
Titolo di una mostra straordinaria ed imperdibile a Palazzo Reale a Milano. Accoglie e incanta il visitatore che si muove tra gli ottanta capolavori con la mente e gli occhi colmi di una bellezza straniante. L'ossimoro che descrive Realismo Magico evidenzia la coesistenza di una rappresentazione oggettiva e di atmosfere surreali e sospese. La realtà è il punto di partenza di una trasfigurazione che passa attraverso l'immaginazione e la meraviglia.
Una complessa e affascinante corrente artistica rivisitata con una nuova chiave di lettura, a trenta anni di distanza dall'ultima mostra milanese sul tema allora curata da Maurizio Fagiolo dell'Arco nel 1986, per fare il punto su una specifica declinazione dell'arte italiana che vanta antefatti negli anni Dieci e si afferma con un proprio stile, temi e codici tra le due guerre mondiali e cioè tra il 1920 e il 1935: una straordinaria stagione pittorica dell'incanto.
Sotto un titolo suggestivo l'esposizione, curata da Gabriella Belli e Valerio Terraroli, raccoglie dipinti, sculture e disegni che parlano di un movimento artistico, meglio, un fenomeno di portata transnazionale che ha codici propri e riconoscibili, che il critico d'arte tedesco Franz Roh, in un suo saggio del 1925 dedicato alla pittura contemporanea tedesca, definì Realismo Magico.
Tre anni dopo, nel 1928, lo scrittore e giornalista Massimo Bontempelli parla di “precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo. E intorno come una atmosfera di magia che faccia sentire, attraverso una inquietudine intensa, quasi un'altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”. E ancora Bontempelli sottolinea che non è uno stile o una corrente artistica organizzata, bensì un modo di percepire e interpretare la realtà quotidiana attraverso una pittura che rigetta dinamiche futuriste ed espressioniste, invenzioni metafisiche e si vuole distinguere dal generico “ritorno all'ordine” antimodernista.
Infine, in una attuale definizione dei curatori della Mostra, si legge: ”una modalità espressiva che lavora su una nuova e diversa resa della immagine […] che si presenta algida, tersa, indagata nei più minuti dettagli, talmente realistica da rivelarsi inevitabilmente inquietante e straniante”.
1920-1935, un periodo storico-artistico creativo ed originale che ha subito una damnatio memoriae cadendo a lungo nell'oblio, ma recentemente riscoperto andando a illuminare di volta in volta singoli artisti e che ora vive in questa Mostra e presenta grandissimi capolavori italiani di quegli anni messi a confronto con alcune opere della cosiddetta “Nuova Oggettività” tedesca, Neue Sachlickheit. Quest'ultima promossa e presentata nelle Gallerie d'arte di Milano e Monaco da Emilio Bertonati, gallerista e storico dell'arte europea, che già negli anni Sessanta ne aveva compreso l'importanza con notevole lungimiranza e l'aveva valorizzata con mostre e scritti.
In questo percorso cronologico e filologico i confronti vengono fatti anche con caratteri e artisti del gruppo artistico “Novecento Italiano” di Margherita Sarfatti (1880/1961) – critica d'arte italiana, ebbe un ruolo importante nel panorama culturale del tempo – dal quale periodo il Realismo Magico si distingue ma con il quale condivide alcuni personaggi come Achille Funi, Mario Sironi, Ubaldo Oppi.
Quindici anni, pochi, intensi e creativi, dal 1920 al 1935, rappresentano il ritorno al mestiere della pittura con una specifica declinazione neoclassica, vicinanze al gusto déco sul versante italiano, un arcaismo quattrocentesco, il tutto a volte mescolato ad atmosfere metafisico/realistiche. A questo segmento dell'arte italiana vengono anche attribuiti termini e aggettivi quali magia, spettrale, naturale, surreale. Lo stesso De Chirico sottolineava che lo stile italiano ha le sue origini nel Rinascimento la cui portata travalica il periodo storico.

