Proteste e rivolte scuotono il regime in Cambogia

Cambogia Tempio Pre Rup
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La repressione del regime di Hun Sen nei confronti di ogni opposizione e dei lavoratori non ha risparmiato nemmeno il 1° Maggio. Diverse decine di feriti e, secondo qualche organizzazione ONG [1], anche un morto hanno funestato la giornata del lavoro. In particolare la polizia antisommossa ha disperso con brutalità il corteo organizzato dal maggiore movimento d’opposizione parlamentare, il Partito della salvezza nazionale della Cambogia (CNRP) a cui partecipavano soprattutto operai del settore tessile.

Phnom Penh Palazzo RealePhnom Penh, Palazzo Reale. Foto Pasquale Esposito

Le contestazioni e le rivolte sono figlie di un regime con a capo il Primo Ministro Hun Sen che regna quasi ininterrottamente ed incontrastato – ad eccezione del periodo 1992-97 quando pur perdendo  le elezioni si fece nominare Co-Primo Ministro – dal 1985. Durante tutti questi anni ha progressivamente  messo sotto il suo controllo tutti gangli della nazione cambogiana, dall’esercito all’economia, all’informazione, alla giustizia, usando corruzione, favori ai suoi compagni di partito e ai membri della sua famiglia e, quando non bastavano, carcere e, secondo molti osservatori e critici, torture.

Cambogia lungo la NH6
Cambogia, lungo la NH6. Foto Pasquale Esposito

A luglio dello scorso anno il Partito del popolo cambogiano (Ppc) vinceva nuovamente le elezioni e grazie alla maggioranza assoluta rieleggeva senza problemi Hun Sen. Ma il CNRP guidato da Sam Rainsy contestava, a ragione, il risultato delle votazioni e avviava la contestazione che con il passare del tempo sempre più manifestanti a Freedom Park per protestare settimanalmente contro il governo e per chiederne  le dimissioni.

La protesta sfociava spesso in tumulti perché si coagulavano anche le ragioni delle condizioni disumane del lavoro, salari da fame e povertà diffusa. Il culmine si ebbe tra la fine e l’inizio del 2014 quando gli scontri tra le barricate per uno sciopero dei lavoratori delle aziende dell’abbigliamento finiva nel sangue.

Nonostante la crescita dirompente, 7/8 per cento l’anno nell’ultimo decennio, dell’economia la Cambogia resta uno dei paesi più poveri al mondo con un terzo della popolazione che vive con 1,5$ al giorno. La richiesta dei salariati era quella di portare la busta paga da 80 a 160 dollari. Nelle aziende che confezionano abiti per molti marchi della grande distribuzione e del prêt à porter occidentali lavorano quasi tutte donne che nel 2013 hanno portato all’esportazione di oltre 5,5 miliardi di dollari.
Lo sfruttamento da una parte e l’espulsione dalle campagne è un altro aspetto delle condizioni disumane in cui si trovano i cambogiani. I membri della Rete dei bonzi indipendenti per la giustizia sociale girano per le campagne per raccogliere le rivendicazioni dei contadini e di popolazioni indigene per l’accaparramento  delle terre.
Una  legge del 2001 autorizza l’assegnazione di terre dello Stato a società private con la formula delle “Concessioni fondiarie economiche” (Cfe) e così oltre tre milioni di ettari sono finiti in mani di potenti cambogiani e imprese straniere. Per le piantagioni del caucciù sono in prima fila i vietnamiti e i cinesi. Questi ultimi hanno ottenuto 45.000 ettari per costruire un complesso turistico di lusso nella riserva naturale di Botum.
Nella coltivazione dello  zucchero si sono lanciate molte aziende «approfittando del programma della Commissione europea “Tutto tranne le armi”, che esonera dalla tassazione lo zucchero cambogiano» [2].
Le cose non vanno meglio  in città, secondo la Lega cambogiana dei diritti umani (Licadho) «più di ventimila famiglie che vivono nelle comunità povere della capitale  sono state espulse in seguito a progetti immobiliari» [3].
Il potere continua a ricevere colpi dall’opposizione politica, sindacale e dalle comunità ma per ora è difficile fare previsioni su quando il regime cadrà. Del resto gli interessi interni ed esteri, a cominciare dagli ingombranti vicini, sono giganteschi.
Pasquale Esposito

[1] «Ho visto con i miei occhi cinque persone attaccate, picchiate e ferite,» ha detto Am Sam Ath, attivista per i diritti dei lavoratori presso la Ong Licadho, al quotidiano locale The Cambodia Daily. «Ho visto cinque vittime ma penso che il numero dei feriti sia molto maggiore, perché c’erano almeno 100 guardie di sicurezza che picchiavano diverse persone in luoghi diversi», è quanto riporta Alessio Fratticcioli in “1° Maggio in Cambogia: lavoratori presi a manganellate”, asiablog, 2 maggio 2014.
[2] Philippe Revelli, “In Cambogia, la rivolta popolare minaccia il potere”, Le Monde diplomatique il manifesto, aprile 2014, pag. 13.
[3] Philippe Revelli, ibidem

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