideologici e privi, più che altro, dell'idea di essere i depositari unici di capacità e competenze.
In questa vorticosa girandola di esperienze, in parte rimaste solo sulla carta e in parte applicate materialmente alla vita politica giungiamo, il 17 febbraio prossimo, ai 30 anni dall'inizio di quella fase storico-politica che è conosciuta da tutti come “Mani pulite”, iniziata quasi in sordina con l'arresto di Mario Chiesa a Milano.
Ai nostri giorni, i politologi credo potrebbero avere difficoltà nel restituirci un quadro della situazione attuale del sistema partitico dato che i criteri adottati per analizzarne l'evoluzione – o l'involuzione – non sono stati esaustivi, ma più che altro non sarebbero oggi riproponibili perché sgretolati nella loro fragile consistenza.
Ad esempio, la scomparsa delle ideologie come collante delle grandi masse di popolo da opporre ai rigidi schieramenti determinati dalla “Guerra fredda”, abbinata alla ormai esausta e tradizionale forma di finanziamento, cioè la quota di iscrizione al partito, si è rivelata come una analisi conclusiva del tutto insufficiente e obsoleta. Migliore sorte non è toccata alla definizione del c.d. Partito Azienda, abbarbicato sulla figura carismatica del leader che non prevede alternative alla sua guida, il che autorizza a ipotizzare una scomparsa della formazione per logoramento ed anzianità del suo manovratore insieme all'idea stessa di partito personale, avanzata come novità nel desolante scenario politico.
Ma anche il “nuovo” che avanzava come uno schiacciasassi sui resti delle macerie politiche, il Partito digitale, ha forse svilito la sua idea iniziale rifugiandosi troppo spesso in proclami di rinnovamento molte volte confusi e privi di una prospettiva a lungo raggio.
Logorate dal tempo e dagli eventi, queste forme di aggregazione politica ci consegnano un'immagine facile da decifrare, dove il ritratto dei partiti si staglia nitidamente deformato, dai contorni privi di quei segni che possano legittimarne una sola ragione per esistere. Incapacità a confrontarsi con la realtà, abbandono come sacco di zavorra della funzione di interfaccia fra cittadini ed istituzioni – rasentando lo scavallamento dei vincoli costituzionali previsti dall'art. 49 (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) – assenza delle capacità di elaborare progetti per il futuro.
Di converso, ogni sforzo sembra venga indirizzato nel perfezionare quegli strumenti idonei a garantirsi una messe di consensi ai fini elettorali, con l'assunzione di comportamenti privi, se vogliamo, di consistenza ideologica; più una guerra tra fazioni, potremmo dire, utile soltanto alla loro ipertrofica crescita mediatica, sfociata nelle indegne contorsioni che hanno avuto il loro apice nell'elezione del Presidente della Repubblica.
Non abbiamo certo dimenticato le desolanti apparizioni dei leader dei partiti sui vari canali televisivi dove si rinnovava, a mo' di recita a braccio, l'annuncio di notizie all'apparenza eclatanti e degne di attenzione, per nascondere invece una realtà ben più triste e urticante, cioè quella dell'esibizione e dell'affermazione del proprio ruolo per la paura di perderlo, dato che quegli attori hanno finto di non ricordare il loro scarso – se non nullo – potere sui rispettivi parlamentari che, a loro volta, non incontrando più il gradimento degli elettori, che come sappiamo non li scelgono, nel realistico distacco con il corpo elettorale sono pronti all'ossequio ai loro capi ma solo in caso di certa ricandidatura.
È un quadro desolante quello che ci viene consegnato, e sotto certi aspetti anche pericolosamente distorsivo dei principi cardine della nostra Costituzione che potrebbe correre il rischio di un fragoroso deragliamento. Ma credo che ancora una volta stia a noi far partire una domanda di cambiamento radicale, anche urlata, che ci salvi dalla sorte di poveri pesci rossi dentro l'acquario, dove si può aprire la bocca ma solo per respirare.
Come sempre bisognerà attendere gli sviluppi futuri che per qualcuno appaiono imminenti, come riporta la rivista “MicroMega” che sul problema dei partiti sembra avere le idee già molto chiare: ”Il problema è che gli pseudopartiti sono sufficienti a sé stessi e, come tali, destinati ad isterilirsi, se non a implodere. Ciò che servirebbe, oggi, è un collettivo autodafè” [6].
Stefano Ferrarese
[1] Simone Weil – “Senza Partito. Obbligo e diritto per una nuova pratica politica” – pag. 23
Feltrinelli, Milano. 2013
[2] Adriano Olivetti – “L'ordine politico delle Comunità” – Edizioni di Comunità, Roma. 2021
[3] ibid. nota 2 – capitolo XIX, pp.2-5
[4] Willer Bordon – “Manifesto per l'abolizione dei partiti politici” – Edizioni Ponte alle Grazie,
2012
[5] ibid. nota 4 – pagina 21
[6] micromega.net – Fabio Armao “La repubblica degli pseudopartiti” – Politica, 7/2/2022
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