Radiohead. The King of Limbs. Nuovi stimoli al cambiamento

Radiohead The King of Limbs
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Soli cinque giorni di attesa dall’annuncio del 14 febbraio scorso, dato dal gruppo di Oxford, prima che tutti gli appassionati e cultori potessero scaricare The King of Limbs. E se non fosse per Morning Mr Magpie, comparsa in sordina in una trasmissione on line, non si erano ascoltate anticipazioni come sempre accade.  Tagliando i tempi e le attività di comunicazione tradizionali si è presentato così il nuovo album, l’ottavo della serie, direttamente ai suoi ascoltatori.
Siamo però in attesa dell’edizione newspaper il prossimo 9 maggio che conterrà due vinili, artwork di grande formato, 625 di piccolo formato e un cd.

La recensione di Zingales è quasi una stroncatura. E se non lo è nel suo complesso mi è sembrato per il <<rispetto>> al loro passato, ad una buona struttura dell’album e ad un paio di soluzioni: <<ottimi qui gli off-beats dell’iniziale Bloom, intriga la natura subdola della conclusiva Separator […]>>. Manca la <<scossa>> e <<l’emotività sembra essere finita>> [1].

Di Separator parla anche Capacchione la cui recensione però è di segno opposto. Meglio di quanto si ascoltò con In Rainbows, un recupero di quelle sonorità che, a cavallo del 2000, ci avrebbero fatto capire come <<la nuova pop music sarebbe stata sintetica e avrebbe portato dentro di sé la curiosità di mondi extraeuropei>>.  Un disco di qualità anche se non <<spiazza>>. E Separator è il <<momento definitivo […] con quella batteria che profuma di jazz, chitarre dolcissime a inseguirsi>>. Citazioni anche per Little by Little, Morning Mr Magpie [2].

Bertoncelli con The King of Limbs ci sembra conquistato definitivamente alla causa del gruppo, quasi ritorna giovane. Il motivo? La sua definitiva dipartita dai luoghi musicali degli esordi, <<le canzoni non sono blocchi imponenti o alti pinnacoli e forse non ci sono più nemmeno “canzoni”, almeno come le avremmo dette fino a ieri, e neanche ritornelli, riff, perfino strumenti definiti>>. Tra i brani la scelta cade su Codex e Give Up The Ghost <<per l’abbandonata bellezza del canto/chitarra e il fantasmatico dialogo tra la voce di Thom e un coro digitale di alter ego>> [3].

Anche Fabris insiste sui cambiamenti avvenuti in questo disco rispetto al progetto dei Radiohead, ma affida alla reiterazione degli ascolti e, quindi al tempo, il giudizio finale. Il lavoro risulta il <<più ostico e minimale registrato>> finora, <<ma mostra anche il loro lato più intimo e tenue>>. L’attenzione anche qui si ferma su e Give Up The Ghost e Codex ma con quest’ultima a primeggiar nelle preferenze, <<una canzone per voce e pianoforte che lentamente si innalza su un piedistallo fatto di fiati e archi: dopo tanto armeggiare alla ricerca di un nuovo suono, i Radiohead dimostrano di saperci incantare con poche note>> [4].

Asquini nella sua positiva recensione mi sembra che lo descriva come una miscela, non identificabile, di generi musicali da una parte e dall’altra un mix assoluto <<tra la freddezza di Kid A e le languide scie di Amnesiac>>. Feral è quella dove Kid A è chiaro, mentre Bloom è quella che rappresenta meglio l’album. Ma anche qui saranno Codex, <<episodio per piano, echi lontani e un senso di avvolgimento e calore che sfiora la perfezione>> e Give Up The Ghost ad essere in cima alla lista [5].

Buono il riscontro per Marau che spiega come ancora una volta i Radiohead non <<vivono di rendita>> e provano a scartare dalla linea precedente sia pur ad un livello inferiore di quanto accadde con Kid A e Amnesiac. Qui il suono è <<più che mai diretto e intimo, un po’ alla guisa dell’opera solista di Thom Yorke, ovvero The Eraser>> e ciò è evidente nella prima metà dell’album. La seconda parte va verso note di maggiore intensità e Give Up The Ghost, come per gli altri critici, è un bell’ascoltare per i crescendo e le <<intersezioni della voce magistralmente loopata>>, Codex dove Yorke <<rievoca i grandi della musica pop con cui è cresciuto […], Scott Walker, Brian Eno e i Talk Talk di Spirit Of Eden>> [6].

Nonostante l’assenza di grande creatività si tratta di un buon disco anche per Pascale. Ricorrono i riferimenti alla coppia Amnesiac Kid A  per l’elettronica nella prima parte, <<più intrigante e dinamica>>, e per la seconda parte che largamente rievoca <<certe atmosfere struggenti e liriche>> di Ok Computer, in assenza però di nette <<separazioni, ma con innesti e intrecci reciproci>> tra le due impostazioni. Note vanno all’iniziale Bloom <<basi alla Four Tet che si scontrano con le ritmiche selvagge di gente come i Liars>>, Morning Mr Magpie <<un brano alla Autechre grattugiato con un po’ di Liars>> e le solite Codex e Give Up The Ghost [7].

The King of Limbs <<racconta una storia di immenso fascino>>: così si chiude il lungo articolo che Dordi dedica all’album. Un’adesione totale nello scorrere i capitoli di questa storia di liriche e musica che ha un punto di mezzo in Feral, <<brano atmosferico>>. Riprenderei tra le canzoni Lotus Flower, sempre della seconda parte, alla quale ci si abbandona, Separator più sfumata <<con la voce di Yorke filtrata da un leggero delay e le chitarre a ricamare note intorno>> e Mr Magpie dove la ritmica <<disegna un’attesa che Yorke rompe immediatamente: “Hai una bella faccia tosta a farti vedere qui. Hai rubato tutto, restituiscilo”>> [8]. Non vi curate di noi e ascoltate!
Ciro Ardiglione

genere: rock
Radiohead
The King of Limbs
etichetta: XL
data di pubblicazione: 28 marzo 2011
brani: 8
durata: 38:23
cd: singolo

[1] Christian Zingales, Blow UP., aprile 2011, pag. 88
[2] Franco Capacchione, “A proposito, ecco il disco”, Rolling Stone, aprile 2011, pag. 136
[3] Riccardo Bertoncelli, www.delrock.it, marzo 2011
[4] Giuseppe Fabris, www.rockol.it
[5] Alberto Asquini, www.ondarock.it, 23 febbraio 2011
[6] Simone Marau, www.sentireascoltare.com, 21 febbraio 2011
[7] Alessandro Pascale, www.storiadellamusica.it,
[8] Paolo Dordi, “La deriva dei sensi”, Rockerilla, aprile 2011, pagg. 4-7

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