Referendum e Corte Costituzionale: dalla giustizia all’eutanasia

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La stagione 2022 dei si era aperta con la presentazione di ben otto quesiti sottoposti alla Corte Costituzionale per la usuale dichiarazione di ammissibilità alla consultazione abrogativa popolare. Il comitato referendario più consistente, composto dalla Lega, dai Radicali e da nove consigli regionali, ha puntato con forza sui temi inerenti la e i magistrati presentando sei richieste di ammissibilità; segue poi il “Comitato Legale” e il “Movimento Luca Coscioni”.

Nell'ordine vediamo sinteticamente il contenuto delle singole richieste.
La prima riguarda l'abolizione dell'intero “Testo Unico delle disposizioni in materia di incandidabilità” – meglio conosciuta come “Legge Severino” dal nome della sua proponente – richiedente quindi l'eliminazione delle norme che impediscono la partecipazione alle tornate elettorali per il parlamento europeo e nazionale di quei soggetti condannati in via definitiva per mafia, terrorismo e corruzione.
Più circoscritte le richieste che toccano il tema della “Custodia cautelare”, in quanto l'obiettivo è cancellare solo una parte dell'articolo 274 del c.p.p. in modo tale da ridurre l'ambito dei reati per i quali scattano, appunto, le misure cautelari rendendole quindi applicabili esclusivamente per il finanziamento illecito ai partiti e per i reati puniti con pene non inferiori ai 5 anni.
L'altro tema sulla giustizia riguarda la “Separazione delle carriere dei magistrati” – vecchio cavallo di battaglia di molte forze politiche più o meno trasversali. Nel quesito posto alla Corte si richiede di non permettere più il cambio di funzioni tra giudici e pubblici ministeri e viceversa. Per inciso, ricordo che attualmente la legge prevede 4 passaggi di funzioni nel corso della carriera.
Il quarto tema sulla giustizia, tende a porsi in parallelo alla riforma della ministra Cartabia richiedendo l'ammissibilità del voto degli avvocati – presenti nei Consigli Giudiziari – nelle valutazioni di professionalità dei magistrati.
Un ulteriore tema sottoposto al vaglio costituzionale è quello della “Responsabilità civile diretta dei magistrati” per gli errori giudiziari commessi. A tutt'oggi, è lo Stato che risarcisce il cittadino che denuncia di aver subito un danno ingiusto, per poi attivare azione di rivalsa sul magistrato.
L'ultimo quesito posto in tema di giustizia, “Elezioni del Consiglio Superiore della ”, vuole abrogare la norma che stabilisce che ogni candidatura vada sostenuta dalle firme di almeno 25 presentatori. L'obiettivo, in sostanza, è quello di arrivare a candidature individuali libere, come già previsto nel testo della riforma Cartabia.

Per quanto riguarda le richieste del “Comitato Cannabis Legale”, tutto si incentra sulla richiesta di cancellare le pene detentive (previsto il carcere da 2 a 6 anni più ammenda da € 26mila a 260mila) e la sanzione amministrativa del ritiro della patente a chi coltiva la cannabis. I giudici sembra che abbiano deciso per la bocciatura del quesito sulla cannabis in quanto evidenziato un clamoroso errore commesso dai proponenti che avrebbero citato la tabella sbagliata della normativa sulle droghe, invece di fare riferimento a quella inclusiva della cannabis. Quindi la Corte ha ritenuto che la richiesta di depenalizzazione fosse riferita alle sostanze stupefacenti in toto, il che avrebbe comportato la conseguente violazione di obblighi internazionali.

La Corte Costituzionale al termine di una lunga camera di consiglio, come era prevedibile, il 15 febbraio scorso per bocca del suo Presidente Giuliano Amato ha reso noto le decisioni, che ammettono cinque dei sei quesiti sulla giustizia – rigettato il quesito sulla responsabilità civile dei giudici – e respingono sia quello relativo alla possibilità di coltivare la cannabis che quello sul fine vita.
Molte le critiche alla decisione della Corte alle quali ha tentato di dare risposta lo stesso Presidente affermando: ”Referendum bocciati su cannabis e fine vita? È vero che la sovranità appartiene al popolo, ma siamo 60 milioni di cittadini italiani. Quindi, i promotori di un referendum, anche se hanno raccolto centinaia di migliaia di firme, non rappresentano il popolo. Loro propongono al popolo un quesito. Ora, la Costituzione stabilisce dei limiti sui quesiti che è giusto e corretto sottoporre ai cittadini” [1].

Vorrei ora soffermarmi su quello non meno privo di una conflittualità molto accentuata, e cioè il referendum per depenalizzare l'omicidio del consenziente o, come viene conosciuto, sull'eutanasia.
È possibile considerarlo come il tema etico per eccellenza – su cui muoversi con cautela – e per questo motivo capace di creare fossati fra l'opinione pubblica, in ambito laico, mentre è forte la pressione contro l'ammissibilità da parte del mondo cattolico. Ricordo che il nostro codice penale all'articolo 579 prevede la reclusione da 6 a 15 anni (“Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da 6 a 15 anni”) e proprio per depenalizzare questa azione si sono impegnati due milioni di sottoscrittori.

Sebbene personalmente sia favorevole all'inserimento nel nostro corpo legislativo di una normativa in tal senso, non posso negare comunque l'esistenza di complessi problemi non solo giuridici, terapeutico- diagnostici ma anche etici, questi ultimi delegabili esclusivamente alla sfera soggettiva del singolo individuo.

