
Quando si parla di interventi economici in tempi di Covid-19 credo vada tenuta in debita considerazione che la pandemia non provoca danni economici e sociali in maniera indiscriminati per le singole persone e per le famiglie.
Infatti affrontare la pandemia in queste settimane è profondamente diverso se si ha un reddito o se non lo si ha, se si hanno risparmi per decine o centinaia di migliaia di euro, se la casa è di 150 metri quadri o di 60 e magari si vive in quattro o banalmente se ho conoscenze e strumenti digitali che mi consentono di seguire e fare attività anche importanti come quella di studiare.
Quello delle disuguaglianze estreme che in questi anni si sono andate allargate deve essere una parte essenziale di qualsiasi agenda si metta in campo per riparte e riguadagnare un futuro.
È vero altresì che i danni li subisce quasi tutto il sistema produttivo ed è per questo che i governi stanno provando a rispondere con azioni mai viste finora o solo paragonabili ad un drammatica urgenza quale quella che riguardò la grande crisi del 1929 o meglio ancora la II Guerra mondiale. Senza che con questo voglio equipararla ad una guerra, nemmeno nel linguaggio, quella combattuta con armamenti di ogni genere.
Tralasciamo per ragioni di spazio il confronto tra le varie posizioni dei vari paesi europei, e le polemiche, sul tema del Fondo Salva Stati (Mes), in Europa, per ora, è stato dato addio a Schengen e al Patto di Stabilità che vincolava gli sforamenti dei debiti nazionali e la Banca Centrale Europea (BCE), dopo le stupidaggini della Lagarde, ha iniziato ad acquistare titoli, si vede dal calo dello spread, mettendo a disposizione 750 miliardi di euro oltre ad altre misure per rafforzare il patrimonio delle banche e a sostenere la domanda di liquidità delle imprese.
Maggiore flessibilità diretta all’emergenza sanitaria arriva dalla Commissione europea per quanto riguarda il Fondo Sociale o il Fondo per lo Sviluppo Regionale che nel caso dell’Italia significherebbe circa 1,8 miliardi e per quanto riguarda i Fondi Strutturali per la parte ancora non impiegata che appunto sarà possibile dirottare all’emergenza e che per l’Italia si tratterebbero di 11 miliardi da spendere entro il 2023.
Nel frattempo in Italia e nel resto del mondo i singoli stati hanno iniziato a mettere in campo misure di grande portata. Ma anche nel caso degli USA che hanno disposto un intervento da 2.000 miliardi di dollari potrebbero non bastare se le attività produttive non dovessero tornare a marciare in tempi accettabili.
Il Governo italiano si è dovuto muovere anche sul fronte della povertà che inizia già a farsi sentire, ma come non aspettarselo visto che abbiamo lasciato indietro milioni di italiani poveri o sulla soglia della povertà che evidentemente in questi giorni è già stata varcata da molti? Forse ci sono volute le parole del Papa che ha parlato di, giustamente di “fame”, e così è arrivato l’ennesimo Decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) per avviare la messa a disposizione di 4,3 miliardi ai comuni per fronteggiare l’emergenza alimentare. Una misura che di fatto è un anticipo del 66% del Fondo dei trasferimenti ai Comuni che doveva arrivare a maggio. Poi si è provveduto a stornare 400 milioni dal Fondo della protezione civile per buoni spesa o da essere distribuiti tramite erogazione diretta a chi non riesce a comprare nemmeno i generi di prima necessità.
Non basta, sono necessari su più larga scala e senza ulteriori perdite di tempo. E in Italia e nel resto del Mondo va chiarito che una buona parte dei debiti contratti per fronteggiare la recessione in atto non saranno restituiti.
Vittorio Daniele ci spiega quanto sia importante lo stimolo fiscale e per evitare la rincorsa ai finanziamenti e conseguentemente all’aumento eccessivo del debito pubblico: «in linea di principio, la spesa pubblica può essere, infatti, finanziata direttamente dalle banche centrali attraverso la concessione di crediti non rimborsabili ai governi. Non essendo rimborsabile, tale modalità di finanziamento non aumenta il debito pubblico e, dunque, non comporta futuri inasprimenti delle imposte (o tagli di spesa). Come sostenuto da Jordi Galí in un articolo, questa politica potrebbe essere adottata anche dalla Bce, nonostante il divieto di finanziamento degli stati imposto dal trattato sull’Unione Europea, per consentire ai paesi europei di affrontare l’emergenza coronavirus».