foto Carlotta Coppo
Obiettivi e letture importanti che la mostra vuole documentare, come detto, è la forte e sostanziale relazione tra la pittura italiana di quegli anni Venti e prima metà dei Trenta e la cultura artistica tedesca dello stesso periodo. Molti sono i confronti tra gli artisti italiani e quelli tedeschi. Presentati nella Mostra con sostanziali differenze ma pur con sottili nodi che li legano e collegano.
Importante anche una lettura tematica che vede protagonisti la maternità, l'infanzia, l'eros, il paesaggio, l'allegoria; una chiave di lettura interessante che consente al visitatore di cogliere le novità interpretative che Il Realismo Magico espresse.
La mostra si apre su uno dei capolavori di Felice Casorati “Silvana Cenni” che ci rimanda con la memoria alle Madonne di Piero della Francesca. La poetica oggettiva ha ruolo centrale nella pittura di Casorati come in quella di Ubaldo Oppi, per la capacità di unire senso di familiarità e mistero, consuetudine ed estraneità, mentre sempre affiora una sensazione perturbante davanti ai ritratti di “Cynthia” e “Raja”: pacatezza, silenzio, immobilità e mistero.
Parimenti in Oppi, nella “Giovane Sposa” come nel “Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia” si avverte un senso di malinconia e solitudine in una atmosfera sospesa e incantata ma nella quale fanno capolino simboli metafisici.
I paesaggi, le figure, e gli oggetti inanimati sono statici e rappresentati con una pittura pacata, sintetica e una compostezza quattrocentesca. Entrambi gli artisti condividono il medesimo linguaggio pittorico.
“Mentre è tendenza generale della pittura contemporanea la ricerca della espressione attraverso segno e colore, io sento piuttosto il valore della forma, dei volumi ottenuto con un colore non realistico. Quella che può dirsi l'architettura del quadro” [Casorati]. Nel 1924 a Casorati viene dedicata una mostra individuale curata da Lionello Venturi, nella quale espone quali veri manifesti del Realismo Magico i ritratti di Riccardo, Cesarina e Renato Gualino e “Doppio Ritratto”
Assai particolare il dipinto di Carlo Carrà “Le figlie di Lot” del 1919 che ci appare come una sorta di rivelazione e ci riporta a un impianto giottesco, semplice e rigoroso, con un recupero dei valori plastici. È una pittura mai ingenua, frutto di uno studio approfondito dell'arte antica e della geometria.
Sul concetto di ritorno alla pittura si innesta un generale recupero dei valori plastici dell'arte del passato, di tecniche e generi della tradizione; tutti elementi che si ritrovano nelle opere di Donghi, Oppi, Funi, Mario e Edita Broglio, Mario Sironi, e soprattutto Cagnaccio di San Pietro, nome d'arte di Natalino Bentivoglio Scarpa cresciuto nel borgo marinaro di San Pietro nell'isola di Pellestrina.

olio su tela
Collezione privata
Foto Mondadori Portfolio/Electa/Luca Carrà
Il gruppo dei “realisti magici” incrocia le strade con gli artisti di Novecento, il gruppo milanese della Sarfatti, ma il dialogo è di breve durata. Mentre molti sono i contrappunti e le analogie con la Nuova Oggettività tedesca, sia pure con obiettivi e matrici culturali diverse, tinte scure più nordiche e più austere, ma innegabili sono le affinità, i realismi, la riconquista dell'arte come imitazione della realtà.
Nella difficile scelta delle opere da commentare merita uno sguardo attento “Ritratto di signora su tarsia” di Edita Broglio, delizioso e raffinato. La giovane donna ritratta appare incastonata come un cammeo nella tarsia lignea e ci fa pensare a una antica miniatura.
Da notare i due capolavori di Mario Sironi che qui espone “L'allieva” e “L'architetto” e che rivelano, allo stesso tempo, la vicinanza con il Realismo Magico – tempo sospeso, mistero della immagine, purezza di forme – e la distanza da esso per le ascendenze classiche, l'impostazione architettonica del dipinto, la plasticità.
Con Gino Severini si entra nell'ambiente del circo: le maschere e la Commedia dell'Arte, tematiche care agli anni Dieci e Venti e con evidenti riferimenti a Picasso con gli “Arlecchini” e “Parade” (1917), frutto anche delle sue frequentazioni parigine. La “Famiglia del povero Pulcinella” ci regala una immagine drammatica e struggente, nonostante una pittura corposa e brillante; come malinconica è l'atmosfera nei “Giocatori di carte”, quasi una messa in scena teatrale ambigua e misteriosa.