Dobbiamo comunque dire che in proprio per l'assenza che si protrae da troppo tempo di una specifica disciplina in materia di , i principali riferimenti normativi ci conducono al disposto della Costituzione e cioè all'articolo 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”), all'articolo 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”), all'articolo 13 (“La libertà personale è inviolabile”) e all'articolo 32 (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”).

In sostanza, il dettato costituzionale rivela una struttura che esalta, da un lato, la tutela dell'individuo, delle sue libertà e dei suoi diritti, e, dall'altro pone in evidenza i doveri di solidarietà che devono legare tutti i componenti la società. I due capisaldi, uniti insieme, portano alla difesa del valore della “dignità umana” che viene garantita praticamente da tutti gli ordinamenti internazionali.

Ma è talmente evidente che i soli riferimenti costituzionali non possano da soli essere lo strumento per regolamentare le varie fattispecie di morte eutanasica in senso lato, che bisognerà attendere le vicende del caso Englaro, e poi quelle di Welby e da ultimo quelle strazianti di DJ Fabo affinché venisse sbloccata la latitanza del legislatore e, sotto anche la non indifferente pressione dell'opinione pubblica, venisse approvata la legge n.219/2017 che stabilisce le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. È indubbiamente un enorme passo avanti sulla materia del “fine vita” tanto “che il comma 5 dell'articolo 1 sancisce non solo il diritto di rifiutare gli accertamenti diagnostici e le cure, ma anche quello di interrompere un determinato trattamento, se già iniziato” [2]. Sulla scia proprio di questa impostazione sembra debba intendersi il pronunciamento della Corte Costituzionale riguardo l'articolo 508 del codice penale sull'istigazione e l'aiuto al suicidio, che ha fatto da scintilla relativamente all'auto denuncia di Marco Cappato – tesoriere dell'associazione “Luca Coscioni” – circa il sostegno fornito a DJ Fabo per porre fine alla sua vita.

Ebbene la Corte, con la sentenza n. 242/2019 che potremmo definire storica, esclude la punibilità “di chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi” [3], non dimenticando nella sua pronuncia di sollecitare il Parlamento a colmare il vuoto legislativo comunque esistente.

Quello che ha deluso il mondo laico nasce dalla constatazione che la Corte ha più volte adeguato i propri poteri in funzione delle necessità e delle evoluzioni della società e del diritto stesso.

Come ha osservato Simona Viola, esperta giustizia di “+ Europa”, “storicamente la Corte Costituzionale ha innovato, proposto e cambiato i propri poteri. Avrebbe potuto farlo anche stavolta, magari ridefinendo il testo dei referendum o individuando altre strade. Invece ha preferito bacchettare i promotori e mantenere lo status quo” [4].

Non meno vivace è il dibattito all'interno del mondo cattolico ed ecclesiale, dove una parte consistente si è da sempre schierata contro ogni forma di apertura anche ad una pur minima discussione sull'argomento “Non vi è espressione di compassione nell'aiutare a morire” [6], riportava una nota della presidenza CEI, dall'altra va registrata una decisa presa di posizione aperta al dialogo, di cui si è fatta promotrice la prestigiosa rivista gesuita “Civiltà Cattolica” attraverso un articolo dove, potremmo dire, si accetta il confronto ma rilanciando la palla nello schieramento laico facendo propria la proposta di Walter Ricciardi di una revisione addirittura globale dell'approccio medico “Il punto sarebbe invece di interrogarsi sull'impostazione dell'intera impresa: rivedere gli scopi perseguiti dalla medicina e riarticolare, per la tutela della salute e la terapia del dolore, il rapporto fra trattamento delle malattie e prevenzione, tra ospedale e territorio, tra settori sanitario e sociale”  [6].

La proposta è manifestamente fuorviante, in quanto non si può non vedere in questa decisa presa di posizione – solo all'apparenza animata da spirito costruttivo e partecipativo – un'arma per limitare i possibili danni che avrebbe potuto procurare l'accoglimento della proposta referendaria che, secondo le previsioni della rivista, sarebbe stata votata a maggioranza dalla popolazione visto anche il numero quasi straripante delle firme raccolte dal comitato promotore.

Che su questo argomento si giocasse una partita aspra e dura è fuori dubbio ma proprio per questo motivo, per evitare una mascherata resa del pensiero laico a quello confessionale, avrei preferito una decisa presa di posizione della Corte Costituzionale che purtroppo non c'è stata, preferendo farsi scudo con l'innegabile forza offerta dal formalismo giuridico.
Assente non giustificato in questa contesa, il legislatore.

Stefano Ferrarese

[1] ilfattoquotidiano.it – “Referendum cannabis e fine vita” – 24/2/2022
[2] diritto.it – Gaia Aprea, “L'eutanasia e il suicidio assistito: esiste un diritto alla morte dignitosa?” –  14/11/2019
[3] cortecostituzionale.it – Sentenza n.242/2019; norma impugnata art.580 c.p.
[4] linkiesta.it – Simona Viola, ”La scelta pretestuosa della Consulta di aggrapparsi alla forma per bocciare i quesiti” – 17/2/2022
[5] avvenire.it – Francesco Ognibene, “I medici cattolici: all'eutanasia rispondiamo con la cura di chi soffre” – 20/8/2021
[6] Walter Ricciardi, “Sanità pubblica. Scienza e politica per la salute dei cittadini” – ed. Vita e Pensiero, Milano 2021, pag. 138 ss.

 

 

 

 

 

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