Matteo Lucchese e Mario Pianta presentano due strade. La prima è l’impegno europeo a mettere in circolazione risorse simili a quelle USA dell’ordine dell’8-10% del Pil europeo finanziandoli con l’emissione di moneta della Bce e con l’emissione di Eurobond, «riducendo il ‘rischio paese’ e gli ‘spread’ sui titoli nazionali. Vincoli europei al funzionamento dei mercati finanziari – riduzione della mobilità dei capitali, obblighi di acquisti di Eurobond per le banche maggiori, etc. – e l’introduzione di una tassazione sui patrimoni a scala europea potrebbero facilitare un’operazione di questo tipo, confidando nella natura temporanea dell’emergenza coronavirus» [2]. La seconda tutta nazionale e quindi anche per l’Italia in caso di ulteriori stop da Bruxelles. Si tratta di «emettere una moneta nazionale, si tratta di espandere senza limiti la spesa pubblica, di raccogliere risorse finanziarie con il blocco delle uscite di capitali e acquisti forzosi di titoli di Stato, di introdurre una tassa patrimoniale straordinaria, e così via» [3].
Nel frattempo si inizia a ragionare su come far ripartire alcune attività per evitare il collasso totale. Ma questo deve avvenire senza provocare ulteriori tragedie. Sarebbe comunque possibile, al di là delle facili dichiarazioni sui social circa una ripresa a breve, solo dopo aver messo in condizione il sistema sanitario, dal personale tutto alle strutture ai macchinari, ai dispositivi, di poter gestire senza affanno l’emergenza, e solo dopo aver assicurato che in tutta la filiera produttiva che si vorrebbe aprire non si generino nuovi contagi o addirittura focolai.
Alcuni esperti hanno elencato una serie di misure da intraprendere per una ripresa controllata. La tecnologia, si fa riferimento alle app, deve supportare l’informazione e il controllo per evitare la ripresa del contagio. Questo aspetto, aggiungiamo noi, deve essere normato con molta attenzione e tutte le informazioni devono essere detenuta da un’unica realtà per poi poterle distruggere definitivamente a fine emergenza.
L’idea degli studiosi è che si potrebbe partire dai giovani (20-49 anni) che su base volontaria riprendano il lavoro. Questo sull’evidenza che il rischio di morte e di ospedalizzazione è di gran lunga più basso delle altre classi d’età. La prima necessità sarebbe quella di impedire i contatti con anziani, immunodepressi e altre persone con patologie polmonari croniche, «che dovranno rimanere in isolamento nelle loro abitazioni. A questo fine potrebbero essere sfruttate le numerose strutture alberghiere attualmente inutilizzate». I giovani che tornano al lavoro devono essere «opportunamente incentivati, per esempio consentendo loro di partecipare ai profitti delle imprese in cui lavorano o di ricevere integrazioni significative dei loro guadagni mediante un taglio sostanziale del cuneo fiscale»; inoltre devono godere di un’assistenza sanitaria adeguata e prioritaria sia per i controlli che per eventuali rimedi.
Assistere velocemente le famiglie per consentire il proseguimento dell’insegnamento a distanza fino a che, verificate le condizioni, si riapra «partendo dalle materne e elementari (in modo da permettere a entrambi i genitori di tornare al lavoro). Dovranno però rimanere a casa i docenti di età superiore ai 49 anni (o con comorbidità che li mettano a rischio), dotandoli di strumenti adeguati ad assistere in modo telematico i docenti più giovani» [4].
Una considerazione finale che attiene all’inquadramento di tutte le iniziative che si stanno mettendo in campo. Il sistema neoliberale che è andato configurandosi a partire da Margaret Thatcher e Ronald Reagan che ha sempre voluto ai margini dell’economia lo Stato lasciando al mercato il potere regolatorio degli affari e delle vite delle persone, è crollato. Un sistema che nel corso degli anni ha determinato lo sfascio dello stato sociale e che speriamo non risorga. Almeno in quelle modalità.
Pasquale Esposito
[1] Vittorio Daniele, “L’emergenza coronavirus rende necessarie politiche economiche eccezionali”, https://www.economiaepolitica.it/2020-anno-12-n-19-sem-1/helicopter-money-coronavirus-economia/, 24 Marzo 2020
[2] Matteo Lucchese e Mario Pianta, “L’Europa: che cosa fa, che cosa servirebbe”, http://sbilanciamoci.info/leuropa-che-cosa-fa-che-cosa-servirebbe/, 24 Marzo 2020
[3] Matteo Lucchese e Mario Pianta, ibidem
[4] “Una strategia per fermare il Covid-19 senza mettere in ginocchio l’economia mondiale”, https://www.corriere.it/economia/opinioni/20_marzo_26/strategia-fermare-covid-19-senza-mettere-ginocchio-l-economia-mondiale-25b562c0-6f6a-11ea-b81d-2856ba22fce7.shtml, 26 marzo 2020; l’articolo è firmato da Andrea Ichino (Dipartimento di Economia, European University Institute e Università di Bologna), Giacomo Calzolari (Dipartimento di Economia, European University Institute e Università di Bologna), Andrea Mattozzi (Dipartimento di Economia, European University Institute), Aldo Rustichini (Dipartimento di Economia, University of Minnesota), Giulio Zanella (Dipartimento di Economia, University of Adelaide e Università di Bologna) e Massimo Anelli (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, Università Bocconi)
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