Il paesaggio anche se è un genere poco frequentato dai pittori realistico-magici ha le sue testimonianze. Un grande capolavoro è “Pino sul mare” di Carlo Carrà, “in questo momento io lavoro a costruire e rivedere forme […] faccio ritorno a forme primitive, mi sento un Giotto dei miei tempi”. E in un paesaggio giottesco appare il minuscolo e onirico “Dirigibile” di Virgilio Guidi, dove una folla stupita ne osserva il volo lontano. Fa da contraltare a queste declinazioni rigorose la “Ottobrata” di Giorgio de Chirico pittoricamente barocca.
Due pittori restano gli incrollabili rappresentanti di quel “fermo immagine” fondamentale caratteristica del Realismo Magico: il romano Antonio Donghi e il veneziano Cagnaccio di San Pietro.
Le figure femminili di Donghi “Donna al caffè” e “Donna alla toeletta” sono fermate con una pittura smaltata ed elegante come in una bolla atemporale, con i volti illuminati da una espressione un po' malinconica, un po' disincantata e consapevole. I personaggi sono immobili statuine dalle storie enigmatiche. Donghi porta all'estremo limite la parabola magico-realistica con “Amanti alla stazione” dove l'atmosfera rarefatta e il senso della incomunicabilità raggelata tra i due personaggi finisce per coinvolgere lo spettatore.
Magistrale è “La donna allo specchio” di Cagnaccio di San Pietro, dove il gioco del riflesso nello specchio ci mostra una donna che si trucca circondata da una gelida natura morta di bottigliette in vetro rosso, il cui volto porta i segni della depressione e del male di vivere.
“Dopo l'orgia” conclude in modo perfetto l'esposizione. Composizione monumentale, emblematicamente uno dei manifesti pittorici del Realismo Magico per la potenza descrittiva e per l'assoluto straniamento che l'immagine suggerisce: verità e sogno, Eros e Thanatos, denuncia e compiacimento. Opera fondamentale di Cagnaccio di San Pietro che fu rifiutata dalla giuria della XVI Biennale di Venezia presieduta dalla Sarfatti, per la crudezza della scena e per i riferimenti non troppo sottili alla corruzione morale dei dirigenti fascisti (il simbolo del fascio littorio inciso sul gemello del polsino abbandonato. È un manifesto denso di simboli: il ripetersi del numero 3, i nudi e le carte da gioco, le bottiglie vuote e il bicchiere rovesciato che seguono il movimento rotatorio dei tre corpi femminili abbandonati sotto una luce artificiale e violenta. La carica erotica dei nudi è annientata da un alone di gelo e di morte.
Infine, la cifra inconfondibile del Realismo Magico è l'idea di un approccio alla realtà che viene ricostruita artificialmente in cui la vita è congelata perché sia possibile percepire l'incanto e il mistero dietro di essa. Cagnaccio e Donghi resteranno ben lontani dal diffondersi del novecentismo e dalla sua cultura perché quel mondo ha rinunciato al mistero, all'incanto dello sguardo e a quell'apparente distacco che è in grado di rivelare le contraddizioni e le ambiguità irrisolte della vita.
L'allestimento validissimo curato dallo Studio Bellini, utilizza luci calde e tinte terrose e contribuisce a creare una atmosfera di concentrazione, un rapporto diretto tra l'osservatore e l'opera, con un ottimo supporto della audioguida. Se in questa mostra è presente in spirito Emilio Bertonati al quale vanno meritati riconoscimenti per le sue intuizioni, una dedica altrettanto sentita è indirizzata a Elena Marco, collezionista lungimirante e appassionata.
Daniela di Monaco
Palazzo Reale Milano
19 ottobre 2021 – 27 febbraio 2022
REALISMO MAGICO
Uno stile italiano
a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli.
Promosso e prodotto dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE
allestimento curato dallo Studio Mario Bellini con Raffaele Cipolletta
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